CERVI, Gino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CERVI, Gino

Roberta Ascarelli

Nacque a Bologna il 3 maggio 1901 da Antonio e da Angela Dall'Alpi.

Antonio (Casalbuttano 14 dic. 1862-Bologna 21 genn. 1923), critico teatrale del Resto del Carlino dal 1889 al 1923 e autore di alcuni scritti (Tre artisti: Emanuel,Zacconi,Novelli, Bologna 1900; Irma Gramatica, ibid. 1900; Giovanni Emanuel, Palermo 1903 e 1919), possedeva una pregevole raccolta di testi drammatici e biografie di attori, grazie alla quale il C. poté acquistare una notevole cultura teatrale, iniziando a coltivare una intensa passione per le scene.

Ostacolato dal padre, che non approvava questa inclinazione, il C. cominciò a recitare, negli anni del liceo, nelle filodrammatiche bolognesi del "Cantagalli", che aveva visto esordire Gustavo Modena, e degli "Impiegati civili".

Questa doppia origine, bolognese e filodrammatica, è stata più volte sottolineata dalla critica, che ha visto nel C. la moderna espressione dello spirito pigro e bonario delle maschere cittadine e l'erede dei grandi attori petroniani, da Tabarrino Meneghini a Petronio Zanarini e, infine, a Ermete Zacconi, cui lo avvicinava la presenza scenica e la dizione sapida e corposa.

Fece il suo esordio nel 1919 sostenendo un ruolo secondario nel Marchese di Priola, allestito da una filodrammatica locale, ma, dopo questa prima prova, abbandonò per vari anni le scene assorbito dagli studi universitari e dall'impegno politico (secondo Leonelli, I, p. 232, "a distoglierlo dalla latente passione venne il fascismo e le prime squadre di azione lo ebbero tra i migliori. Fascista dal 1920 partecipò alla Marcia su Roma").

Alla morte del padre, nel 1923, decise di recitare come professionista e, nel 1924, entrò nella compagnia di Alda Borelli, comparendo senza alcun ruolo in Desiderio di Amiel, La vita che ti diedi di Pirandello e La buona novella di C. V. Lodovici. Grazie alla guida della Borelli, il C. riuscì a colmare le lacune della sua preparazione di autodidatta e ad affrontare in quella stessa stagione il ruolo di attor giovane nella Vergine folle di M. Bataille (teatro Quirino di Roma), dando buona prova di sé. La cordiale compostezza della sua presenza scenica, il suo aspetto raffinato lo rendevano particolarmente adatto al gusto "parigino" del testo, in cui aveva modo di esprimere le doti di interprete ironico e misurato. Con questo ruolo passò, nella stagione successiva, alla compagnia del Teatro d'arte di Roma, diretta da L. Pirandello (primi attori M. Abba e L. Picasso) e interpretò Gli dei della montagna di Dunsany, Nostra dea di Bontempelli, La nostra compagnia di Schnitzler, La buona morte di Evreinov e Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello, opera con cui andò in tournée a Parigi, Londra, Basilea, Berlino. Nella parte del figlio il C. ottenne il primo grande successo personale: "Pirandello - ricorda - mi fece una dedica 'al mio caro Gino Cervi che vive insuperabilmente la parte del figlio'" (L'importanza dell'attore, p.27). Nel 1926-27 fu con Lamberto Picasso, che di fatto dirigeva, per quella stagione, la nuova compagnia Pirandello, nata dalla compagnia del Teatro d'arte di Roma (recitò in Diana e la tuda,Enrico IV,Il piacere dell'onestà di Pirandello; Belinda e il mostro di B. Cicognani; Il labirinto di S. L. Poliakov; La croce del sud di T. Interlandi e C. Pavolini).

La collaborazione con il Picasso, che conduceva, sia da attore sia da direttore, un'aspra battaglia contro la recitazione tradizionale ridondante e patetica, alla ricerca di una diversa sincerità interpretativa, influenzò il C. nella definizione del suo stile alieno da ogni artificiosità. In questa naturalezza un po' prosaica, bonaria e schietta fu anche il limite del C. che privò spesso le sue interpretazioni di drammaticità e di introspezione, rimanendo legato per oltre dieci anni al ruolo di amoroso e a un repertorio essenzialmente "leggero".

Dal 1927 al 1930 fu nella compagma di Annibale Bertone (Pensiero di Andreev, Il conte di G. Forzano; Liliom di F. Molnár), dove conobbe l'attrice Ninì Gordini, che sposò nel 1928; nel 1930-31 passò nella compagnia di Anna Melato (La padrona di U. Betti), quindi tornò nuovamente, nel 1931-32, con Picasso (Sesso debole di E. Bourdet; Un uomo da rifare di L. Chiarelli; Valoria di M. Bontempelli). Dopo un'impegnativa stagione (1932-33) nella compagnia di Kiki Palmer, che mise in scena La famiglia dell'antiquario di Goldoni, Cristina di Arth. Schnitzler e Zio Vania di Čechov, tornò nel 1933-34 ad interpretazioni meno complesse nella Nuova Compagnia della commedia con Ricci, Adani e Montereggi (Sorellina di lusso di A. Birabeau) e quindi, nella stagione 1934-35, insieme con la Adani, scritturata col ruolo di attrice giovane, nella compagnia degli Spettacoli gialli diretta da Romano Calò (primo attore L. Tricerri). Formò, quindi, dal 1936 al 1937 ditta col ruolo di primo attore insieme con Sergio Tofano - che aveva funzioni direttoriali - ed Evi Maltagliati, presentando un repertorio eclettico e prevalentemente d'evasione, che ottenne un sicuro successo grazie all'abilità del Tofano e all'affidamento degli attori (Un padre ci vuole di S. Landi; Esami di maturità di Fodor; Intermezzo di N. Coward; L'isola disabitata di P. Metastasio; Il cigno di Molnár; Ma non è una cosa seria di Pirandello).

Dopo un solo anno, nonostante l'apprezzamento della critica e del pubblico per la modernità e l'entusiasmo che la caratterizzavano, il C. abbandonò la compagnia che dopo pochi mesi si sciolse. La seduzione del cinema aveva, infatti, indotto i due giovani primi attori a lasciare, a pochi mesi uno dall'altro, il teatro per continuare a rappresentare sullo schermo i personaggi briosi e un po' fatui delle loro interpretazioni. Lo stile sobrio del C. e il suo aspetto "borghese" lo rendevano particolarmente adatto alla commedia cinematografica in cui poteva esprimere, forse più che a teatro, le sue doti di comunicativa e di umorismo. Dopo l'esordio del 1932 - una breve apparizione in L'armata azzurra di Gennaro Righelli insieme con Paolo Stoppa - e una serie di pellicole di scarsa importanza, il C. trovò in A. Blasetti il regista capace di utilizzare pienamente le sue possibilità nel tentativo di spezzare la retorica del cinema del ventennio. Le tre opere in cui si concretizzò, nell'anteguerra, questa collaborazione (Aldebran, del 1935, in cui il C. venne impiegato come attor giovane, Ettore Fieramosca, del 1937, e Un'avventura di Salvator Rosa, del 1939, in cui fu invece caratterista) sono tra le poche prove decorose del C. in una produzione vasta quanto scadente (Gli uomini non sono ingrati, 1937; Voglio vivere con Letizia!,L'argine, 1938; Inventiamo l'amore,I figli del marchese di Lucera, 1939). L'esperienza cinematografica influì positivamente sulla recitazione del C., che tornato al teatro di prosa nella stagione 1938-39 in compagnia con A. Pagnani, R. Morelli, P. Stoppa e A. Chellini, riuscì a portare sulla scena la pacata sicurezza e la fantasia delle sue interpretazioni cinematografiche.

Ma l'abitudine a creare per lo schermo personaggi semplici e bonari che ben si adattavano alla sua personalità, indusse il C. a trasformare anche a teatro i suoi ruoli, spesso a prezzo di inevitabili semplificazioni, per metterne in evidenza le qualità positive. In questo modo il C. definì uno stile interpretativo che evitava le sottigliezze introspettive, le ambiguità, i caratteri patologici e offriva l'immagine di una umanità positiva.

Con la compagnia del Teatro Eliseo (così si chiamava la ditta, in cui rimase stabilmente fino al 1942) il C. diede vita ad alcune delle sue interpretazioni più riuscite, cimentandosi sia con autori moderni sia con i "classici" (1938-39: Ma non è una cosa seria di Pirandello, La maschera e il volto di L. Chiarelli, La dodicesima notte di Shakespeare, I giorni felici di C. Pouget, Il caffè dei naviganti di C. Alvaro, Le allegre comari di Windsor e Giulietta e Romeo di Shakespeare; 1939-40: Il quieto vivere di A. Testoni, Vespro siciliano di C. V.Lodovici, Otello di Shakespeare, Il giocatore di Dostoevskij; 1940-41: Il viaggio alle stelle di A. Anderson, Fascino di K. Winter, Glauco di E. L. Morselli).

Di particolare interesse le interpretazioni shakespeariane che misero in evidenza le difficoltà del C. a rendere personaggi complessi e contraddittori. L'Otello e, ancor più, il Romeo (interpretato a Venezia nel 1937), che fu il solo vero "fiasco" della sua carriera, non convinsero per l'appiattimento delle figure nell'ambito della quotidianità, per una forzata modernizzazione che traeva spunto da un solo elemento del carattere del personaggio, quello che meglio ne rivelava l'umanità, e che su questo costruiva l'intera interpretazione. A prezzo di evidenti banalizzazioni il C. negava alle sue figure shakespeariane la loro realtà storica e le inseriva in un presente edulcorato e vagamente ironico nel quale si perdeva ogni caratterizzazione drammatica e eroica. Questo atteggiamento "antieroico" gli permise invece di creare un esemplare Falstaff in cui si realizzava una completa identificazione tra interprete e personaggio ("... forse perché il ricordo più vivo che ho si ricollega ad un memorabile Falstaff, glorioso pancione... i moti lenti e comicamente gravi, la pacata saggezza del buongustaio e quella dolce remissività di fronte ai pungoli della gente più scaltra e maliziosa, prerogative ormai illustri del pacifico e corpulento orco shakespeariano, mi paiono intimamente connaturati in Cervi": Bolchi, p. 15). Oltre alla vasta produzione artistica, la compagnia del Teatro Eliseo offrì in quegli anni il primo esempio di insieme semistabile con sede fissa, durata triennale e doppi ruoli, nella prospettiva di una più organica e unitaria concezione dello spettacolo.Nonostante la novità di questa formula organizzativa, la compagnia non riuscì a superare le difficoltà della guerra e si sciolse nel 1942. Il C. si dedicò al cinema, ma, nonostante il successo della Peccatrice di Palermi (1940), in cui riusciva a interpretare con intelligenza il ruolo del meticoloso ed arido impiegato, e quello nella Corona di ferro di Blasetti (1941), fu impegnato poi soprattutto in film mediocri (La regina di Navarra, 1941; Don Cesare Bazan, 1942). Di particolare interesse nella produzione di questi anni Quattro passi tra le nuvole (1942), con Adriana Benetti e Giuditta Rissone, per la regia di Blasetti, in cui il C. "trovò le più felici espressioni della sua carriera cinematografica, quali non ne ricordavamo più dalla troppo famosa sequenza del Caffè della Peccatrice" (Pietrangeli, p. 32). Tornò quindi alle scene nel '45 con la ricostituita compagnia del Teatro Eliseo (I parenti terribili di J. Cocteau; La guerra di Troia non si farà di J. Giraudoux; Il quieto vivere di A. Testoni; Oh,il matrimonio! di G.B. Shaw), quindi nuovamente al cinema, dove, escluso dall'esperienza neorealistica, nonostante ne fosse stato in qualche modo un precursore con Quattro passi tra le nuvole, venne relegato ancora una volta nel "fumetto" per lo più di ambientazione storica o in costume (1946: Le miserie del signor Travet; Umanità; Un uomo ritorna; 1947: L'angelo e il diavolo; Daniele Cortis; Cronaca nera; 1948: I miserabili; 1949: Fabiola; Guglielmo Tell; Fiamma che non si spegne). Formò, dal 1949 al 1951, ditta insieme con Andreina Pagnani, "una compagnia elegantissima... gruppo brioso e brillante" (D'Amico, p. 108), in cui le nuove problematiche sceniche espresse dal contrasto tra teatro di regia e teatro di interpretazione venivano risolte in chiave tradizionale dal serio professionismo degli interpreti e dall'attenta cura per l'armonia dell'insieme (Quel signore che venne a pranzo di Kaufman e Hart, Anche i grassi hanno l'onore di V. Bompiani, Harvey di Mary Chase, nel 1949-50; La regina e gli insorti di U. Betti, Gli ultimi cinque minuti di A. De Benedetti, I figli di Edoardo di Sauvagon, nel 1950-51).

Le interpretazioni del C. irradiano simpatia, cordialità, bonomia anche quando (come nel caso di Whiteride, in Quel signore che venne a pranzo)riguardano un personaggio odioso, cinico e violento e riproducono un ambiente di casalinga comicità che convince le platee italiane.

In una nuova parentesi cinematografica si affidò a scelte occasionali e scarsamente significative, se si eccettua La signora senza camelie (1952) di Antonioni, in cui il C., accanto alla Bosè, affronta un complesso personaggio moderno, e Don Camillo (da un romanzo di G. Guareschi) del 1951, con cui iniziò la serie "Peppone e don Camillo" (Il ritorno di don Camillo, 1953; Don Camillo e l'onorevole Peppone, 1955; Don Camillo monsignore ma non troppo, 1961; Il compagno don Camillo, 1965; Don Camillo e i giovani d'oggi, 1972).

In coppia con Fernandel, che impersonava don Camillo, un deciso e sfrontato prete emiliano, il C. seppe delineare in Peppone, sindaco comunista, sanguigno, iracondo, violento, dai modi piuttosto rozzi eppur umanissimo, un personaggio che gli si adattava perfettamente. La grande popolarità conquistata con questo personaggio gli valse il Nastro d'argento 1953 conferitogli "per il complesso delle sue interpretazioni".

Riuscitissima fu quindi, nel 1953, l'interpretazione di Cirano (Cirano di Bergerac di E. Rostand) per la direzione di Rouleau, che seppe valorizzare le naturali qualità del Cervi. Presentato al primo Festival international d'art dramatique de la Ville de Paris e ripreso in Italia nel 1955, il Cirano rappresentò per vari anni il "cavallo di battaglia" del C. insieme con il Cardinal Lambertini di A.Testoni, presentato anch'esso al festival parigino e riproposto nel 1963 in edizione televisiva. Egli riprese quindi il suo lavoro cinematografico, comparendo, se si eccettua La lunga notte del 1943 di Vancini (1960), per lo più in alcuni film di consumo (1956: Guardia,guardia scelta,brigadiere e maresciallo; Moglie e buoi...; 1957: Amore e chiacchiere;1958: Agguato a Tangeri;1960: Le olimpiadi dei mariti).Nel 1960-61, in compagnia con Massimo Girotti, mise in scena Becket e il suo re di J. Anouilh, presentando un Enrico candido, grossolano, infantilmente disperato e, nella stagione successiva, Raffaele di V. Brancati, senza convincere.

Dal 1964 iniziò la fortunata serie televisiva di "Maigret", tratta dai romanzi di G. Simenon per l'adattamento di Diego Fabbri e Romildo Craveri, che lo occupò per otto anni, se si eccettuano alcune fugaci apparizioni sulla scena (con Elsa Merlini, Ferruccio De Ceresa e Raffaella Carrà, Un po' di vento tra le fronde dei frassini, di R. De Obaldia nel 1966; con Andreina Pagnani, Non te li puoi portare appresso, di G. S. Kaufman e M. Hart, nel 1968; con la Pagnani e Paolo Carlini, Ogni mercoledì nel 1972 e Un ladro in Vaticano di D. Fabbri nel 1973), sullo schermo (Maigret e i gangsters, 1964; Maigret a Pigalle, 1965; Becket e il suo re, 1967; Uccidere in silenzio e Fratello ladro, 1972) e alla televisione (Dal tuo al mio, 1968; Non te li puoi portare appresso, 1969).

Dopo l'esordio del 1964 (Un Natale a casa Maigret,Cecilia è morta,La vita di un uomo,Maigret e la chiromante), il ciclo continuò nel 1965 (Non si uccidono dei poveri diavoli,L'innamorato della signora Maigret,L'ombra cinese,La vecchia signora di Bayeux), nel 1967 (Maigret e il chierichetto,Maigret e l'ispettore sfortunato), nel 1968 (Le inchieste del commissario Maigret), nel 1971 (Le avventure del commissario Maigret), per terminare nel 1972 (Maigret va in pensione). Ilpersonaggio, che pure aveva avuto interpreti famosi come Jean Gabin e Charles Laughton, fu una creazione originale del C. che seppe farne un tipico antieroe modesto e casalingo: "Gino Cervi ha trovato un'impeccabile misura anche televisiva nel suo Maigret fatto di una ruvida schiettezza, di una ricerca di identità fisica" (Surchi). La lentezza della ripresa caratteristica del mezzo permetteva inoltre, al C. di dare, in infiniti virtuosismi, il meglio del suo stile pacato e riflessivo.

Come doppiatore, il C. offrì la sua voce agli eroi shakespeariani interpretati da Laurence Olivier, per espresso desiderio dell'attore inglese. Nel 1970 divenne consigliere regionale del Lazio per il Partito liberale italiano.

Il C. morì il 3 genn. 1974 a Punta Ala (Grosseto).

Fonti e Bibl.: Necrologi: M. Goldoni, Tutto con stile e simpatia, in Il Resto del Carlino, 4 genn. 1974; C. Laurenzi, Ebbe una platea di milioni di italiani, in Il Corriere della sera, 4 genn. 1974; G. Prosperi, Fu Cyrano Peppone Maigret, in Il Tempo, 4 genn. 1974; S. Reggiani, Quel buon cardinale di C., in La Stampa, 5 genn. 1974; V. Ricciuti, La scomparsa di G. C., in Il Mattino, 4 genn. 1974; G. Terron, Un attore che non fu mai fischiato, in La Notte, 4 genn. 1974; U. Vigna, Un attore tranquillo, in Il Messaggero, 4 genn. 1974. Vedi ancora: E. F. Palmieri, G. C. uno e due, in Scenario, luglio 1942, p. 245; A. Pietrangeli, Quattro passi tra le nuvole, in Bianco e nero, gennaio 1943, p. 32; L. Freddi, Il cinema, Roma 1949, I, pp. 263 ss.; II, pp. 402-404, 406, 426; S. Bolchi, G. C. Attore antieroico, in Sipario, luglio 1950, pp. 13-16; S. D'Amico, Palcoscenico del dopoguerra, II, Torino 1953, pp. 108-110; Cinquanta anni di teatro in Italia, Roma 1954, p. LII; F. Carpi, Cinema italiano del dopoguerra, Milano 1958, p. 270; L. Ridenti, Ritratti perduti, Milano 1960, p. 287; G. Cervi, L'importanza dell'attore, in Sipario, dicembre 1965, pp. 27 s.; S. Surchi, Il paradosso di recitare in TV,ibid., p. 92; D. Fabbri, Ricordo di G. C., in Il Dramma, gennaio 1974, pp. 61-63; N. Leonelli, Attori tragici,attori comici, Milano 1940, p. 232; Enc. del teatro e del cinema, a cura di A. Curcio, Roma 1959, p. 111; Catalogo Bolaffi del cinema ital., Torino 1967, pp. 57 s.; Encicl. dello spett., III, coll.53-55; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, coll. 1209-1211.

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