PAVAROTTI, Luciano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PAVAROTTI, Luciano

Marco Beghelli

PAVAROTTI, Luciano. – Nacque a Modena il 12 ottobre 1935, primogenito di Fernando (1912-2002), fornaio, e di Adele Venturi (1915-2002), operaia alla manifattura tabacchi; dal matrimonio nacque anche Gabriella (1940-2013).

Nella città natale, si avvicinò alla musica grazie alla passione del padre, tenore dilettante: con lui cantò nel coro del Duomo da bambino, nella Corale Rossini da ragazzo, nel coro del teatro Comunale da adulto. Terminata la scuola magistrale che l’avviò alla professione di insegnante, decise di studiare canto: a diciannove anni prese lezioni dal tenore Arrigo Pola, che alla bellezza naturale di una voce tenorile senza eguali seppe applicare in tre anni una tecnica sicura; a ventidue passò (insieme alla ‘sorella di latte’ Mirella Freni e al pianista Leone Magiera, suo marito) nelle mani di Ettore Campogalliani, noto insegnate di canto a Mantova, che per quattro anni ne perfezionò lo stile interpretativo. Nel frattempo lavorò come maestro elementare per due anni scolastici, poi – per stancar meno la voce – come assicuratore.

Bocciato al concorso di canto Achille Peri di Reggio nell’Emilia nel 1960, si ripresentò l’anno successivo cantando «Che gelida manina» e conquistandosi così il diritto a esibirsi in una Bohème giovanile nel teatro Municipale della città, sotto la direzione esperta di Francesco Molinari Pradelli e la regia del soprano Mafalda Favero: fu il suo debutto scenico (29 aprile 1961). Il basso della compagnia era Dmitrij Nabokov, figlio dell’autore di Lolita: non avrebbe fatto carriera, ma aveva i mezzi per registrare la recita da far sentire al padre, cosicché è possibile oggi ascoltare il primo Rodolfo di Luciano Pavarotti, personaggio con cui il tenore si identificò poi per 35 anni e 360 recite (fino a quelle del 1996 a Torino per festeggiare il centenario dell’opera). Sedeva in platea il tenore Alessandro Ziliani, ora agente teatrale, che entusiasta lo prese sotto la sua protezione. Il 14 settembre 1961 Pavarotti fece così il debutto professionale incassando 40.000 lire per La bohème al teatro del Giglio di Lucca. Il 30 settembre 1961 si sposò (testimone Ziliani) con Adua Veroni (nata il 21 febbraio 1936), conosciuta a scuola, fidanzata da otto anni: ebbero tre figlie, Lorenza (26 ottobre 1962), Cristina (8 agosto 1964) e Giuliana (9 gennaio 1967).

Con la stagione 1961-62 cominciò una regolare carriera teatrale, che per tre anni Ziliani volle limitata a parti di puro ‘tenore lirico’: La bohème, Rigoletto, La traviata, Lucia di Lammermoor, Madama Butterfly sono le sole opere che impegnarono a rotazione continua il giovane Pavarotti, dapprima nei teatri minori italiani, poi a Belgrado, Amsterdam, Vienna (dove l’ascoltò Herbert von Karajan), Dublino, Londra (dove sostituì Giuseppe Di Stefano e venne invitato alla BBC), Ankara, Budapest. Respinta l’offerta di Francesco Siciliani, che lo avrebbe voluto subito alla Scala per Guglielmo Tell, accettò invece quella del Festival di Glyndebourne, che gli offriva Idamante nell’Idomeneo di Mozart (24 luglio 1964): fu una scelta – diremmo oggi – lungimirante, che, se coltivata, avrebbe potuto aprirgli una carriera parallela di grande interesse, con esiti inediti nel recupero dell’opera del Settecento (all’epoca affidata a tenori flebili e falsettanti).

Il 1965, in occasione del debutto negli Stati Uniti (Lucia di Lammermoor a Miami), fu l’anno del nodale incontro artistico con il soprano Joan Sutherland e il direttore d’orchestra Richard Bonynge, i coniugi australiani specializzatisi nel recupero del belcanto del primo Ottocentesco: l’interminabile tournée estiva fra i teatri del loro Paese d’origine risultò per Pavarotti una scuola di tecnica e di stile («Era sempre con le mani sulla pancia di mia moglie per capire come usava il diaframma», ricorderà Bonynge a ogni occasione); grazie a loro, Bellini e Donizetti divennero gli autori di riferimento, con il primo approccio all’Elisir d’amore (Melbourne, 15 luglio 1965), titolo poi capitale nella sua carriera, e fondamentali exploit nella Sonnambula (Londra, Royal Opera House Covent Garden, 26 maggio 1965) e nella Fille du régiment (Londra, 2 giugno 1966), unica opera in lingua non italiana che Pavarotti tenne poi in repertorio, entrambe affrontate, contro l’uso invalso, con voce piena e squillante: gli estremi acuti di cui le due opere pullulano divennero così irresistibili fuochi d’artificio canori, e l’esecuzione dei nove Do acuti che costellano l’aria «Ah, mes amis, quel jour de fête!», emessi da Pavarotti con impareggiabile baldanza, finirono sui giornali di mezzo mondo. Il 1965 fu anche l’anno del debutto alla Scala di Milano, chiamatovi da Karajan per una Bohème con Mirella Freni e la regia di Franco Zeffirelli, che nelle sue varie declinazioni teatrali, filmiche e discografiche divenne poi un’icona dell’interpretazione pucciniana novecentesca: solo l’ultima recita fu riservata a Pavarotti (28 aprile 1965), ma rappresentò l’ingresso nell’agognato teatro, che gli spalancò poi le porte nelle stagioni successive (140 recite in 28 anni).

Il 1966 si distinse per il debutto discografico: una Beatrice di Tenda belliniana (con Sutherland e Bonynge) che Pavarotti non cantò mai in scena, ma che segnò l’inizio di una collaborazione per lungo tempo in esclusiva con l’etichetta inglese Decca (35 opere complete, per tacere dei recital), foriera negli anni di vendite senza precedenti in ambito operistico (oltre 100 milioni di copie fra tutti i titoli fino al momento della morte).

Del 1967 fu l’arrivo al War Memorial Opera House di San Francisco (11 novembre, La bohème), il teatro che ripetutamente gli consentì di sperimentarsi in nuove opere, poi divenute fondamentali nel suo carnet: e furono Un ballo in maschera (1971), La favorita (1973), Luisa Miller (1974), Il trovatore (1975), Turandot (1977), La Gioconda (1979), Aida (1981). Nel 1968 giunse infine il debutto al Metropolitan di New York (23 novembre, La bohème), il teatro con cui più d’ogni altro si è identificata la natura popolare e mediatica dell’artista, per ben 379 recite in 36 anni, fino all’addio alle scene con Tosca, il 13 marzo 2004.

Nel novembre 1969, con un’irresistibile interpretazione di Oronte nei Lombardi alla Prima Crociata (Roma, teatro dell’Opera), Pavarotti sancì definitivamente il proprio primato nella definizione vocale del tenore romantico (fino al primo Verdi), rimasto a oggi insuperato.

Se gli anni Settanta costituirono per lui l’apice artistico, sia in teatro sia in disco (storiche le registrazioni della Fille du régiment, di Turandot, dei Puritani, del Guglielmo Tell), gli anni Ottanta e Novanta videro il progressivo ampliamento del suo repertorio verso parti di tenore drammatico (La Gioconda, Aida, Ernani, Otello, Pagliacci, Don Carlo, Andrea Chénier), con esiti non sempre convincenti; ma soprattutto rappresentarono il periodo della dilagante popolarità extrateatrale e infine extraoperistica, con una serie di esibizioni oceaniche – spesso amplificate su scala internazionale dal mezzo televisivo – che, partendo dai grandi spazi aperti di New York (un Rigoletto in forma di concerto a Central Park, 17 giugno 1980, con 200.000 spettatori e altrettante presenze al concerto del 26 giugno 1993) o di Londra (un concerto a Hyde Park, 30 luglio 1991, con 330.000 spettatori), passando attraverso stadi (come l’Estádio do Pacaembu a São Paulo, 1991), palazzi dello sport (inaugurazione del BPA Palas di Pesaro, l’odierna Adriatic Arena, 18 agosto 1996) o locations turistiche (lo Champ-de-Mars antistante la Tour Eiffel a Parigi, 2 settembre 1993), giungono fino alla istituzionalizzazione di periodici raduni caratterizzati dalla compartecipazione inedita di artisti di pari o diversificata fama: furono i celebrati concerti milionari dei Tre Tenori – con Pavarotti cantavano Plácido Domingo e José Carreras – riproposti per 33 edizioni itineranti (1990-2003), solo in tre casi con finalità benefiche (la registrazione discografica della prima edizione, effettuata a Roma, Terme di Caracalla, il 7 luglio 1990, direttore Zubin Mehta, in occasione della finale della FIFA World Cup, s’impose come l’album di ‘musica classica’ più venduto di tutti i tempi); e a essi s’affiancarono presto le kermesses modenesi denominate Pavarotti & Friends (10 edizioni dal 1992 al 2003), formidabili veicoli economici per svariate campagne umanitarie all’insegna della mescidanza dei generi musicali, che ampliarono a dismisura la visibilità e la popolarità di Pavarotti presso un pubblico generico indotto a conoscerlo attraverso le star internazionali del pop e del rock.

All’organizzazione di questi grandi eventi multimediali concorse Nicoletta Mantovani (nata il 23 novembre 1969), una studentessa bolognese giunta nel 1993 come hostess del Pavarotti international horse show, con la quale il tenore avviò una relazione che lo portò al divorzio dalla prima moglie (4 luglio 2000), alla nascita della figlia Alice (13 gennaio 2003; il gemellino Riccardo morì durante il parto) e al secondo matrimonio che si svolse a Modena nel teatro Comunale il 13 dicembre 2003.

Negli anni seguenti le occasioni artistiche si fecero sempre più rare e precarie: l’ultima esibizione pubblica risale al 10 aprile 2006, nella cerimonia di apertura dei XX Giochi olimpici invernali a Torino, con una sofferta esecuzione di «Nessun dorma», l’aria di Calaf nella Turandot di Puccini, che con l’intrepido grido finale «Vincerò! vincerò!» era divenuta il distintivo canoro del personaggio Pavarotti, a tutti i livelli sociali e culturali.

Un tumore al pancreas diagnosticato nel luglio 2006 lo condusse a rapida morte il 6 settembre 2007 nella casa di Modena, con funerali celebrati sontuosamente in Duomo. Il 6 dicembre 2007 gli è stato intitolato il teatro Comunale della sua città.

Giovialità, esuberanza e comunicativa furono le carte vincenti della popolarità di Pavarotti: quanto Enrico Caruso aveva fatto in questi termini a livello degli Stati Uniti e con l’ausilio del grammofono, Pavarotti riuscì a ripeterlo in misura amplificata al mondo intero (una Bohème persino a Pechino: 28 giugno 1986) e supportato da tutti i nuovi media. L’altezza spiccata e la corporatura imponente gestita con nonchalance (che gli valsero l’appellativo di Big Luciano) limitarono però la dimensione attoriale dell’interprete, affidatosi in toto all’attrattiva di un timbro vocale limpido e solare, a un’emissione facile e generosa, a un’estensione acuta prodigiosa, che unitamente a una dizione chiara e sempre scandita ne fecero l’esecutore ideale anche di canzoni leggere caratterizzate da cantabilità spiegata e sentimenti primari (sulla scia di Beniamino Gigli), accanto ai personaggi operistici più vicini alla sua indole: l’istintivo Rodolfo (La bohème), lo spensierato Riccardo (Un ballo in maschera), il sempliciotto Nemorino (L’elisir d’amore), cui una certa qual ingenua gaucherie finiva per ben coniugarsi. Tanta spontaneità canora, non supportata da altrettanta saldezza musicale (è ben nota la difficoltà crescente nell’apprendere nuove parti), fu la causa prima di occasionali débacles proprio là dove la lucentezza del suono fosse venuta occasionalmente meno senza trovare nell’intensità interpretativa una sufficiente compensazione (clamorosi i tre insuccessi alla Scala di Milano, finiti sulle prime pagine dei quotidiani: La favorita, 28 gennaio 1974; Lucia di Lammermoor, 15 marzo 1983; Don Carlo, 7 dicembre 1992; mentre all’estero tutto gli fu sempre concesso e applaudito).

Onorato da una sequenza infinita di premi e riconoscimenti, non solo artistici (nel 1997 fu nominato dall’ONU ‘Ambasciatore della pace’ per le numerose opere di beneficenza), titolare di una fortunata eau de toilette maschile (dal 1995), Pavarotti non disdegnò di mettersi alla prova anche in ruoli che non gli competevano: regista d’opera (una Favorita a Venezia nel dicembre 1988, una Bohème a Fano nel dicembre 2004), produttore discografico (l’etichetta CIME Records fondata a Zola Predosa nel 1975 con gli amici di sempre Freni e Magiera, presto ceduta alla Decca), attore cinematografico (il film musicale Yes, Giorgio nel 1982), pittore (varie personali, allestite per il mondo, dei suoi quadri dai colori sgargianti come le camicie ‘hawaiane’ che predilesse), organizzatore di raduni ippici (11 edizioni del Pavarotti international horse show a Modena, 1991-2001), showman televisivo (la conduzione del 50° Festival della Canzone italiana a Sanremo nel 2000), attirandosi così le immancabili critiche dei puristi che avrebbero voluto vederlo limitarsi al canto operistico. Più fortunata l’organizzazione del concorso di canto The Luciano Pavarotti international vocal competition (cinque edizioni, 1980-97), con selezioni condotte su scala internazionale e seguite in prima persona dal tenore: Pavarotti, che spese molto tempo anche a dare lezioni (sempre gratuite), non fu mai un vero insegnante di canto, ma i vincitori del concorso avevano il diritto di cantare al suo fianco in speciali produzioni operistiche capaci di porli all’attenzione generale.

Tutto questo – nel bene e (talvolta) nel male – ha contribuito non poco a diffondere fatti e personaggi dell’opera fuori dai teatri, come dai tempi di Maria Callas non era più avvenuto, e ha diffuso un marchio di ‘italianità’ nel mondo come pochi altri prodotti e manifestazioni hanno saputo fare nel XX secolo. Quanto a lui, desiderò sempre essere ricordato come l’uomo che ha portato l’opera lirica alle masse.

Fonti e Bibl.: P. My own story, a cura di W. Wright, New York 1981 (trad. it. Io, L. P., Milano 1981); R. Allegri, Il prezzo del successo. Trenta cantanti raccontano la loro storia, Milano 1983, pp. 127-136; R. Celletti - G. Corzolani, P., 25 anni per la musica, Modena 1986 (con cronologia 1961-86); M. Mayer, Grandissimo Pavarotti, Garden City, NY, 1986 (con cronologia 1961-86); M. Lewis, The private lives of the three tenors: behind the scenes with Plácido Domingo, L. P., and José Carreras, New York 1986; H. Matheopoulos, Bravo. Today’s great tenors, baritones, and basses discuss their roles, London 1986 (trad. it. Bravo. Incontri con grandi tenori, baritoni e bassi, Milano 1987, pp. 143-162); C. Bonvicini, L. P. Un mito della lirica, Roma 1989; L. Magiera, L. P. Metodo e mito, Milano 1990; J. Kesting, L. P.: Ein Essay über den Mythos der Tenorstimme, Düsseldorf 19912; A. Pavarotti - W. Dallas, P.: life with L., New York 1992 (trad. it. Vivere con L., Trento 1992); L. Pavarotti - W. Wright, P.: my world, New York 1995 (trad. it. Io, P., Milano 1995); H. Breslin - A. Midgette, The King and I: the uncensored tale of L. P.’s rise to fame by his manager, friend, and sometime adversary, Edinburgh 2004; A. Mattioli, Big Luciano. P., la vera storia, Milano 2007; M. Boerci, Vissi d’arte vissi d’amore: rivalità, passioni e gelosie delle signore Pavarotti, donne di cuori e di denari, Milano 2007; G. Guandalini, L. P. Il trionfo della voce, Roma 2008; L. Magiera, P. visto da vicino, S. Giuliano Milanese 2008; L. P. L’uomo che emozionò il mondo, a cura di A. Nicosia, Milano 2008 (album fotografico); B. Zagaglia, Briscola Maestro! Il piccolo mondo di L. P., Modena 2008; J. Allison, P. in “Opera” [reviews 1963-2004], supplemento a Opera, LIX (2008), n. 3; M. Balestrazzi, P. dossier: ritratto a più voci di un tenore d’opera, Palermo 2009; A. Colli, L. P. L’altro verso della medaglia: biografia artistica dal 1961 al 2004, Settimo Milanese 2010; T. Bedonni, L. P.: il cuore oltre l’ostacolo, Roma 2014 (sull’attività ippica).

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