OSTIA

Enciclopedia Italiana (1935)

OSTIA (A. T., 24-25-26 bis)

Guido CALZA
Giovanni COLASANTI

Borgata nel comune di Roma, posta a 7 m. s. m.; il centro attuale sorse nella prima metà del secolo IX sulla riva sinistra del Tevere all'estremità nord-orientale dell'antica città romana (v. sotto) di cui prese il nome; ebbe un periodo di relativa flondezza al tempo di Giulio II, cui si deve anche un tentativo di ripopolamento; in tempi moderni l'abitato si è ingrandito con le abitazioni costruite per i coloni ravennati della bonifica: il centro conta oggi 5468 abitanti. È unita con Roma per mezzo di una ferrovia elettrica e di un'autostrada.

Storia e arte. - Antichità. - Ostia è in origine il plurale della voce ostium, porta, imboccatura del fiume. Ostia ha dunque significato anzitutto "le bocche del Tevere": Ostia Tiberina o, in senso assoluto, le foci, Ostia. Questo plurale subì però in genere l'attrazione delle voci femminili urbs o colonia che le si aggiungevano, cosicché per indicare la città nell'uso corrente si trova più spesso usata la voce Ostia al singolare femminile. La fondazione di Ostia si fa concordemente risalire al re Anco Marcio. Sembra in contrasto il solo Polibio che, pur non facendo il nome del fondatore, lascia verosimilmente sottintendere quello di Numa.

E. Pais suppose che la leggenda di Anco Marcio non fosse che una tradizione antidatata delle vicende storiche riferibili al primo dittatore venuto dalla plebe, C. Marcio Rutilo, il quale, avendo liberato le foci del Tevere dal dominio degli Etruschi, alla metà del sec. IV a. C., diede modo ai Romani di fondarvi la città di Ostia. Gli annalisti romani avrebbero riferito il fatto al mitico antenato, il re Anco Marcio, così come riportano allo stesso re i lavori dell'acqua Marcia effettivamente eseguiti nel 146 a. C. dal pretore Q. Marcio Re.

J. Carcopino invece, in difesa della tradizione, ha immaginato che la colonia di Ostia sia stata preceduta da un santuario federale latino dell'antico dio Vulcano, stabilito a monte della vera città di Ostia e in un luogo che i cambiamenti del letto del Tevere avrebbero fatto sparire completamente.

Le ragioni addotte dal Carcopino si fondano non solo sull'accordo della tradizione, che fa risalire. Ostia ad Anco Marcio, ma sull'antichità della religione ostiense di Vulcano, la cui organizzazione avrebbe preceduto la fondazione stessa della città. E poiché Festo ci dice che la tradizione dell'Ostia di Anco Marcio si riferisce "sive ad urbem sive ad coloniam quae postea condita est", il Carcopino afferma che Ostia, prima colonia marittima dei Romani, fu preceduta da una Urbs, nata e vissuta sotto la protezione di un santuario di Vulcano, il cui carattere sacro avrebbe tenuto in rispetto tutti i popoli che le erano intorno: Latini e Volsci, Etruschi e Anziati. Questa tesi non riesce del tutto convincente.

E invero anche ammessa una Ostia pre-ostiense, essa avrebbe avuto una funzione puramente religiosa, ben altra dunque da quella funzione militare e marittima, che tutti i testi antichi attribuiscono all'Ostia di Anco Marcio, e che è insomma la ragione d'essere della fondazione stessa di una città alla foce del Tevere. E mentre non si può dare nessun appoggio archeologico alla tesi del Carcopino, le esplorazioni condotte da G. Calza, nell'intento di chiarire le origini di Ostia, hanno messo in luce l'esistenza di una città che, pur rispondendo agli scopi e occupando la posizione della prima colonia marittima di Roma, risale a non oltre la fine del sec. IV a. C.

Infatti, nel centro della città imperiale di Ostia esistono tuttora gli avanzi di una cittadella fortificata da solide mura di blocchi di tufo, munita almeno di tre porte, la quale conserva, al livello della sabbia naturale, i resti di alcuni edifici che furono le costruzioni ostiensi destinate ai primi coloni. La cittadella ha forma rettangolare e misura metri 193 × 120; è situata a circa 400 metri dall'antica spiaggia del mare, cioè nella posizione che concordemente le assegnano gli antichi. La solidità delle mura, la relativa piccolezza della cittadella, la sua forma rettangolare la rendono simile ad un castrum, cioè ad un accampamento militare a carattere permanente, rispondente appunto alle necessità per cui la colonia veniva fondata dai Romani. L'essere sorta su terreno vergine attesta già la sua antichità, comprovata dall'esame delle costruzioni e dei manufatti trovati in essa che ne precisano la datazione in modo inequivocabile. La cinta di mura è in tutto simile, per tecnica e per materiale, alla cinta di Roma post-gallica e i reperti sono cocci etrusco-campani, coevi a quella. Inoltre, la rispondenza che si avverte tra questa prima Ostia e la città di Enea alla foce del Tevere, quale ce la descrive Virgilio nel libro sesto dell'Eneide, prova che all'epoca di Augusto le vestigia visibili di quella colonia potevano suggerire al poeta il fondamento storico, per dir così, della città creata dalla sua fantasia.

Si deve dunque riportare la fondazione di Ostia, come prima colonia marittima di Roma, alla fine del quarto secolo, e più precisamente fra il 338 e il 318 a. C., quando si accolga l'acuta osservazione del Carcopino. Questi, ampliando la tesi del Pais, osserva che Ostia deve essere stata fondata dopo le vittorie sugli Etruschi, padroni della riva destra del Tevere, e sugli Anziati, padroni della riva sinistra, che furono vinti nel 338 a. C., e prima della deduzione della colonia ad Anzio, avvenuta molto probabilmente nel 318.

Critica storica ed esplorazione archeologica si sono dunque trovate d'accordo nel fissare la fondazione di Ostia intorno al 330 a. C., ed è da questo tempo che cominciano la storia e la vita di Ostia. Di questa storia e di questa vita primitiva abbiamo però scarsissime notizie letterarie. Una delle prime funzioni di Ostia fu l'assicurare a Roma l'approvvigionamento del sale. L'altra funzione, implicita nella fondazione stessa di una colonia romana sul mare, è meglio precisata dal tipo stesso dei ruderi ritrovati della cittadella, che è un castrum saldamente fortificato, quale doveva essere una stazione navale per le prime flotte romane che mossero alla conquista dei paesi mediterranei.

Le pochissime notizie tramandateci su Ostia repubblicana da antichi scrittori sono le seguenti.

Nel 266 a. C. uno dei due quaestores classici, istituiti anteriormente alla prima guerra punica, risiede ad Ostia ed è chiamato quaestor ostiensis. Nel 217 Ostia deve provvedere le vettovaglie all'esercito di Spagna, a mezzo delle sue navi che però sono catturate dalla flotta cartaginese; nel 216 approda qui la flotta mandata da Gerone e, dopo Canne, M. Claudio Marcello manda in difesa di Roma 1500 soldati della flotta ancorata a Ostia; nel 215 ne partono 30 navi per Taranto; nel 212 si sa depositato a Ostia il grano proveniente dalla Sardegna e dall'Etruria; nel 211 ne salpa Scipione per la Spagna; nel 208 vi erano 30 navi in riparazione. Al tempo della guerra annibalica Ostia ottiene, insieme con Anzio, l'esenzione dal servizio militare: ciò che dimostra l'importanza navale della sua posizione. Nel 204 giunge a Ostia la nave che reca il simulacro della dea Cibele. Durante la lotta civile tra Mario e Silla, Mario saccheggiò e devastò la città. Nel 67 una squadra di navi quivi raccolta fu assalita, e in parte distrutta, da pirati cilici, onde Cicerone (Pro lege Man., 12, 33) mosse fiera rampogna al Senato.

Le fonti storiche sono però integrate ormai dai dati emersi dalle esplorazioni archeologiche.

Constatiamo infatti che la città di Ostia, saccheggiata e distrutta da Mario, dovette essere assai più vasta della cittadella primitiva, se Silla, ricostruendola, la munì di un giro di mura che ha un perimetro di 2500 m. circa, cioè quattro volte più grande della cinta originaria. Evidentemente, nei due secoli che intercorrono dalla fondazione all'epoca di Silla, Ostia si era già ingrandita, soprattutto verso Roma, sebbene la cinta sillana sia di 350 m. circa più lontana dalla primitiva anche dalla parte del mare. Infatti la prima cittadella si venne a trovare quasi nel centro della Ostia sillana, e il centro di quella, cioè il punto dove fino dall'origine s'incrociavano il decumano e il cardine massimi, fu il foro di Ostia repubblicana e imperiale. La constatazione archeologica di una città ostiense, di considerevoli dimensioni, il cui sviluppo è già fissato da un piano regolatore bene definito e che risale almeno al principio del secolo I a. C., indica l'importanza che Roma diede a Ostia non solo come stazione navale, ma come emporio commerciale già prima dell'impero. Si comprende meglio allora, come, se non Cesare, forse Augusto stesso concepisse il progetto di dotarla di un bacino portuale, che poi l'imperatore Claudio costruì. Le testimonianze archeologiche dichiarano Ostia la città più vasta e importante del Lazio, almeno già dall'ultimo secolo della repubblica.

I monumenti rintracciati e visibili di questa città di età repubblicana sono i seguenti: una cinta di mura in opus incertum, cioè in reticolato di tasselli di tufo irregolari. La cinta ha cinque lati, congiunti ad angolo ottuso, di varia lunghezza, ed è munita di tre porte con torri rettangolari: Porta Romana a E. e Porta Marina a O., alle due estremità del decumano massimo; Porta Laurentina all'estremità del cardine massimo, a S. Inoltre, una torre, in opus quadratum a blocchi rettangolari di tufo leggermente bugnati, posta a un centinaio di metri dalla porta Romana, costituiva la difesa del Tevere, lungo il quale è dubbio se la cinta di mura continuasse.

Entro questa cinta, strade e caseggiati si dispongono secondo un piano regolatore, di cui c'è anche una testimonianza epigrafica. Infatti, lungo il lato settentrionale del decumano, alcuni cippi di travertino con iscrizione ricordano l'aggiudicazione, fatta dal demanio, del terreno tra il decumano massimo, arteria principale della città, e il Tevere. Tali cippi si possono datare dall'epoca di Silla, e forse sono anche precedenti a questa. Non si può essere certi però che la ripartizione regolare della città si sia estesa anche alla parte meridionale di essa.

Entro la cinta i monumenti esplorati di epoca repubblicana sono: un complesso di magazzini presso la Porta Romana, l'area dei quattro tempietti, che poggiano sopra un unico basamento di tufo risalente al sec. II a. C.; un tempietto a Giove Ottimo Massimo, in opera reticolata; un'ara a grandi blocchi di tufo, posta quasi davanti all'ingresso del teatro; un tempietto all'angolo del decumano con la Via dei Molini, con basamento in tufo e stilobate in reticolato; un altro tempietto presso il Foro, conservato nel suo stilobate a blocchi di tufo; infine tre case di tipo pompeiano poste sulla via pomeriale interna, di cui si conservano anche i pavnnenti in opus sectile. Il primo teatro e il grande Piazzale delle corporazioni che è ad esso connesso, risalendo all'età augustea, possono rientrare nei monumenti anteriori all'impero. Quanto alle strade, esse erano poco più strette di quelle della città imperiale, e almeno il decumano. doveva essere ornato di colonnati, a giudicare da alcune colonne di tufo trovate sul lato meridionale di esso all'altezza del teatro. I sepolcreti di questa città repubblicana furono lungo le strade principali fuori le mura, e cioè lungo la Via Ostiense, sulla quale, e sulla via ad essa parallela, sono state ritrovate piccole tombe a pozzo e tombe a inumazione e cremazione, e sulla Via Laurentina (prosecuzione del cardo maximus) in cui sono recinti sepolcrali in opera reticolata anteriori all'impero. Il livello della città repubblicana è di circa un metro più basso di quello del sec. II d. C. livello che non permette di lasciare allo scoperto tutte le rovine, perché per molti mesi dell'anno esse sono invase dall'acqua d'infiltrazione del sottosuolo.

L'impero trova quindi in Ostia una città e una cittadinanza in pieno rigoglio, ma, com'è naturale, la costruzione del porto di Claudio e la necessità di un più largo approvvigionamento della capitale dànno a Ostia una funzione anche più importante di quella che ebbe sotto la repubblica. Infatti il porto di Ostia non diminuì, ma accrebbe l'importanza della città tiberina, la quale, almeno durante i tre primi secoli dell'era volgare, assunse il compito di raccogliere, conservare e distribuire le merci e le derrate che giungevano dalle provincie, soprattutto occidentali e africane, e di disciplinare il commercio marittimo di Roma. La direzione di questo commercio e l'organizzazione della vasta azienda dell'annona non passarono mai da Ostia a Porto, anche se, con l'andar del tempo, intorno al bacino di Claudio e di Traiano si formò un'altra città: il Portus Romae. Ciò si deve al fatto che Ostia era già un completo organismo urbano quando Claudio costruì il porto, e continuò quindi la sua funzione, tanto più che il porto era a soli 4 km. di distanza da essa. Ecco perché allo stesso Claudio, forse, si deve l'innalzamento del tempio di Roma e Augusto sul Foro di Ostia; e un musaico sottostante alla Via dei Vigili, e appartenente a un edificio termale della metà del sec. I, ci mostra, con l'associazione di figurazioni di provincie e di venti, quanta importanza annettesse Ostia al nuovo porto.

A Caligola si debbono l'acquedotto e le grandi tubature plumbee che portarono a tutta la città l'acqua potabile, conducendovela da una località dell'attuale tenuta di Castel Porziano, circa a mezza strada tra Roma e Ostia. Anche Domiziano, per più indizî, si interessò di Ostia. Ugualmente, quando fu costruito da Traiano un nuovo, più ampio e interno bacino portuale, dopo l'interramento di quello di Claudio, Ostia accrebbe il suo prestigio, perché si può datare da età adrianea una nuova sistemazione della parte centrale della città, con la costruzione del Capitolium e del quartiere di case e di botteghe sorte dietro e intorno ad esso.

Le previdenze e le prodigalità degl'imperatori verso la città di Ostia continuarono sotto gli Antonini e sotto i Severi (l'ampliamento del teatro è di Caracalla, e al principio del sec. III risale la costruzione dell'Augusteum). L'imperatore Tacito costruì a Ostia un foro che porta il suo nome, e regalò cento colonne di marmo numidico; ancora nel 309 Massenzio aprì nella città una zecca. Sicché la vita, del resto rigogliosa, del Porto di Roma si svolse accanto a quella di Ostia senza alterarne la funzione e senza scemarne l'importanza. Fu Costantino che, togliendo i diritti municipali a Ostia e dandoli a Porto, affrettò la fine di Ostia, la quale non avrebbe tuttavia tardato molto a morire, anche se le fosse stato risparmiato quell'atto amministrativo. Era infatti inevitabile che Ostia, sorta come affermazione dell'espansione politica, navale e commerciale di Roma, sparisse quando Roma cessò di essere la capitale del mondo latino. La Roma costantiniana non avendo più necessità, per l'allontanamento della corte e di gran parte del patriziato e per la diminuzione della cittadinanza, di una città annonaria, mantiene in vita soltanto il suo porto. Così anche nella sua decadenza e nella sua fine Ostia fu strettamente legata a Roma e partecipò alle sue vicende storiche. L'abbandono causò a poco a poco il crollo delle parti più alte degli edifici, i quali furono sconvolti e ricoperti dalle stesse loro macerie, che raggiungono talvolta l'altezza di più di 10 m. dall'antica pavimentazione stradale. Solo nel sec. XX, dopo le ricerche sporadiche precedenti, gli scavi metodici, iniziati nel 1909 dallo stato italiano, misero in luce le rovine dell'antica città.

La città ha pianta regolare, con strade diritte, parallele e normali tra loro, e fu divisa già in antico in regioni. La parte messa in luce (una quinta parte della superficie totale e cioè circa 20 ettari sui cento, sui quali essa si estendeva) è quella verso il Tevere, tra il fiume e il decumano massimo, dalla Porta Romana al foro. Strade, case, botteghe, portici in grande numero, ci dànno una chiara idea dell'edilizia urbana, che si completa con imponenti monumenti pubblici, cioè templi, terme, teatro e annesso Piazzale delle corporazioni, magazzini granarî pubblici e privati, il Foro con una basilica, una curia, un Augusteum. Le tombe fiangheggiano le vie Ostiense e Laurentina, e cominciano appena passate le porte della città. Nella parte ancora inesplorata affiorano ruderi d'imponenti costruzioni pubbliche, giacché anche i monumenti non furono limitati alla zona centrale della città, ma sorsero dappertutto, onde è legittima l'attesa di nuove scoperte interessanti per la religione, per la vita e per l'architettura di Ostia.

Una città vissuta per otto secoli della stessa vita di Roma, e situata a venti chilometri da essa in modo da essere un quartiere dell'Urbe, può meglio di ogni altra città antica darci l'immagine di quello che fu Roma imperiale. Ed è appunto questa l'importanza di Ostia. L'ottima conservazione delle rovine, dovuta al fatto che la città è rimasta sepolta non per cataclismi, ma per un lento rovinio e una lenta caduta degli edifici, e non si è mai ripopolata, ci permette anzitutto di addentrarci nell'esame di varie forme dell'edilizia romana. Ostia fu quasi tutta costruita in mattoni, e ha, per ciò solo, un suo proprio carattere non dissimile da quello di Roma antica. I monumenti pubblici sono in genere rivestiti, talvolta costruiti, di marmo, mentre gli edifici commerciali e privati sono in laterizio senza intonaco. E questo laterizio non solo è variato nel colore, ma è ricco di motivi decorativi e ornamentali.

Ecco dunque un primo e nuovo elemento di studio, che Pompei ad esempio non ci fornisce. Ed è soprattutto nella casa e nella tomba ostiense che si possono studiare l'architettura e la decorazione romane nelle varie forme che esse assumono. La casa ostiense, l'insula (v.), che si contrappone alla domus, rivela nella pianta e nell'alzato un tipo interamente differente dal tipo pompeiano, cioè da quello tradizionale dell'abitazione latina. Infatti essa è elevata su tre, quattro e forse cinque piani, con facciate su strade e su cortili interni scoperti, divisa in appartamenti indipendenti tra loro, illuminati da file regolari di finestre. Al piano terra ci sono botteghe o appartamenti, ai piani superiori soltanto abitazioni, alle quali si sale per mezzo di scale sboccanti o sulla strada o sui cortili interni.

Spesso le case sono fornite di portici e di balconi di vario tipo nei piani superiori. L'interno delle abitazioni è diviso in camere di varia dimensione, nelle quali però non è più prestabilito, come nella casa pompeiana, l'uso che se ne deve fare; l'inquilino può variarlo a suo piacere di modo che, sia dall'esterno sia nell'interno, la casa ostiense è molto simile alla casa moderna, di cui anzi costituisce il prototipo. Il tipo ostiense dovette essere il più diffuso sia in Roma sia nelle grandi città, dove il forte agglomeramento rendeva necessaria l'adozione di una casa che rispondesse a tutte le esigenze sociali. La scoperta a Roma, alle pendici del Campidoglio, di un'insula di cinque piani di altezza ha aggiunto un'altra prova di questa diffusione nella capitale dell'impero.

Anche i magazzini ostiensi rivelano tipi e forme architettoniche interessanti, né si può disconoscere varietà e novità anche in alcuni monumenti pubblici, come, ad esempio, nella curia, nella basilica, nel teatro, nei varî edifici termali di cui la città abbonda. Le tombe studiate sia in Ostia sia nella vicina necropoli dell'Isola Sacra ci rivelano il modo di sepoltura della borghesia e del popolo, e in esse si avverte uniformità di modelli congiunta a un'innegabile dignità e grazia architettonica e decorativa. Sono costituite in genere da camere funerarie, in cui, durante l'impero, l'inumazione e la cremazione vengono usate promiscuamente sia per una singola famiglia sia per una comunità. Talvolta hanno un solarium e nell'interno sono decorate di stucchi o dipinti e di pavimento a musaico.

In sostanza, la scoperta di Ostia aggiunge alla conoscenza dell'architettura e dell'arte decorativa romane un nuovo e ampio, interessante capitolo. Non minore importanza rivela Ostia per la conoscenza della religione antica. Avendo essa ospitato molti culti stranieri, ci conserva parecchi santuarî mitriaci, un tempio alla Magna Mater, e non pochi templi a divinità nazionali, come il Capitolium e il tempio di Roma e Augusto.

Scarse sono le vestigia monumentali lasciate dal cristianesimo, del quale in ogni modo Ostia s'illustra non solo per il dialogo di Minucio Felice l'Ottavio sulla religione di Cristo, che s'immagina avvenuto sulla spiaggia di Ostia; non solo per alcuni martiri ostiensi e per la permanenza in essa di Santa Monnica e Sant'Agostino, ma per gli avanzi di una cappella eretta in memoria di quei martiri, per alcuni sarcofagi cristiani, e per la figura di un Buon Pastore scolpita sopra un tronco di colonna.

Quanto alle manifestazioni artistiche ostiensi, molto più abbondanti esse sarebbero, se la città non fosse stata abbandonata lentamente dagli abitanti, e non fosse stata saccheggiata delle sue opere d'arte fin quasi ai giorni nostri. I dipinti sono certo assai inferiori per numero e per qualità alle pitture pompeiane, ma rivelano una decorazione pittorica stilisticamente interessante, e che ci permette di studiare l'evoluzione della pittura romana postpompeiana e di riallacciarla alla pittura cristiana.

Maggiore ricchezza e varietà è nei musaici che abbondano anche nelle case private. Nella scultura, oltre a buone copie di modelli greci, Ostia va segnalata per l'abbondanza e la qualità di ritratti: di imperatori e di personaggi, anche di epoca tarda. L'Antiquarium Ostiense, ordinato nel centro stesso delle rovine, in un edificio costruito sotto Pio IX (il cosiddetto "Casone del Sale", sede della direzione degli scavi) dà un'idea dei prodotti artistici ritrovati nella città dopo gli scavi sistematici.

Medioevo ed età moderna. - L'importanza di Ostia antica si riflette nella prima età cristiana quando il vescovo di Roma era ordinato, di regola, da quello di Ostia. Le grandi invasioni barbariche devastarono la città (Alarico nel 408; Vitige nel 537 d. C.). Poco dopo, con l'apparizione degli Arabi nel Mediterraneo occidentale, i traffici vennero turbati e cominciò il declino del porto: gl'interramenti del Tevere (circa 4 m. di avanzata all'anno) accelerarono l'abbandono. Da allora tramontò il ricordo dell'antica grandezza; e la vita si raccolse nel misero borgo fortificato sorto ai margini dell'antica città verso l'anno 830 e che divenne il baluardo litoraneo di Roma contro le flottiglie saracene. Nell'888 un'armata saracena venne in queste acque battuta da una flotta confederata di cristiani; ciò che non conferì affatto alla risurrezione della città che nel 1150 perdé la sua stessa sede episcopale appoggiata a quella di Velletri. La borgata di Ostia continuò a vivere oscuramente. A difesa contro le rinnovate audacie dei barbareschi il cardinale Giuliano della Rovere costruì il famoso castello che ancora rimane e che nel 1556 venne preso dal duca d'Alba. Obbedendo ad altre necessità il centro abitato moderno si è spostato verso il lido, a circa 6 km. dalla spiaggia dei tempi romani, ove si è venuta formando una città balneare che vive e prospera col nome e con la funzione di Lido di Roma.

Il castello già ricordato è un magnifico esempio di architettura militare del Rinascimento: fu costruito da Baccio Pontelli (1483) che forse utilizzò per quest'opera, modificandolo, un disegno di Francesco di Giorgio Martini. Il Pontelli è pure autore della chiesetta di Sant'Aurea vicino alla rocca, restaurata nell'interno e con la porta d'ingresso rifatta. Di armoniose proporzioni, essa rivela chiaramente l'influsso di Franceseo di Giorgio Martini. Entrambe le costruzioni sorsero per volontà del cardinale Giuliano della Rovere.

Bibl.: L. Paschetto, Ostia, colonia romana; storia e monumenti, Roma 1912; L. Ross-Taylor, The Cults of Ostia, Bryn Mawr Pen. 1912; D. Vaglieri, Ostia. Cenni storici e guida, Roma 1914; J. Carcopino, Virgile et les origines d'Ostie, Parigi 1919; G. Boissier, Ostie e Ostie et Lavinium, in Promenades archéologiques, Parigi 1886; G. Calza, Ostia. Guida storico-monumentale, 2ª ed., Roma-Milano s. a. (1928); id., La preminenza dell'Insula nella edilizia romana, in Mon. Lincei, XXIII (1915), coll. 541-608; id., Il piazzale delle corporazioni, ecc., in Bull. comunale, 1916, pp. 178-206; id., Gli scavi recenti nell'abitato di Ostia, in Mon. Lincei, XXVI (1920), coll. 321-340; id., L'importanza storico-archeologica di Ostia, in Atene e Roma, 1922, pp. 229-239; id., L'Antiquarium ostiense, in Boll. d'Arte del Ministero pubblica istruzione, 1923, pp. 321-334; id., Le origini latine dell'abitazione moderna, in Architettura e arti decorative, 1923; J. Carcopino, Le Quartier des docks, in Mélanges de l'École franç. de Rome, 1910, pp. 446; id., Les inscriptions gamaléennes, ibid., 1911, pp. 143-230; L. A. Constans, Les fouilles d'Ostie depuis 1914, in Journ. d. Savants, 1917, p. 465; F. Fornari, La pittura decorativa in Ostia, in Studi romani, I, p. 300 segg.; R. Paribeni, I quattro tempietti di Ostia, in Mon. Lincei, XXIII (1915), coll. 441-484; D. Vaglieri, I monumenti repubblicani di Ostia, in Bull. comunale, 1911, p. 225 segg.; I monumenti cristiani di Ostia, in Nuovo Bull. di arch. cristiana, XVI, p. 57 segg.

Per il rinascimento v. E. Rocchi, B. Pontelli e la rocca d'Ostia, in L'arte, I (1898) pp. 27-31; E. Lavagnino, ibid., XXVII (1924), pp. 6-7.

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