1947 · Lambretta

Marchio registrato di uno scooter della Innocenti.

Viene lanciata sul mercato.

Non chiamatela motopattino

L’idea di un nuovo veicolo, che avesse costi bassi e larga diffusione popolare, era venuta a Ferdinando Innocenti guardando i Cushman americani paracadutati su Roma nel 1943. Quell’immagine del volo doveva essergli rimasta bene impressa, perché a disegnare il nuovo scooter italiano avrebbe chiamato il padre dell’elicottero, Corradino D’Ascanio e quindi, dopo aver rinunciato a proseguire con lui per divergenze tecniche, altri due grandi dell’ingegneria aeronautica italiana: prima Cesare Pallavicino, capoprogettista della Caproni, e poi Pierluigi Torre, creatore del Savoia-Marchetti S.55 che aveva portato con sé (1933) Italo Balbo nella sua celebre trasvolata atlantica.
Dagli stabilimenti di Lambrate, dove la Innocenti aveva intanto concentrato tutta la sua produzione, la Lambretta Modello A esce nel 1947, debuttando il 12 ottobre sui 290 km della Milano-Sanremo. Dopo anni di studio a inseguire la prestazione perfetta, la Innocenti perde però il rush finale con la Piaggio, che l’anno precedente aveva presentato la Vespa, disegnata proprio da D’Ascanio. Ma è solo il primo round di una gara durata più di vent’anni, alla ricerca di vari primati: di vendita, di contenimento dei costi e dei consumi, di velocità. Alla Innocenti, che uscirà di produzione nel 1971, rimarrà quest’ultimo, conquistato l’8 agosto 1951 sull’autostrada tra Monaco di Baviera e Inglostadt, dove una Lambretta versione siluro avrebbe conquistato il record mondiale di 202 km orari.
Nel frattempo la creatura di Torre e Innocenti aveva raggiunto il successo popolare con la sua terza versione (il modello C) e aveva fatto il suo ingresso ufficiale nella lessicografia italiana, come «uno dei più noti tipi di motopattino, prodotto dalla ditta Innocenti di Lambrate» (Migliorini 1950, s. v.). La parola motopattino veniva proposta da Migliorini come calco di motorscooter, per indicare il veicolo a due ruote piccolo e di piccola cilindrata (Migliorini 1950, s. v. scooter); avvertita però come giocattolesca, fu subito rifiutata dalla stessa Innocenti, che dalle pagine del suo bollettino si rivolgeva così ai lambrettisti: «Non vi sembra che questa parola vi mortifichi o mortifichi il vostro veicolo?» (e aggiungeva: «Tradurre motor-scooter in motopattino no, assolutamente», “Notiziario Lambretta”, 1951, num. 2, p. 2). Un altro numero del bollettino (1951, num. 3, p. 4) avrebbe avanzato varie altre proposte di sostituzione, che giocavano per lo più con l’idea di velocità: motosedia, motosella, motocorsa, motolampo, motofìla, motostrada, motovìa, popolmoto, motomas, motonova, momoto, motolesta, velocetta, velomoto, motopronta, intermoto, teletron. Nessuna sarebbe realmente scesa in pista, e aveva intanto fatto la sua comparsa motoretta (1951; cfr. Fabi 1952), presa a prestito dal fr. motorette (come già bicicletta da biciclette). Anche questa voce non sarebbe stata però baciata dal successo: si continuerà perlopiù a parlare di motorscooter (oppure, per antonomasia, di lambretta).


Due ruote di felicità

Simbolo dell’Italia che riparte, negli anni del boom lo scooter diventa l’oggetto più desiderato dai giovani, che cercano di emulare i bikers d’oltreoceano (ma Marlon Brando e James Dean correvano in sella a ben più potenti motociclette). Quella italiana è ancora una realtà prevalentemente rurale, in cui lo scooter permette stili di vita nuovi: i giovani «approfittano delle lambrette per frequentare la domenica le balere fuori paese, luoghi principe di una socializzazione promiscua, lontana dal controllo dell’ambiente di appartenenza» (Capuzzo 2003a: 230). Nel clima di ottimismo e fiducia del miracolo economico Lambretta significa per tanti giovani soprattutto felicità, come suggeriscono gli slogan Innocenti degli anni Cinquanta: «Felicità su due ruote»; «La felicità va sempre in Lambretta»; «Due ruote di felicità».
Il protagonista di un romanzo di Nanni Balestrini, che da un paesino del Salernitano si ritrova immerso nella società dei consumi, ricorda così quegli anni (Vogliamo tutto, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 34 sg.):

Qualcuno già pensava di comprarsi la lambretta. Erano cose eccezionali, rompevano tutte le abitudini della vita dei paesi. Lì il proprietario terriero teneva il roirote, il calesse col cavallo per uscire la domenica o per andarci in città. Oppure la bicicletta, quella col manubrio alto, sempre nera. E adesso qua i figli dei pommarolari si compravano la lambretta e tutte le altre cose.

Meno modaiola della Vespa, assai più spartana e più solida sul suo telaio monotubo, la Lambretta appare subito come un «mezzo autenticamente proletario» (Berselli 2007: 34). Resterà sempre legata alla Milano operaia, delle “coree” e del Giambellino, e, a più di vent’anni dall’uscita di produzione, Zucchero potrà cantare: «Oh avanti o popolo / con la lambretta rossa, / che intanto il tempo passa / e lei non torna più» (Per colpa di chi, 1995). Ancora oggi Lambretta è il nome di uno dei più tenaci centri sociali milanesi, per quanto, nell’Italia di Peppone e Don Camillo, il gradimento dei consumatori sia stato anche trasversale.
A proposito di Don Camillo. La Lambretta 48 era meglio nota come “Lambrettino del prete”: un video promozionale mostrava un curato filare per una strada di campagna in sella al suo scooterino, mentre la voce fuori campo proclamava: «La Provvidenza esaudisce i puri di cuore. In evangelica letizia il curato moltiplicherà le sue opere di carità» (1955). Sarebbe stato invece un grosso lambrettone 175 quello su cui, in un manifesto (1959) per i modelli LI e TV (Turismo Veloce), un frate missionario avrebbe caricato un gruppo di dieci bambini neri. Qui è il Vangelo a diventare slogan («Sinite parvulos…»), mentre la didascalia spiega: «Ora anche il “pastore” si è motorizzato con una robusta Lambretta che si è rivelata un alleato prezioso nella sua missione».


In capo al mondo

In quello stesso 1960 in cui Giorgio Gaber incideva La ballata del Cerutti (Una ballata per il furto di una Lambretta), Franco Fortini scriveva, per la musica di Fiorenzo Carpi e la voce di Laura Betti, Quella cosa in Lombardia:

Certo è amore anche la fretta,
tutta fibbie, lacci e brividi,
nella nebbia gelata e sull’erbetta,
un occhio alla Lambretta,
l’orecchio a quei rintocchi
che suonano dal borgo,
la novena e una radio lontana
che alle nostre due vite
dà i risultati delle ultime partite.

La due ruote di Lambrate è divenuta dunque per gli autori un emblema di “lombarditudine”, tanto che Luigi Malerba, nel suo racconto Cento scudi d’oro, fa addirittura dire a Lucia Mondella, nel rivedere il suo incontro con l’Innominato (Dopo il pescecane, Milano, Bompiani, 1979, p. 117):

Io lo guardavo allocchita e con il cuore che batteva come un motore di lambretta, anche se le lambrette non esistevano ancora ai miei tempi, scusate il paragone.

Arbasino va in Lambretta a Forte dei Marmi, mentre Manganelli, sulla sua “Bakunina”, scorrazza dalla Val d’Aosta agli Abruzzi e, dopo il turbolento amore con Alda Merini, ci scappa a Roma. La capitale è però più vespista che lambrettista, specie a Cinecittà, che con la coppia Peck-Hepburn alimenta il mito dello scooter Piaggio. Dopo la bicicletta neorealista, e prima che l’automobile s’imponga come regina della commedia all’italiana (cfr. Giacovelli 1990: 150 sgg.), c’è comunque spazio anche per la Lambretta, da Poveri ma belli (1956) a Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956), dove Aldo Fabrizi, nei panni del brigadiere Antonio Spaziani, ferma una famigliola di tre persone in sella alla stessa motoretta («Beh, dico, che facciamo? La Lambretta l’abbiamo scambiata per l’autobbusse?»). E ancora in Lambretta si muoverà il sordiano dottor Tersilli (Il medico della mutua, 1968): «Dottore, è venuto in Macchina?», «No c’ho ’a Lambretta». Siamo quasi all’epilogo, ma intanto la Lambretta s’è diffusa nel mondo.
Italo Calvino, nel suo primo viaggio in America (1959-1960), nota come nei grandi magazzini di laggiù si vendano oggetti d’ogni specie, «inclusi i motorscooters italiani (che costano più delle auto a buon mercato)» (Calvino 2014: 96), ma il successo internazionale sarebbe giunto soprattutto con la TV terza serie (1962), il veicolo culto dei mods inglesi cantato dal Quartetto Cetra in una famosa pubblicità di Carosello: «In capo al mondo, in un festoso girotondo, / la Lambretta in allegria ti porterà» (Lambret Twist, 1962).


Giovanni Battista Boccardo

Bibliografia

Berselli Edmondo 2007, Lambretta. Due ruote, e l’ Italia si rimise in moto, “la Repubblica”, 7 ottobre, pp. 34-35.
Calvino Italo, 2014, Un ottimista in America. 1959-1960, Milano, Arnoldo Mondadori.
Capuzzo Paolo, 2003a, Gli spazi della nuova generazione, in Capuzzo 2003b, pp.  217-247.
Capuzzo Paolo, 2003b (a cura di), Genere, generazione e consumi. L’Italia degli anni Sessanta, Roma, Carocci.
DM9 = Alfredo Panzini, Dizionario moderno. Supplemento alle parole che non si trovano nei dizionari comuni, con un proemio di Alfredo Schiaffini [...], Milano, Hoepli, 1950 (prima ediz.: 1905).
Fabi Angelo, 1952, Motoretta, “Lingua nostra”, XIII, p. 26.
Giacovelli Enrico, 1990, La commedia all’italiana, Roma, Gremese.
Gorgolini Luca, 2004, I consumi, in Sorcinelli e Varni, pp. 213-254.
Migliorini Bruno, 1950, Appendice di ottomila voci, in DM9, pp. 761-997.
Sorcinelli Paolo, Varni Angelo, 2004 (a cura di), Il secolo dei giovani: le nuove generazioni e la storia del Novecento, Roma, Donzelli.