1950 · giradischi

Apparecchio elettrico per ascoltare musica, composto da un piatto rotante sul quale mettere il disco e da un braccio dotato di una puntina che, quando il disco gira, scorre sugli appositi solchi.

Già attestato in anni precedenti, viene accolto quest'anno nell'Appendice di Bruno Migliorini alla nona edizione del Dizionario moderno di Panzini.

Quel giorno che dal cilindro uscì un suono...

La parola è accolta quest’anno da Bruno Migliorini nell’Appendice alla nona edizione del Dizionario moderno di Alfredo Panzini (Migliorini 1950: s. v.), ma l’apparecchio elettronico per riprodurre suoni registrati su un disco fonografico era noto da tempo. Se le prime pubblicità sulla carta stampata lo datano alla metà degli anni Trenta del Novecento, l’invenzione risale addirittura alla fine dell’Ottocento.
Padre del giradischi è il fonografo inventato da Thomas Alva Edison nel 1877 e brevettato l’anno dopo, uno strumento che permetteva di registrare e riprodurre suoni mediante impressione (non ancora incisione) su un cilindro. Il primo a sostituire il cilindro di Edison con un disco fu Emile Berliner (1851-1929), un inventore tedesco immigrato negli Stati Uniti. Si era reso conto che i dischi erano più facili da incidere (e da riprodurre, vendere, raccogliere) e nel 1887 brevettò uno strumento per inciderli e leggerli che fu messo in commercio, insieme ai dischi stessi, nel 1892. Il suo nome brevettato era Gramophone, composto dalle parole greche γράμμα ‘segno’ e ϕωνή ‘suono’; il termine significa dunque, alla lettera, “scrittura del suono” (per la storia del grammofono cfr. Caula 1996). Già a partire dal 1899, sulle colonne pubblicitarie dei giornali italiani, il grammofono spicca come «ultima novità»; presentato in veste di «recente modificazione dei grafofoni» (la versione avanzata dei fonografi, introdotta nel 1881), è detto strumento innovativo perché «riproduce la voce umana alla sua forza naturale. Il grammofono non ha cilindri di cera fragilissimi ma bensì dischi di ebanite indistruttibili» («La Stampa», 27 novembre).
Fonografo, grafofono, grammofono: tutti nomi complessi, creati a partire dall’unione di affissi e suffissi di origine greca. Basta allora poco per capire perché un oggetto che riproduce suoni facendo girare un disco abbia presto preso, in Italia, il nome di giradischi. Il che non significa che grammofono venga meno: il primo periodico discografico italiano, nato a Milano nel 1904, si chiamava proprio “Rivista del grammofono” (cfr. Giuliani 2001: 246-250).


Che la musica giri!

Il funzionamento del giradischi è piuttosto semplice: su un piatto che ruota a velocità costante viene posizionato un disco, letto da un braccio provvisto di una puntina (pick-up) che scorre lungo il solco dell’incisione. A differenza dei suoi predecessori, infatti, il giradischi (specie di uso domestico) è uno strumento di sola lettura e non di incisione di suoni. I primi dischi vennero registrati su un solo lato (si dovrà attendere il 1908 per l'incisione su entrambi) e le loro dimensioni erano piuttosto contenute (avevano un diametro di 12,7 cm); per ascoltarli occorrevano 78 giri al minuto, da cui il nome di 78 giri. A partire dal 1948 la gommalacca utilizzata per fabbricarli viene soppiantata dal PVC, meglio noto nell’industria discografica come vinile. Con l’introduzione del nuovo materiale plastico si riduce la velocità di rotazione da 78 a 45 e 33 giri al minuto, col risultato di una maggiore durata di ascolto (è l’atto di nascita dei Long-Playing, o LP).
Se i dischi cambiano in dimensione, materiale, qualità e durata del suono, anche il giradischi si adatta alle esigenze dei tempi: nel 1924 viene messo sul mercato il primo giradischi elettrico con amplificatore a valvole (fra i successi della ditta Geloso); negli anni successivi nuovi accorgimenti tecnici – dal potenziamento dei sistemi elettronici all’introduzione di nuovi bracci tangenziali per la puntina di lettura – rendono sempre più pulita e precisa la riproduzione dei suoni, e sempre più amato il giradischi; la musica si può ascoltare anche senza avere un’orchestra o una banda sotto gli occhi. È l’inizio di una rivoluzione che porterà alla nascita di altri strumenti per l’ascolto condiviso a partire dal juke-box, il grande giradischi in cui bastava inserire una monetina perché un disco venisse automaticamente selezionato e posizionato sul piatto rotante.
Solo con la commercializzazione della radio (1925) la fortuna del giradischi inizia a scricchiolare, fino a eclissarsi del tutto dopo l’introduzione delle audiocassette e, soprattutto, dei compact disk; in quest'ultimo caso, già negli anni Ottanta, più che il disco (comunque un «piccolo prodigio della tecnica»), il vero elemento nuovo era il «sistema di lettura ottica, di estrema precisione e di nessuna usura» (Leonardo Settimelli, Addio vecchia puntina. Così cambieranno i nostri giradischi, “L’Unità”, 1 maggio 1983). Negli anni Novanta il giradischi diventa un prodotto di nicchia, un oggetto da collezionisti (cfr. Proudfoot 1980), e nel 1996 viene sostituito dallo stereo nel paniere dell’Istat. In Italia, per alcuni anni, viene addirittura interrotta la produzione di vinili, ripresa intorno al 2005 ma per una clientela particolare: i dischi tornano a essere prodotti per un pubblico di puristi della musica e di addetti ai lavori; come i disk-jockey, gli unici che continuano a utilizzare il giradischi anche se in forme e modelli sempre più tecnologicamente all’avanguardia.


Dischi rotti e “lati B”

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, e specialmente con l’introduzione dei vinili, il giradischi diventa simbolo di benessere economico e di distrazione scanzonata, centro di aggregazione familiare, anima delle feste, richiamo per i giovani, consolazione per gli anziani. Amato o odiato, usato o abbandonato in un angolo della casa, nel secondo Novecento ha avuto un ruolo importante nella vita quotidiana, tanto da essere spesso rappresentato in quelle stesse canzoni che contribuiva a diffondere:

Vorrei due ali d’aliante
per volare sempre più distante,
e una baracca sul fiume
per pulirmi in pace le mie piume;
un grande letto, sai,
di quelli che non si usan più;
un giradischi rotto,
che funzioni però
quando sono giù un po’
Fiordaliso, Non voglio mica la luna (1984)

Margherita Baldacci, crolla tutto su di te.
Rita Baldacci, ma il mondo tuo non c’è:
è un bisonte insaponato sui binari di un metrò,
forse è un giradischi rotto
un’estate in autostop.
Francesco Baccini, Margherita Baldacci (1992)

La pervasività del giradischi e la sua influenza sulla cultura popolare trovano riscontro nella diffusione di varie espressioni figurate. Fa riferimento all’abitudine di porre dischi sul piatto rotante «essere (come) un disco rotto», detta di chi ripete sempre gli stessi concetti, mentre dall’introduzione della pratica di incidere i dischi su tutti e due i lati deriva l’uso non letterale di «lato b». Riferita inizialmente a cose di minor conto o secondarie, perché le canzoni principali erano sempre incise sul primo lato (lato a) del disco, in anni più recenti l’espressione ha assunto ben altro significato: «L’ultimo nato è il “pop up jeans”, che grazie a speciali cuscinetti valorizza il “lato B”. Il jeans che scolpisce i glutei si va ad aggiungere alla lista di successi accumulati in 30 anni di storia» (Laura Asnaghi, Trenta secondi per vincere un paio di jeans, «la Repubblica», 26 aprile 2014). Un segno dei tempi? Forse. Ma anche un segno della persistenza dei vinili e dei giradischi nell’immaginario popolare.
                                    
Francesco Lucioli

Bibliografia

Caula Giacomo A., 1996, Storia del grammofono fino al 1925, Torino, Casanova.
DM9 = Alfredo Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni [...], Milano, Hoepli, 1950.
Giuliani Roberto, 2001, Periodici discografici e critica musicale in Italia nel XX secolo, in Sirch, pp. 247-329.
Migliorini Bruno, 1950, Appendice, in DM9, pp. 761-997.
Proudfoot Christopher, 1980, Fonografi e grammofoni, guida per il collezionista, Milano, Silvana.
Sirch Licia, 2001 (a cura di), Canoni bibliografici. Atti del Convegno internazionale IAML-IASA (Perugia, 1-6 settembre 1996), Lucca, Libreria Musicale Italiana.