Kiarostami, Abbas

Lessico del XXI Secolo (2012)

Kiarostami, Abbas


Kiarostami, Abbas. – Regista iraniano (n.Teheran 1940). Conseguito il prestigio internazionale a partire dagli anni Ottanta del Novecento, quando i suoi film vengono distribuiti in Occidente e guadagnano premi ai festival, nel primo decennio del nuovo secolo ha, da un lato, radicalizzato la sua poetica, basata soprattutto sulla forza testimoniale del cinema, e dall’altro si è aperto alle visioni di paesaggi estranei a quei territori iraniani sconfinati e polverosi consueti al suo cinema, andando a girare i suoi film in Africa, in Italia, in Giappone. Ma ciononostante i film di questi anni riaffermano i suoi temi ricorrenti: il mondo a parte dell’infanzia, il viaggio e il paesaggio come metafora dell’umano, il senso 'morale' del filmare, la condizione femminile, il rapporto realtà-finzione. Ciò è evidente in ABC Africa (2001), dove K. contraddice le aspettative di un normale documentario, mettendo in campo sé stesso in un viaggio africano, occasione per interrogarsi sulla sensibilità infantile, sulla globalizzazione, sulle responsabilità del cinema come testimonianza. Ten (2002) si pone quasi come manifesto programmatico di una idea di cinema, nel suo essere girato tutto in un’automobile, in dieci soli piani sequenza e rigorosamente concentrato sull’inquieta personalità di una donna nella Teheran attuale. Analogo rigore, in chiave contemplativa e quasi zen, si ritrova in Five, dedicated to Ozu (2003), cinque brevi pezzi senza attori, in cui ricorre l’elemento dell’acqua, il mistero silenzioso del paesaggio naturale, gli eventi minimali, pensando alla lezione di un maestro giapponese come Ozu. L’episodio del film Tickets (2005), completamente girato, con E. Olmi e K. Loach, su un treno in corsa, assume il tono, insolito per K., della commedia degli equivoci, ma si risolve in un'ironica domanda sul senso della finzione. Shirin (2008) è interamente girato in una sala cinematografica: lo sguardo di K. si sofferma su una quantità di volti femminili che guardano le immagini su uno schermo, il quale resta però fuori campo, come le voci dei personaggi della commovente favola d’amore che vi si svolge. Le potenze della finzione e dell’arte, le ambiguità della riproduzione, le relazioni d’amore, la riflessione sulla ‘verità’ della recitazione, sono ancora una volta i temi che tornano, come in una forma-sonata, con Copie conforme (2010), interpretato da una vibrante J. Binoche e girato nei dolci paesaggi della Toscana. Così come in Like someone in love (2012) lo sfondo urbano giapponese, e di nuovo l’interno di una automobile, diventano occasione per un assorta, malinconica meditazione sulla giovinezza e sulla vecchiaia, sugli equivoci d’amore, sulla forza rivelatrice della macchina da presa.

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