ACANTO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1958)

ACANTO

G. Matthiae

È una pianta con foglie dai margini largamente frastagliati e con nervature molto pronunciare di grande effetto decorativo, che trovò nell'architettura un vasto impiego, sia nel capitello corinzio, del quale costituisce l'elemento dominante, sia in quello composito, che dal primo deriva, come pure isolatamente in fregi o paraste.

La sua inclusione nel capitello (v.) e quindi l'invenzione dell'ordine corinzio è attribuita da Vitruvio (iv, 1, 10) a Kallimachos che avrebbe visto un cesto in forma di cono rovescio rivestito casualmente di tali foglie sulla tomba di una giovinetta di Corinto e da ciò avrebbe tratto il motivo essenziale della sua invenzione. Anche a prescindere dal capitello di pilastro a Megara, in realtà il primo esempio di capitello corinzio è quello della cella del tempio di Apollo Epikourios a Figalia, eretto da Iktinos intorno al 438 o al 420 a. C., dove però le foglie dell'a. rimangono rigidamente disposte su una fila in basso. La disposizione delle foglie in due ordini alternati con i caulicoli ripiegati sotto gli angoli appare definitivamente fissata negli splendidi esemplari del tempio di Atena Alea a Tegea e nella tholos di Epidauro. Elemento non meno essenziale è l'a. nel capitello composito già dal suo primo esemplare finora noto, cioè quello dei resti del tempio di Zeus ad Aizanoi. Se le varietà di fattura furono molte e varî gli accostamenti dell'acanto anche a palme o a grifi, come nel capitello del portico di Claudio Pulcro ad Eleusi, la varietà aumentò ancora di più per esigenze di stile nell'arte romana, dove il grande effetto decorativo dell'a. fece dare una preferenza quasi esclusiva agli ordini corinzio e composito. Singolare poi l'uso del cespo isolato come sostegno del tripode del monumento coragico (v.) di Lisicrate.

In Italia la foglia dell'a. trova impiego accanto alla palmetta nella incorniciatura fittile della porta del tempio dei Sassi Caduti a Falerii Veteres; con il kyma ionico e con il kyma lesbio, nelle lastre Campana; o anche svolgendosi in sottili girali nei vasi aretini. Forse il più alto grado decorativo raggiunto con il girare dei caulicoli e con lo schiudersi dei fioroni è quello del fregio dell'Ara Pacis. Ad un intento decorativo del tutto diverso, per spaziatura come per la trattazione plastica, appartengono i pilastri con cespi d'a. snodati a girali con piccole scene mitiche provenienti da Afrodisia ed ora al museo di Istanbul, con i quali son variamente connessi quelli della basilica severiana di Leptis Magna ed altri ora nelle Grotte vaticane, che furono riadoperati nel sacello di Giovanni VII. Ad andamento orizzontale sono invece i frammenti di architrave o di cornice ora nel chiostro dei Ss. Quattro Coronati e provenienti dalle Terme di Caracalla, dove in alcuni capitelli compositi l'a. si trova accostato a figure umane. Roma impiegò nella sua scultura decorativa non solo l'a. grasso e carnoso in cui le nervature finiscono quasi per sparire, come nel composito a foglie lisce già noto attraverso l'esempio del Colosseo e assai in uso nei secc. IV-V d. C. per un processo di semplificazione, ma anche la varietà dell'a. spinoso fortemente ombreggiato e nervato, privo della originaria carnosità, spesso lavorato a traforo. Quest'ultima tendenza fu quella che venne in onore fin dall'età severiana e che passò alla scultura paleocristiana. L'elemento anticlassico di origine orientale e provinciale che opera nell'ultima evoluzione dell'arte tardo-romana modifica la trattazione dell'a. tanto nei fregi decorativi come nei capitelli corinzî e compositi durante l'età paleocristiana. Già i capitelli della basilica lateranense mostrano una vigorosa accentuazione delle parti nervose della foglia a scapito di quelle molli; la ricerca coloristica determina dapprima il frequente uso del trapano e poi la trasformazione dell'a. in una pianta spinosa dai margini taglienti e fortemente nervata. Il procedimento si può studiare nel suo svolgimento parallelo in tutte le regioni dell'Impero, sia nella decorazione del tempietto del Clitunno presso Spoleto sia nelle splendide paraste rinvenute negli scavi di S. Maria Antiqua a Roma, nelle incorniciature di porte siriache (Ban, Babisqa), come nei capitelli del S. Demetrio a Salonicco, dove nell'asprezza dell'intaglio il processo di trasformazione in senso coloristico può dirsi ormai già compiuto; i capitelli della Paraskevi nella stessa città, d'età teodosiana, mantengono invece, pur nella nervosa piegatura delle foglie, un vago ricordo di "classicità". Volute di ritmo ancora "classico", non prive di plastica carnosità, offre il mosaicista che nella prima metà del sec. V ornò un'absidiola nel Battistero Lateranense. Del tutto aderenti al modello "classico" sono le decorazioni con foglie di a. della basilica di S. Salvatore presso Spoleto, dal Salmi datata allo stesso secolo. In età giustinianea la minuta riduzione dell'a. a nervature e margini taglienti si ritrova non solo nei capitelli a forma di canestro nel S. Vitale di Ravenna, ma in forma forse ancora più accentuata in quelli dei SS. Sergio e Bacco a Costantinopoli, come nelle trabeazioni ornate, o negli stessi fogliami o nei capitelli della chiesa di S. Sofia. La produzione bizantina più tarda, pur variando la trattazione dell'a., non si scostò dal tipo detto spinoso che invade talvolta l'abaco e il pulvino come in esemplari più tardi di chiese costantinopolitane o nei capitelli di spoglio del 5. Marco di Venezia che presentano anche la varietà a "colpo di vento", cioè con andamento obliquo del fogliame.

Marche di lavorazione sembra che dimostrino come, nel V e VI secolo, capitelli sontuosi a foglie di a. venissero prodotti in officine costantinopolitane e di là spediti nelle città del Mediterraneo occidentale.

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