Accertamenti incidentali [dir. proc. civ.]

Diritto on line (2016)

Sergio Menchini

Accertamenti incidentali

Abstract

Gli accertamenti incidentali, che sono presi in considerazione, in modo espresso, dall’art. 34 c.p.c., rappresentano un capitolo, forse il più importante, della disciplina della pregiudizialità nel processo civile. Il contributo esamina questa disciplina, illustrando la nozione di questione pregiudiziale di merito, anche nei rapporti con l’oggetto del processo, la cognizione incidentale delle situazioni giuridiche pregiudiziali in senso tecnico, i presupposti della causa di accertamento incidentale e le relative regole processuali.

L’art. 34 c.p.c.

Gli accertamenti incidentali sono presi in considerazione, in modo espresso, dall’art. 34 c.p.c., la cui rubrica è, giustappunto, «Accertamenti incidentali».

Inoltre, questa disposizione è esplicitamente richiamata dall’art. 40, co. 3, 6 e 7, c.p.c., ove, allo scopo di favorire la realizzazione del simultaneo processo, il legislatore ha stabilito modifiche rispettivamente al rito applicabile e alla competenza del giudice di pace.

L’istituto degli accertamenti incidentali costituisce un capitolo, forse il più importante, della disciplina della pregiudizialità all’interno del processo civile; in particolare, la norma regola l’ipotesi che, nel giudizio avente ad oggetto un diritto dipendente, sorga una questione di carattere pregiudiziale, relativa al modo di essere di una situazione giuridica soggettiva; è previsto che la questione pregiudiziale debba essere decisa con efficacia di giudicato, se lo richieda o una previsione di legge o una delle parti mediante domanda, e che, in tali casi, le due cause debbano essere trattate congiuntamente, mediante un giudizio cumulativo, che si svolge o davanti al giudice adito o di fronte ad altro giudice superiore, qualora la competenza per la controversia pregiudiziale appartenga a quest’ultimo. Implicitamente, è dato desumere che, in assenza di volontà di legge o di domanda di parte, vale a dire come regola generale, la questione pregiudiziale è decisa senza efficacia di giudicato (la pregiudizialità, all’interno della giurisdizione civile, può presentarsi anche in modo diverso rispetto a quello qui preso in considerazione; infatti, oltre alla pregiudizialità civile, sono riscontrabili anche la pregiudizialità amministrativa e quella penale; più ampiamente, al riguardo, confronta Menchini, S., Accertamenti incidentali, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1995, 1 ss.; Zumpano, M.A., Rapporti tra processo civile e processo penale, Torino, 2009, 2 ss., 196 ss.).

L’art. 34 c.p.c. suggerisce ulteriori spunti di riflessione circa il trattamento della pregiudizialità nel processo civile.

Infatti, poiché, di regola, la situazione pregiudiziale è decisa senza efficacia di giudicato, può accadere che la decisione di essa, resa nel processo concernente il diritto dipendente, sia di contenuto difforme rispetto a quello della successiva pronuncia, che venga emessa nel giudizio del quale il diritto sostanziale pregiudiziale costituisca l’oggetto, determinandosi così un contrasto tra i due accertamenti, l’uno reso incidentalmente e l’altro effettuato in via principale. Questo esito può essere impedito o dalla legge, prevedendo che l’accertamento della situazione pregiudiziale, in caso di contestazione di essa intervenuta nella causa riguardante quella dipendente, avvenga necessariamente con autorità di cosa giudicata, oppure dalla parte, tramite la proposizione di apposita domanda di accertamento incidentale.

Invece, qualora il rapporto giuridico pregiudiziale sia stata accertato con sentenza avente autorità di cosa giudicata, prima che sia stato instaurato o sia stato chiuso con provvedimento definitivo il processo concernente quello dipendente, in quest’ultimo giudizio la prima statuizione è vincolante ed impedisce una nuova decisione circa il diritto pregiudiziale (cd. efficacia riflessa del giudicato in ordine ai rapporti dipendenti; per tutti, confronta, da ultimi, Menchini, S.-Motto, A. Cosa giudicata, in Della tutela dei diritti, in Comm c.c. Gabrielli, Milano, 2016, 21 ss., spec. 106 ss.). Pertanto, in questa ipotesi, è da escludere un contrasto di pronunce circa l’esistenza del diritto pregiudiziale, in quanto il giudice di fronte al quale pende la controversia pregiudicata, nel rendere la decisione in ordine a questa, si conforma a ciò che è stato stabilito, in ordine al primo, nel precedente procedimento.

Infine, ove i due processi (quello pregiudiziale e quello pregiudicato) siano contemporaneamente pendenti, il coordinamento delle statuizioni può essere realizzato tramite la sospensione, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., del procedimento dipendente, in attesa della definizione, con provvedimento passato in giudicato, di quello pregiudiziale (al riguardo, si rinvia a Trisorio Liuzzi, G., La sospensione del processo di cognizione, Bari, 1987, 420 ss.; Menchini, S., Sospensione del processo civile (di cognizione), in Enc. dir., Milano, 1990, 32 ss.; Id., Le Sezioni Unite sui rapporti tra gli articoli 295, 297 e 337, comma 2°, c.p.c.: una decisione che non convince, in Riv. dir. proc., 2013, 689 ss.).

L’art. 34 c.p.c. costituisce, per l’ordinamento italiano, una novità, in quanto nel codice del 1865 non vi era una disposizione analoga e la legge non prendeva posizione circa il trattamento da riservare alle questioni pregiudiziali; invece, la ZPO tedesca, sin dall’inizio, al § 256, ha dettato la disciplina di tali questioni, in termini pressoché identici a quelli dell’art. 34 c.p.c.

La legislazione attuale codifica, in realtà, il pensiero di Giuseppe Chiovenda, il quale, a sua volta, proponeva, per il nostro ordinamento processuale, la soluzione, adottata dalla ZPO, per l’Impero germanico: «anche secondo il nostro diritto, le questioni pregiudiziali decise in una lite possono sempre liberamente discutersi in una lite successiva; a meno che, per disposizione speciale di legge o per volontà delle parti, la contestazione sorta nel processo precedente sopra un punto pregiudiziale siasi elevata al grado di un’azione d’accertamento (accertamento incidentale); nel qual caso ci troviamo di fronte ad una domanda autonoma, concernente un bene della vita diverso, cioè la certezza sul rapporto pregiudiziale, colla conseguenza che la sentenza, in quanto accolga o respinga la domanda d’accertamento incidentale, avrà effetto di cosa giudicata» (vedi, Chiovenda, G., Cosa giudicata e preclusione, in Saggi di diritto processuale civile, III, Milano, 1993, 231 ss., spec. 268, già in Riv. it. scien. giur., 1907, 3 ss.).

Dunque, sulla base di quanto disposto dal codice di rito, delle questioni che si presentano in giudizio, aventi ad oggetto una situazione giuridica pregiudiziale e che è necessario risolvere per statuire sulla domanda proposta, il giudice conosce soltanto incidentalmente, senza pronunziare su di esse, con la conseguenza che, in un successivo processo, è consentito disconoscere quanto è stato dichiarato dal primo magistrato, sempre che ciò non rimetta in discussione il bene della vita dallo stesso attribuito alla parte vincitrice (così, ad esempio, la cognizione incidentale della questione pregiudiziale di stato, incidente in una causa ereditaria, non pregiudica la futura domanda per la dichiarazione, in via principale, dello stato o del diritto agli alimenti, a meno che non si ritenga che le questioni di stato debbano essere sempre decise con autorità di giudicato: v., infra, § 4.).

Pregiudizialità ed oggetto del processo

Le questioni pregiudiziali di cui si occupa l’art. 34 c.p.c., «potendo formare oggetto di un giudizio autonomo e dare luogo in questo a cosa giudicata» (Chiovenda, G., Istituzioni di diritto processuale civile, I, 2, Napoli, 1935, 353), debbono essere tenute distinte sia dalle questioni pregiudiziali di rito, prese in considerazione dall’art. 187, co. 3, c.p.c., sia dalle questioni preliminari di merito, di cui all’art. 187, co. 2, c.p.c., giacché queste ultime due figure, pur riguardando la fondatezza, in rito o in merito, della domanda proposta, non hanno per oggetto un elemento in grado di costituire da sé solo il contenuto di un autonomo processo e di determinare, conseguentemente, il giudicato sostanziale (cfr., Menchini, S., Accertamenti incidentali, cit., 1 s.; Attardi, A., Diritto processuale civile, I, Padova, 1994, 223-226).

Ciò che caratterizza le questioni pregiudiziali dell’art. 34 c.p.c. rispetto ad ogni altra questione pregiudiziale, di rito e di merito, è che soltanto le prime possono essere trasformate in una causa autonoma e possono fornire materia per il giudicato; con l’ulteriore corollario che, essendo, almeno di regola, l’azione civile collegata alla tutela di una situazione soggettiva sostanziale, l’oggetto delle questioni disciplinate dall’art. 34 c.p.c. è costituito da un diritto soggettivo (in giurisprudenza, vedi Cass., 30.5.2005, n. 11329; Cass., 6.3.2001, n. 3248).

D’altro canto, però, la situazione sostanziale, integrando una questione pregiudiziale all’interno del giudizio concernente un diverso diritto soggettivo (dipendente), deve essere risolta dal giudice per statuire in ordine a questo; tale necessità di decisione (preliminare) di ciò che costituisce oggetto di questione pregiudiziale dipende dal fatto che quest’ultimo è un elemento della fattispecie del rapporto giuridico oggetto della domanda e del processo. Alternativamente, la situazione sostanziale integra un fatto costitutivo oppure un fatto impeditivo, modificativo ed estintivo del diritto soggettivo controverso; tra le due situazioni sostanziali, ricorre una connessione, nel primo caso, per pregiudizialità-dipendenza e, nella seconda ipotesi, per incompatibilità giuridica. Peraltro, atteso il differente modo di operare nel processo dei fatti costitutivi rispetto a quelli impeditivi, modificativi ed estintivi, il diritto incompatibile deve essere conosciuto dal giudice e diviene oggetto di una questione pregiudiziale, soltanto se uno dei soggetti legittimati, a seconda dei casi esclusivamente le parti oppure anche l’ufficio, abbia sollevato la corrispondente eccezione di merito (vedi, Menchini, S., I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, 59 ss., 300 ss.).

Il problema del quale da sempre si discute, però, è di stabilire quale sia il perimetro della pregiudizialità e quale sia, invece, lo spazio occupato dall’oggetto della domanda, del processo e del giudicato: «i limiti obbiettivi della cosa giudicata sono determinati, appunto, dal contenuto dell’oggetto del giudizio; ergo, tali limiti coincidono con quelli stessi della pregiudizialità, nel senso che tutto quello che è pregiudiziale non può essere ricompresso nell’ambito del giudicato e, viceversa, tutto quello che è coperto dal giudicato non può essere pregiudiziale» (così, Romano, A., La pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958, 153).

La pregiudizialità inizia laddove termina l’oggetto del giudizio e l’oggetto del giudizio finisce laddove comincia la pregiudizialità; ne deriva che, per determinare il campo di applicazione dell’accertamento incidentale, occorre delimitare i confini tra i due istituti (in questo modo, per tutti, Menchini, S., Accertamenti incidentali, cit., 8 s.; Romano, A., La pregiudizialità, cit., 153 ss.; Andrioli, V., Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 115; Satta, S., Nuove riflessioni in tema di accertamento incidentale, in Foro it., 1948, I, 64 ss.).

Non è controverso che si rientra nel campo di applicazione dell’art. 34 c.p.c., allorché vengono in considerazione più e distinti rapporti giuridici, uno dei quali (quello pregiudiziale) appartiene alla fattispecie dell’altro (quello dipendente), il quale, esclusivamente ovvero congiuntamente ad uno o più dei suoi effetti,  è oggetto della domanda proposta; si ha un nesso tra rapporti diversi, che viene denominato pregiudizialità tecnica. Così, ad esempio, lo status familiae è fatto costitutivo del rapporto alimentare e dei rapporti successori, la proprietà dell’autoveicolo è fatto costitutivo dell’obbligo risarcitorio del convenuto, nell’azione promossa dal danneggiato per il risarcimento dei danni subiti, ex art. 2054, co. 3, c.c., la proprietà dell’attore sul fondo dominante è questione pregiudiziale nel giudizio relativo all’actio confessoria servitutis, la qualità di erede è questione pregiudiziale nella causa sul credito o sul debito ereditario (vedi, Menchini, S., I limiti oggettivi, cit., 92 s.; Proto Pisani, A., Lezioni di diritto processuale civile, VI ed., Napoli, 2014, 62 ss.; Luiso, F.P., Diritto processuale civile, VIII ed., I, Milano, 2015, 270 ss.).

I contrasti insorgono, invece, con riferimento ai casi di pregiudizialità logica, ossia con riguardo alla relazione che unisce il rapporto giuridico (reale od obbligatorio) complesso e i suoi singoli effetti; ci si chiede, invero, ove sia fatta valere in giudizio una posizione elementare, che rappresenta un segmento del più ampio rapporto fondamentale, se oggetto del processo sia esclusivamente la prima oppure, unitamente a quest’ultima, anche il secondo. Si pensi al diritto alla restituzione del bene e alla proprietà, nell’azione di rivendicazione; nelle domande di adempimento contrattuale, alla singola pretesa dedotta in causa e al rapporto obbligatorio cui la stessa è da ricondurre. Per aversi un accertamento con efficacia di giudicato circa l’esistenza e la qualificazione giuridica del rapporto complesso, è necessaria una domanda di accertamento incidentale, ex art. 34 c.p.c., oppure, a prescindere dalla proposizione di una siffatta domanda, la sentenza che accoglie la rivendicazione o la richiesta di adempimento fa stato, ad ogni effetto, circa la proprietà dell’attore o la sussistenza del rapporto giuridico (di locazione, di mutuo, di compravendita) che il giudice ha dovuto affermare, per condannare il convenuto all’adempimento (pagamento del canone, della rata non soddisfatta, del corrispettivo)? (su questi temi, si rimanda, per tutti, a Menchini, S., Il giudicato civile, in Giur. sist. dir. proc. civ. Proto Pisani, Torino, 2002, 67 ss.; Menchini, S.-Motto, A., Cosa giudicata, cit., 57 ss.).

Oggi, se si guarda alla posizione della giurisprudenza, la situazione è sufficientemente chiara: per il tramite del principio dell’estensione del giudicato ai presupposti logici-necessari della decisione o di quello del cd. antecedente logico oppure, ancora, di quello del giudicato sulla base del motivo portante dell’accertamento, è riconosciuto, dalla Corte di cassazione e dai giudici di merito, che, pur in assenza di domanda di accertamento incidentale, la sentenza che, accogliendo la richiesta dell’attore, condanna il convenuto all’adempimento o alla restituzione è vincolante in ogni futuro giudizio tra le stesse parti, pur relativo ad un effetto giuridico diverso, circa l’esistenza, la qualificazione e la validità del rapporto complesso, che funge da titolo della situazione elementare dedotta nel primo processo (per riferimenti, si rinvia, ancora, a Menchini, S.-Motto, A., Cosa giudicata, cit., 65 ss.).

In particolare: a) colpendo il giudicato la qualificazione giuridica del titolo del diritto fatto valere, ottenuta dal conduttore la condanna alla restituzione delle somme pagate come canone in misura eccedente rispetto a quella legale, la dichiarazione che il rapporto è assoggettato alla disciplina di cui alla l. 27.7.1978, n. 392 non è contestabile in un successivo processo, nel quale è richiesto il rilascio dell’immobile per una scadenza che presuppone la natura transitoria dell’esigenza abitativa (così, Cass., 29.9.1997, n. 9548; in termini analoghi, circa il vincolo in ordine alla qualificazione giuridica del titolo, anche Cass., 14.1.2002, n. 349 e Cass., 8.1.2007, n. 67); b) qualora, nel giudizio di risoluzione, annullamento e rescissione del contratto, sia stata rilevata, anche d’ufficio, la nullità dello stesso, questa è decisa sempre con autorità di cosa giudicata, pur in assenza di una domanda di parte, ai sensi dell’art. 34 c.p.c.; analogamente, se è pronunciata la risoluzione o la rescissione del negozio, oppure se è ordinato il suo adempimento, è impedito, in un successivo processo, pur riguardante effetti giuridici diversi, di farne valere la nullità (cfr., Cass., S.U., 14.12.2014, n. 26242 e n. 26243; in precedenza, Cass., 28.8.2009, n. 18791; Cass., 22.3.2005, n. 6170); c) in presenza di obbligazioni rateali, periodiche o continuative, la decisione, che accoglie la domanda relativa ad una rata o ad una frazione del credito, produce l’autorità di cosa giudicata rispetto all’esistenza e alla qualificazione giuridica del rapporto obbligatorio, la quale non può essere contestata in successivi processi riguardanti rate ulteriormente maturate, neppure mediante azioni d’invalidità del titolo (si segnalano, tra molte, Cass., 11.7.2012, n. 11660; Cass., 1.6.2004, n. 10502).

Concludendo su questo punto, esclusivamente la pregiudizialità tecnica è soggetta alle regole stabilite dall’art. 34 c.p.c., e non anche, invece, la pregiudizialità logica: i temi soltanto logicamente pregiudiziali divengono oggetto del processo, e del giudicato, già a seguito della domanda originaria e, di conseguenza, non è necessaria a tali fini una domanda apposita di accertamento incidentale. La qual cosa, peraltro, non significa che ciascuna delle parti, nel rispetto delle regole processuali (in particolare, di quelle relative alle preclusioni e all’attuazione del contraddittorio), non possa proporre un’apposita domanda circa il rapporto complesso, cui è riconducibile la situazione elementare che costituisce il petitum dell’azione introdotta;  siffatta domanda è necessaria, però, non per la produzione dell’efficacia del giudicato sulla pronuncia relativa al rapporto complesso, ma allo scopo, per un verso, di evitare eventuali fenomeni di assorbimento della relativa questione, a causa dell’applicazione del principio del primato della ragione più liquida, e, per altro verso, di consentirne la trascrizione nei registri immobiliari, realizzando così l’effetto prenotativo e rendendo opponibile ai terzi la sentenza (cfr., Menchini, S.-Motto, A., Cosa giudicata, cit., 60 ss.; in senso critico, invece, Bove, M., Rilievo d’ufficio della questione di nullità e oggetto del processo nelle impugnative negoziali, in Giur. it., 2015, 1387 ss.).

La cognizione incidentale

Il principio accolto dall’ordinamento è quello della cognizione incidentale delle situazioni giuridiche pregiudiziali in senso tecnico: il giudice ha il potere-dovere di risolvere tutte le questioni (non soltanto civili, ma anche amministrative e penali), dalle quali dipende la definizione del processo dinanzi a lui instaurato, e tale decisione ha efficacia limitata al giudizio in corso (per riferimenti storici circa il sorgere e l’affermarsi di tale regola, si vedano per tutti: Menestrina, F., La pregiudiciale nel processo civile, rist., Milano, 1963, 119 ss., 141 ss.; Chiovenda, G., Istituzioni di diritto processuale civile, cit., 110 ss, 342 ss., 352 ss., 359 ss.).

Tra le più opzioni adottabili, gli ordinamenti moderni hanno scelto quella dell’accertamento incidenter tantum, in quanto essa è sembrata essere la soluzione più confacente alle esigenze di economia processuale e di celerità delle decisioni: «costituirebbe un grave impiccio per le parti, l’attribuzione della forza di giudicato alla risoluzione di tutti quei punti, sui quali viene sollevata una contestazione, al solo fine di risolvere una lite insorta tra loro» (così, Romano, A., La pregiudizialità nel processo amministrativo, cit., 146).

L’art. 34 c.p.c. stabilisce, per la pregiudizialità (civile), questa disciplina, e in modo analogo dispone l’art. 819 c.p.c. per il procedimento arbitrale (per un’analisi delle regole applicabili alla pregiudizialità contenziosa nei procedimenti camerali di volontaria giurisdizione, v. Menchini, S., La pregiudizialità contenziosa nei procedimenti (camerali) di volontaria giurisdizione (poteri del giudice ed effetti della decisione), in Riv. dir. proc., 2004, 1071 ss.).

Il giudice ha il potere di esaminare e di risolvere ogni questione dalla quale dipende la statuizione finale; l’accertamento così compiuto non è assistito dall’autorità di cosa giudicata, atteso che la sua efficacia resta limitata all’oggetto del processo originario; la conseguenza è che, in un successivo giudizio, «nel quale la stessa questione, già risolta incidenter tantum in una precedente sentenza, si presenti come l’oggetto principale del processo stesso e debba essere decisa con forza di giudicato, oppure si ponga ancora una volta come pregiudiziale rispetto alla decisione sulla domanda, il giudice non sarà vincolato dalla soluzione che di detta questione sia stata data e potrà risolverla in modo diverso» (così, Attardi, A., Diritto processuale civile, cit., 228).

La cognizione incidentale non dà luogo ad un accertamento minore, in quanto superficiale o non approfondito; infatti, «tra la cognizione incidentale e quella principaliter non vi è una differenza qualitativa ed entrambe sono esaustive sul piano del diritto di difesa costituzionalmente protetto. L’unica differenza è sul piano degli effetti, giacché soltanto la cognizione in via principale è in grado di sfociare in un provvedimento suscettibile di passare in giudicato sostanziale» (vedi, Verde, G., Brevi considerazioni su cognizione incidentale e pregiudizialità, in Riv. dir. proc., 1989, 175 ss., spec. 176).

L’accertamento incidenter tantum non può avere luogo, quando: a) sia diversamente stabilito dalla legge, la quale impone, in via eccezionale, la pronuncia con effetti di giudicato circa la situazione sostanziale pregiudiziale; b) sia proposta, da un soggetto a ciò legittimato, domanda di accertamento (incidentale) in ordine al diritto soggettivo pregiudiziale. In tali casi, sorge, nell’ambito del processo originario, una nuova causa, che si affianca a quella instaurata con la domanda introduttiva (cumulo oggettivo).

La trasformazione della questione in causa porta con sé una pluralità di conseguenze, che si fanno apprezzare specialmente con riferimento all’oggetto del giudicato, il quale si estende sino a comprendere l’accertamento della situazione pregiudiziale, e alla necessaria verifica circa la sussistenza del potere del giudice adito di decidere la (nuova) causa pregiudiziale e riguardo al rito applicabile a quest’ultima; allo scopo di favorire la realizzazione del simultaneus processus, la legge introduce deroghe alle regole ordinarie concernenti vuoi la competenza vuoi il rito (artt. 34 e 40 c.p.c.).

I presupposti dell’accertamento incidentale

La volontà di legge

La causa pregiudiziale può sorgere, in primo luogo, per volontà di legge (art. 34 c.p.c.); si tratta di una categoria tipica, ossia è necessario che una norma stabilisca che, in presenza di una contestazione sull’esistenza del rapporto giuridico che funge da fatto costitutivo oppure impeditivo, modificativo ed estintivo del diritto controverso, il primo debba essere deciso con autorità di giudicato. Lo scopo del legislatore è di impedire accertamenti contrastanti, ritenendo indispensabile, con riguardo a certe vicende giuridiche, evitare la formazione di pronunce di contenuto opposto; invero, la decisione con efficacia di giudicato della situazione sostanziale pregiudiziale, resa nel processo concernente quella dipendente, assicura che, in ogni futuro giudizio, pur concernente altri diritti, sia vincolante quanto stabilito in precedenza.

I casi più significativi sono rappresentati: a) dall’art. 124 c.c., per il quale, se nel giudizio, promosso dal coniuge, è opposta la nullità del primo matrimonio, tale questione deve essere previamente risolta con effetti di giudicato (vedi, Romano, A., La pregiudizialità, cit., 174; Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, III ed., I, Napoli, 1954, 113; Luiso, F.P., Diritto processuale, cit., I, 273; Proto Pisani, A., Lezioni, cit., 63); b) dall’art. 35 c.p.c., in forza del quale il credito opposto in compensazione, che ecceda la competenza per valore del giudice adito, se è contestato, è accertato con autorità di cosa giudicata (cfr., Proto Pisani, A., Lezioni, cit., 63; Montesano, L., Accertamento giudiziale, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 6; Andrioli, V., Commento, cit., I, 113); c) dalla questione di falso civile di un documento (artt. 221, 313 e 355 c.p.c.); se è proposta querela di falso ed il documento non è ritirato, la questione, ovunque sorta, deve essere decisa dal tribunale civile con efficacia di giudicato, con sospensione necessaria del giudizio principale (così, Andrioli, V., Commento, cit., I, 113; Romano, A., La pregiudiziale, cit., 174; Proto Pisani, A., Lezioni, cit., 63).

Per la giurisprudenza, l’art. 124 c.c. è espressione di un principio generale e, di conseguenza, tutte le questioni relative allo stato delle persone non possono essere decise incidenter tantum, con effetti circoscritti al giudizio in corso, ma debbono essere risolte, una volta per tutte, con autorità di giudicato; ciò a causa del rilievo pubblico dei rapporti che ne sono oggetto e della loro idoneità ad incidere su una pluralità di situazioni sostanziali, non soltanto delle parti ma anche di terzi (il principio è risalente, si segnalano, tra molte, Cass., 12.4.1980, n. 2220; Cass., 4.3.1980, n. 1436; Trib. Milano, 4.2.1982, in Giur. it., 1983, I, 2, 203 ss.; Trib. Venezia, ord. 31.7.2006; in dottrina, analogamente, Locatelli, F., L’accertamento incidentale ex lege: profili, Milano, 2008, 81 ss.; Proto Pisani, A., Lezioni, cit., 63).

La domanda di parte

La causa di accertamento incidentale può, inoltre, essere originata da un’apposita domanda di parte (art. 34 c.p.c.); il nostro ordinamento ha ripreso la soluzione adottata da quello tedesco e da quello austriaco ed ha riconosciuto alle parti, per ragioni di economia processuale, il potere di chiedere, in presenza di una contestazione, che il modo di essere del rapporto pregiudiziale sia fissato una volta per tutte, ad ogni effetto.

L’ammissibilità della domanda, che non richiede un’istanza formale, potendo la volontà delle parti essere desunta da ogni elemento idoneo, come le deduzioni svolte e le conclusioni rassegnate (così, Chiovenda, G., Istituzioni, cit., I, 364; Montesano, L., In tema di accertamento incidentale e di limiti del giudicato, in Riv. dir. proc., 1951, I, 329 ss., spec. 334; Cass., 17.11.1999, n. 12753; Cass., 20.12.1991, n. 13772; Cass., 26.3.1986, n. 2157; Cass., 6.2.1982, n. 696), è subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla legge per il compimento di un simile atto processuale, prime tra tutte la legittimazione ad agire e a contraddire (se la domanda è proposta contro un terzo, occorre chiamarlo in causa ex art. 269 c.p.c.; in questo modo, Menchini, S., Accertamenti incidentali, cit., 11; Trisorio Liuzzi, G., La sospensione, cit., 533 ss.; Trocker, N., L’intervento per ordine del giudice, Milano, 1984, 257 ss., 274 ss.; Fabbrini, G., Intervento coatto ad istanza di parte e pregiudizialità, in Giur. it., 1967, I, 1, 239 ss., spec. 247 ss.; in giurisprudenza,  Cass., 16.2.2005, n. 3105; Cass., 21.1.1992, n. 675; Cass., 18.1.1983, n. 467; Cass., 6.2.1982, n. 696) e l’interesse all’accertamento, che deve essere effettivo, e, quindi, è dato non dalla semplice contestazione, ma dal fatto che il rapporto pregiudiziale non sia ormai esaurito, ossia sussistano ulteriori diritti sostanziali per il cui modo di essere esso può assumere rilievo in futuro (in questo modo, specialmente, Montesano, L., In tema di accertamento incidentale, cit., 329 ss.; Andrioli, V., Commento, cit., 116; Menchini, S., Accertamenti, cit., 11 s.; Cass., 10.7.2002, n. 10039; Cass., 5.8.1998, n. 7691; Cass., 29.4.1993, n. 5086; Cass., 16.1.1993, n. 530).

Infine, la domanda deve essere proposta nel rispetto dei termini previsti dalla legge per la formulazione di domande nuove all’interno del processo originario, sulla base delle regole previste dai singoli riti; in particolare, con riguardo al processo ordinario di cognizione,  il convenuto deve introdurre la domanda nei tempi e nei modi stabiliti per la riconvenzionale, ossia inserendola nella comparsa di risposta e depositando quest’ultima in cancelleria almeno venti giorni prima dell’udienza di cui  all’art. 183 c.p.c.; l’attore, in maniera corrispondente, deve proporre la richiesta di accertamento del rapporto pregiudiziale nella prima difesa posteriore alla contestazione del convenuto, che ne determina i presupposti, e, così, di regola, già all’udienza dell’art. 183 c.p.c. (cfr., Menchini, S., Accertamenti incidentali, cit., 11; Luiso, F.P., Diritto processuale, cit., 272). A questo riguardo, si segnalano Cass., S.U., 14.12.2014, n. 26242 e n. 26243, le quali, riconosciuto che, nel giudizio di adempimento o di impugnativa contrattuale, il giudice può sollevare ex officio, in primo grado, per tutto il corso del processo e sino al momento della precisazione delle conclusioni, la questione di nullità del contratto, affermano che, in conseguenza di ciò, le parti possono proporre, senza incorrere nelle preclusioni stabilite dall’art. 183 c.p.c., la domanda di nullità del negozio.

La causa di accertamento incidentale

Qualora la (nuova) causa di accertamento incidentale appartenga alla competenza di un giudice diverso rispetto a quello adito oppure sia sottoposta ad un rito differente rispetto a quello della causa principale, la legge, allo scopo di favorire la realizzazione del simultaneus processus, stabilisce regole speciali, rispettivamente agli artt. 34 e 40, co. 6 e 7, c.p.c., con riferimento alla competenza, e all’art. 40, co. 3, 4 e 5, c.p.c., relativamente al rito.

Prendendo le mosse da quest’ultimo istituto, sulla base delle disposizioni citate, le cause connesse per pregiudizialità-dipendenza, pur assoggettate a riti differenti, sono trattate e decise congiuntamente, dovendosi applicare, per entrambe, il rito previsto per una di esse, il quale è determinato in forza dei criteri di prevalenza indicati dalla legge; e così, il conflitto tra rito ordinario e riti speciali è risolto a favore del primo, fatta salva l’applicazione del rito speciale quando una delle cause rientri tra quelle degli artt. 409 e 442 c.p.c. (controversie di lavoro e previdenziali), mentre, nello scontro tra più riti speciali, prevale quello della causa in ragione della quale è determinata la competenza o, in subordine, quello previsto per la lite di maggior valore.

Relativamente alla competenza, dagli artt. 34 e 40, co. 6 e 7, c.p.c. si deducono i seguenti principi: nei rapporti tra tribunale e giudice di pace, la preferenza è accordata sempre al tribunale, al quale spetta di pronunziare, nello stesso processo, in ordine ad entrambe le cause (art. 40, co. 6 e 7, c.p.c.); in modo analogo, in termini generali, l’art. 34 c.p.c. accorda prevalenza al giudice superiore, cui è devoluta la trattazione in simultaneus processus delle due controversie.

In queste ipotesi, ossia allorquando la competenza per le due cause appartiene a giudici di grado diverso, la costituzione del cumulo avviene di fronte a quello superiore, con deroga ai criteri di competenza, oltre che verticale, (eventualmente) anche orizzontale, per territorio.

Qualora per le due controversie, per ragioni di materia e valore, siano competenti giudici di pari grado (ad esempio, tribunali), ma, sulla base delle regole di competenza territoriale, esse spettino ad organi diversi (tribunale A piuttosto che tribunale B), in assenza di indicazioni da parte dell’art. 34 c.p.c., è dato ricorrere al disposto dell’art. 40, co. 1°, c.p.c., dal quale si desume che la competenza per il processo cumulativo spetta al giudice della causa principale ovvero a quello preventivamente adito, criteri questi che, se applicati alla figura in esame, conducono, in modo identico, ad individuare, quale organo competente per il cumulo, quello di fronte al quale pende la causa originaria.

Secondo la giurisprudenza più risalente ed ancora oggi prevalente, tuttavia, non è ammessa la deroga, per ragioni di connessione per pregiudizialità, alla competenza per materia e per territorio inderogabile (così come alla competenza cd. “funzionale”) e il cumulo può essere realizzato esclusivamente con deroga alla competenza per valore e per territorio derogabile (Cass., 23.5.2003, n. 8165; Cass., 17.1.2000, n. 449; Cass., 26.6.1993, n. 7684).  Con la conseguenza che: a) ove la causa pregiudiziale appartenga, per materia o per territorio inderogabile, alla competenza di un giudice inferiore, il cumulo non può essere costituito né di fronte a questo, in forza di quanto disposto dall’art. 34 c.p.c., né davanti al giudice superiore, non essendo possibile sottrarre al giudice naturale, competente per materia o per territorio inderogabile, la controversia pregiudiziale; b) per gli stessi motivi, se è la causa dipendente ad essere di competenza del giudice inferiore, per ragioni di materia o di territorio inderogabile, non può essere disposta la translatio a favore di quello superiore, né può essere conservata la trattazione unitaria di fronte al giudice adito, di grado inferiore.

Tale interpretazione non è accoglibile, posto che crea più problemi di quelli che risolve. Infatti, il rispetto dei criteri di competenza forti avviene al caro prezzo della sospensione, ex art. 295 c.p.c., della causa dipendente, in attesa della definizione di quella pregiudiziale, in palese violazione dei principi della ragionevole durata e dell’economia processuale. Pertanto, il cumulo processuale deve essere comunque realizzato, anche in danno, se necessario, della competenza per materia e per territorio inderogabile, applicando i criteri, sopra ricordati, stabiliti dagli artt. 34, 40, co. 1, e 40, co. 6 e 7, c.p.c. (per tutti, Fabbrini, G., Connessione: I - diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 10; Menchini, S., Accertamenti incidentali, cit., 12 s.; Proto Pisani, A., Lezioni, cit., 329 ss.).

Fonti normative

Artt. 34, 819 c.p.c.

Bibliografia essenziale

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