Accrescitivo

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

accrescitivo

Livio Gaeta

Gli accrescitivi sono una categoria di alterati (➔ alterazione) il cui elemento derivazionale «intensifica un tratto […] segnalando al tempo stesso un atteggiamento o positivo o negativo (più frequente) nei riguardi dell’attributo di grandezza descritto» (Merlini Barbaresi 2004a : 287-288). Ad es., un librone può essere grande per dimensioni, un palazzone per lunghezza, un gruppone per numero, un viaggione per durata, un successone per intensità e un professorone per importanza.

A differenza dei diminutivi (➔ diminutivo), gli accrescitivi non danno espressione al dominio concettuale dell’età (generalone o donnona si lasciano piuttosto ricondurre rispettivamente al dominio dell’importanza e della dimensione): probabilmente l’intensificazione in questo dominio sfocia direttamente nel valore qualitativo, spesso peggiorativo, come in vecchione, medicone («persona non laureata che esegue pratiche mediche minori e di scarsa affidabilità»), trafficone, puttanona, semplicione, ecc. In altre parole, la flessibilità semantica degli accrescitivi è ridotta rispetto a quella dei diminutivi, e mantiene comunque un riferimento denotativo sensibile, che può essere invece completamente cancellato con i diminutivi.

Le procedure morfologiche per formare accrescitivi sono varie, e includono la prefissazione e la suffissazione, oltre alla ripetizione del lessema come in grande grande, forte forte (➔ raddoppiamento espressivo) ecc. Specialmente quest’ultima ha effetti di intensificazione accrescitiva. Si noti l’effetto che la ripetizione ha con i nomi, per es. caffè caffè, Napoli Napoli, ecc., in cui viene denotata al grado più alto la proprietà saliente del nome: questo è un caffè caffè, sono nato a Bari Bari («proprio a Bari, non nei dintorni»). Per questo effetto la ripetizione sfocia negli usi superlativi o elativi (cfr. Dressler & Merlini Barbaresi 1994).

Per quanto riguarda i suffissi accrescitivi, il loro numero è decisamente più limitato rispetto ai diminutivi. L’unico suffisso, sia pur dotato di un’estrema produttività, è -one/-ona. Questo si combina con un’ampia varietà di nomi, spesso in opposizione polare a -ino (esempi da Google): «potremmo organizzare tornei, partitine, partitone», oppure «frizzi, lazzi, seratine, seratone», ecc. In alcuni casi si applica per sostituzione anche quando il suffisso diminutivo non è presente, come in trampolone rispetto a trampolino, o è decisamente idiomatizzato, come in telefonone, chiaramente rifatto su telefonino nell’esempio seguente tratto da Google: «credo che rimarrò con il mio telefonone motorola di antica data che non si è mai distrutto».

Il suffisso si combina anche con aggettivi (villanzone, zoticone), nel qual caso in genere «comporta una sostantivazione dell’alterato» (Merlini Barbaresi 2004b: 446). Inoltre, a differenza del diminutivo, il valore dell’alterato aggettivale incrementa gli eventuali tratti negativi della base, finendo per conferire a questa un significato comunque peggiorativo: intelligentone, sapientone, stupidone, ecc. L’unica classe di aggettivi che si sottragga parzialmente a questa generalizzazione è quella degli aggettivi di colore, in cui l’accrescitivo indica una varietà più intensa e forse più scura: giallone, verdone. Si combina inoltre con avverbi (benone), ma nella serie di avverbi in -oni indicanti posizione o modo di muoversi (gattoni, penzoloni, ecc.) «non si ravvisa ora alcun senso accrescitivo, anche se sono caratterizzati da espressività non dissimile da quella degli alterati» (Merlini Barbaresi 2004a: 288).

Applicato a verbi, il suffisso -one crea una classe di nomi d’agente, che pertanto non possono essere considerati alterati, in cui tuttavia il valore di intensificazione del suffisso è chiaramente riconoscibile come in chiacchierone, mangione, ecc. Quest’uso è quello etimologicamente più antico, risalente già al latino in casi come bibō «beone», crapulō «crapulone, mangione», ecc., «con i quali si esprimeva una particolare caratteristica di una persona» (Rohlfs 1969: § 1095). Dal momento che ciò che è caratteristico è spesso anche vistoso, eccessivo, si sviluppa già in latino il valore accrescitivo, come in capitō «testa grossa». Quest’uso è presente in formazioni italiane di tipo esocentrico come nasone, testone, culone, che, a rigore, non denotano «un gran naso», «una gran testa», ecc., ma metonimicamente individui che presentano quelle proprietà fisiche.

Il suffisso -one in genere prevede un’alternanza morfofonologica, per altro comune a tutte le «basi terminanti in -one/a, sia esso il suffisso accrescitivo o sequenza asemantica della parola» (Merlini Barbaresi 2004a: 271). Abbiamo infatti l’inserzione dell’affricata /ʧ/ prima dei suffissi alterativi -ino, -ello, o i rari casi (in genere idiomatizzati) di -one: cordon-c-ino, pallon-c-ino, maglion-ci-one, ma anche baston-ci-one, piccion-c-ino, ambizion-c-ella, ecc. La regola tuttavia non è assoluta, come si vede da rondonino, ma anche carbonella; per altro l’omofono suffisso aggettivale -ino (presente ad es. in marino, salino, ecc.) sfugge: leonino ~ leon-c-ino, montonino ~ monton-c-ino, ecc.

Oltre a -one, anche -otto può formare accrescitivi, benché sia «semanticamente ambiguo, nel senso che la modificazione dimensionale che imprime alla base oscilla tra accrescimento e diminuzione» (Merlini Barbaresi 2004a: 289). Tuttavia, questa si spiega in base al fatto che sono possibili due diversi standard valutativi. Da un lato, infatti -otto attribuisce alla base un valore diminutivo, dall’altro diventa accrescitivo soprattutto se il normale termine di confronto è una formazione già diminutiva. Ad es. cipollotto viene sentito come più piccolo di cipollina o di cipolletta; colonnotto è più grande di colonnina. Per questa sua ambiguità, -otto si presta anche per formazioni scherzose come scemotto o cretinotto, o vallotto creato dal tenore Luciano Pavarotti sul modello di valletta, in chiaro riferimento autoironico alla propria stazza.

Molto ricca e produttiva è invece la prefissazione con valore accrescitivo. Si possono distinguere due livelli di intensificazione: quello alto, espresso da prefissi come macro-, maxi-, mega-, super-, ecc., e quello massimo, espresso da prefissi come arci-, iper-, ultra-, ecc. (Iacobini 2004: 148). In entrambi i casi è possibile interpretare l’effetto accrescitivo in termini quantitativi o qualitativi, benché lo spettro semantico sia più limitato rispetto alla suffissazione. Tuttavia, maxi- e macro- esprimono valori esclusivamente quantitativi, mega- valori prevalentemente quantitativi, mentre iper-, super- e sopra- valori in genere qualitativi. In alcuni casi i vari prefissi sono sinonimi, ma possono essere anche impiegati in contesti oppositivi dando vita a serie di derivati che esprimono un crescendo di intensificazione come in supermercato / maximercato / ipermercato: iper- in genere esprime il grado più elevato, seguito da maxi- e da super- (Iacobini 2004: 149). Per altro, analogamente ai loro omologhi diminutivi come mini-, si prestano anche a usi predicativi come in questa gonna è proprio maxi / mini! (Grandi & Montermini 2005: 280).

Il prefisso maxi- è tra quelli più impiegati per esprimere intensificazione quantitativa, con nomi (maxiconcorso, maxiingorgo, maxitangente, ecc.), ma anche con sintagmi nominali (maxi-aumento di capitale). Per il valore quantitativo si oppone a super-, che invece predilige l’intensificazione qualitativa: un esempio di questa specificità si ritrova in espressioni come maxiprocesso con supertesti, che non sarebbero possibile con prefissi invertiti: * superprocesso con maxitesti.

Con valore quantitativo mega- si ritrova con nomi (megaapparato, megadepuratore, megatelevisore, ecc.) e con sintagmi nominali (megacasa editrice, mega-agglomerato urbano, megaparco archeologico), oltre che in terminologie tecnico-scientifiche con significati specifici (megabyte, megatone, ecc.). Può esprimere anche intensificazione quantitativa in casi come megadirigente, megacomputer; in megaconcerto, megaconvegno si oblitera la distinzione tra la dimensione quantitativa e qualitativa. Anche macro- è impiegato in terminologie tecnico-scientifiche, oltreché come nome femminile nell’accorciamento macro (da macrofotografia e, nella terminologia informatica, da macroistruzione). Con valore in genere accrescitivo denota un insieme di elementi presi nel loro complesso (macrocosmo, macroeconomia, macrosistema), anche in opposizione a micro- (macrocosmo ~ microcosmo, macrostruttura ~ microstruttura). Valore quantitativo ha anche il prefisso sopra- (con la variante sovra-), «a cui spesso si accompagna l’idea di eccesso, superamento di un limite» (Iacobini 2004: 150), come in soprannumero, sovrappeso, e con valore qualitativo in verbi come sopravvalutare, sovreccitare, ma anche di aggiunta, supplemento: soprattassa, soprannome, soprammercato.

Tipicamente intensificazione qualitativa comportano i prefissi iper- e super-, benché si possa trovare anche un valore accrescitivo di tipo dimensionale (ipermercato, supercinema). Entrambi si combinano produttivamente con nomi e aggettivi: iperspecialismo, iperinflazione, supercarburante, superpotenza; ipercritico, ipersensibile, superdotato, superprotetto. In qualche caso, si combinano anche con verbi: superpagare, supercaratterizzare, iperalimentare, ipervalutare. Nel caso di iper-, il valore di intensificazione sfocia spesso nel peggiorativo con una connotazione di eccesso: iperdosaggio, iperberlusconizzato, iperprotetto, che in qualche caso è propria anche di super-: superaffollamento, superallenamento. Infine, super- può sporadicamente denotare l’entità superiore alla norma o l’episodicità: superbollo.

Infine, molto produttivi con aggettivi sono i prefissi ultra- e extra-: ultramoderno, ultrarapido, extrasottile, extravergine, ecc., mentre stra-, oltre ad aggettivi (strabello, strapieno), si combina anche con verbi (stragodere, stravincere) e in qualche raro caso con nomi (stracittà, strapaese) o avverbi (strabene). Diffuso, ma meno produttivo, è invece il prefisso arci-: arciconvinto, arcinoto, arcistufo, che in qualche caso sfocia nel valore peggiorativo (arcicattolico, arciprudente).

Studi

Dressler, Wolfgang U. & Merlini Barbaresi, Lavinia (1994), Morphopragmatics. Diminutives and intesifiers in Italian, German, and other languages, Berlin - New York, Mouton de Gruyter.

Grandi, Nicola & Montermini, Fabio (2005), Valutativi suffissali e prefissali: un’unica categoria?, in La formazione delle parole. Atti del XXXVII congresso della Società di Linguistica Italiana, (L’Aquila, 25-27 settembre 2003), a cura di M. Grossmann e A.M. Thornton, Roma, Bulzoni, pp. 271-287.

Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.

Iacobini, Claudio (2004), Prefissazione, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 97-163.

Merlini Barbaresi, Lavinia (2004a), Alterazione, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 264-292.

Merlini Barbaresi, Lavinia (2004b), Aggettivi deaggettivali, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 444-450.

Rohlfs, Gerhard (1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3º (Sintassi e formazione delle parole) (1a ed. Historische Grammatik der Italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, A. Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 3°, Syntax und Wortbildung).

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