ACQUAVIVA D'ARAGONA, Andrea Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ACQUAVIVA D'ARAGONA, Andrea Matteo

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Figlio secondogenito di Giulio Antonio, duca d'Atri e di Caterina Orsini, contessa di Conversano, nacque nel gennaio 1458. Parente per parte di madre della famiglia reale aragonese (Caterina Orsini era cugina in primo grado della regina Isabella, moglie di Ferrante), strinse ancora di più questi legami sposando (20 sett. 1477) Isabella Piccolomini di Aragona, nipote di Ferrante per partedella figlia naturale Maria d'Aragona. Marchese di Bitonto fin dal 1464 per investitura sovrana, comperò dal demanio regio il feudo di Sternatia in Terra di Otranto (1478). Educato con i fratelli dal Pontano, fu da suo padre preparato alla vita delle armi, combattendo con lui in Toscana (1478) e poi ad Otranto contro i Turchi (1481). Con la morte del padre, proprio ad Otranto, egli, primo dei figli maschi dopo la morte precoce del fratello Giovanni Antonio, si trovò a ereditarne i feudi col titolo di duca d'Atri e conte di S. Flaviano, che lo facevano signore feudale di molta parte d'Abruzzo, della cosiddetta "baronia", centro della potenza degli Acquaviva, a cui s'aggiungevano i feudi materni col titolo di conte di Conversano.

L'A., che veniva così ad essere uno dei più potenti signori dell'Italia meridionale, continuò la sua attività militare, combattendo in Terra d'Otranto, come luogotenente generale del re, contro i Veneziani che avevano occupato Gallipoli e respingendoli vittoriosamente (1484).

L'anno dopo, tuttavia, egli fu tra i capi della congiura dei baroni, cui aderì per motivi che oggi non ci è facile stabilire, essendo solo ipotetiche le ragioni che si sogliono addurre, come il rifiuto degli Aragonesi di restituire agli Acquaviva Teramo, che per tanto tempo era stato loro feudo, o il timore di oscure minacce del duca di Calabria. Al momento della controffensiva di re Ferrante, l'A. non riuscì, però, a resistere alle forze comandate dal principe di Capua, Ferrante, che riuscì a disgregare la "baronia" grazie anche all'appoggio di alcune città rimaste fedeli, come Amatrice (dicembre 1485-primavera del 1486). Contemporaneamente altre forze del re attaccavano i possessi pugliesi dell'A., che, rifugiatosi proprio in Puglia, nei pressi di Conversano, fu infine costretto a sottomettersi (giugno 1486). Pochi mesi dopo, avendo aderito di nuovo alla ribellione partecipando al convegno di Lacedonia, fu ancora una volta sconfitto dalle forze regie e costretto ad un'umiliante resa a Cerignola (15 nov. 1486). Graziato per l'intercessione di Antonio Piccolomini, suo suocero e genero di Ferrante, non poté sottrarsi, però, a severe menomazioni del suo potere, come il cambio del marchesato di Bitonto con quello di Martina, deciso dal re per contentare gli abitanti di Bitonto e, più grave ancora, la consegna delle fortezze dei suoi domini feudali a castellani del re, con l'obbligo anche di pagare il mantenimento delle truppe regie colà sistemate. A queste umiliazioni fu di qualche compenso la carica di gran siniscalco del Regno, e come tale compare all'incoronazione di Alfonso II (10 ag. 1494). Certo il risentimento dell'A. dovette esser grande, se poco dopo, al momento dell'invasione di Carlo VIII, dopo un breve periodo di perplessità aderì al sovrano francese, dal quale vide non solo riconfermati i possessi e la carica, di cui già godeva, ma riottenne di nuovo Bitonto, dopo che con un processo, presso la Sommaria, ebbe riconosciuto il suo buon diritto (10 apr. 1495). Dopo il ritorno di Carlo VIII in Francia, l'A. si sforzò di sostenere in Abruzzo il partito francese, ma subì una grave sconfitta ad opera del condottiero aragonese Annibale Varano. Costretto ad arrendersi, ebbe salva la vita, ma Ferrante II gli confiscò i feudi; la contea di Conversano fu passata al fratello Belisario (1495).Poco dopo, però, nella generale amnistia concessa dal nuovo re Federico a tutti i feudatari ribelli, l'A. riebbe i suoi feudi, ivi inclusa Conversano, seguendo il sovrano nelle spedizioni militari di quegli anni, a Sora (1457) e ad Ascoli (1498).

Al momento dell'invasione spagnola del Regno di Napoli, non è ben noto l'atteggiamento dell'A.; certo, quando cominciarono i dissidi tra Spagnoli e Francesi per il possesso del Regno, egli fu deciso fautore di Luigi XII (diversamente da suo fratello Belisario) e per lui combatté accanitamente fino al 1503, quando fu preso prigioniero dal condottiero aragonese Pietro Navarro e rinchiuso prima nel castello di Manfredonia, poi in Castelnuovo di Napoli, ove stette fino al 1505, quando per una delle clausole del trattato di Segovia, concluso tra Francesi e Spagnoli nel settembre del 1505, riebbe la libertà e il possesso dei suoi feudi. Ritornato in primo piano nella vita del Regno, fu tra i baroni che fecero corteggio a Ferdinando il Cattolico, quando questi sbarcò a Napoli il 1 nov. 1506.

Rimasto vedovo durante la prigionia, l'A. concluse un nuovo ricco matrimonio con Caterina della Ratta, contessa di Caserta (morta dopo il 1511), che gli portò in dote il vasto patrimonio feudale ed allodiale della sua famiglia, comprendente numerosi e ricchi feudi in Campania, in Lucania e in Calabria. Ritornato in grazia degli Spagnoli, ne profittò per riordinare i possessi aviti, riuscendo a ricuperare Atri, nonostante l'ostilità degli abitanti, contro i quali egli, forte dell'appoggio sovrano, non esitò ad adoperare la forza: la città tornò in suo potere solo dopo un assedio (1508).

Costretto a dimorare in Napoli, si ascrisse al Sedile di Nido, ma fu in realtà tenuto lontano dalla vita politica, come sospetto di esser rimasto fautore dei Francesi: nel 1510 fu tra i nobili napoletani che osteggiarono l'introduzione in Napoli dell'Inquisizione di Spagna. Ma, dopo il ritorno dalla prigionia, la principale attività dell'A. fu, come si dirà, quella letteraria, brevemente interrotta nel 1521 per un tentativo, fallito, di recuperare Teramo.

Profittando delle difficoltà finanziarie di Carlo V, l'A. col pagamento di ben 40.000 ducati ottenne il 16 marzo 1521 un diploma sovrano, per cui riotteneva in feudo Teramo ed il suo contado. Contro tale concessione si levò l'opposizione di Teramo, consultata in proposito dal Consiglio collaterale: ne venne una vera e propria causa discussa dinanzi al S. Consiglio di Santa Chiara che diede ragione all'Acquaviva. Quando si accingeva per mezzo di suo figlio Giovanfrancesco, con la forza, a far valere il suo diritto, assediando Teramo, sorpreso da una sortita e sconfitto, fu costretto a ritirarsi; rinunciò così alla sua aspirazione di riavere il feudo avito, perso da allora in poi per la sua famiglia.

Un'ultima partecipazione alla vita politica si ebbe nel 1528 al momento dell'invasione del Lautrec: l'A. si spostò subito verso la Puglia, ove puntava il generale francese, mentre a Napoli veniva dichiarato ribelle. Ma duravano ancora le operazioni militari tra Francesi e Spagnoli, quando l'A. mori a Conversano il 19 genn. 1529.

La personalità dell'A. non si conclude però nella sua attività politica e militare: quanto questa fu varia, inquieta, molteplice, tanto fu invece equilibrata e compiuta la sua partecipazione al movimento umanistico del Mezzogiorno d'Italia; a ragione il Gothein lo ricorda come il più importante fra i principi umanisti accanto alla stessa corte reale di Aragona.

Educato alla scuola del Pontano con suo fratello Belisario, ed amico poi del Pontano, come degli altri umanisti meridionali, dal Galateo al Cantalicio, prese parte attiva all'Accademia Pontaniana, cui apportò il contributo del suo ingegno e l'appoggio del cospicuo patrimonio. E dagli amici umanisti ebbe numerosi e importanti consensi: ricordiamo fra tutti il Pontano, che gli dedicava il De Magnanimitate, esaltando la sua persona e la famiglia Acquaviva. A questo suo amore per la cultura e per gli amici accademici si deve l'impianto di una tipografia a Napoli, verso il 1525, diretta da Antonio Frezza da Corinaldo: vi furono stampate opere del Pontano (il De Fortuna, De Immanitate e De Astrologia) ed il De partu Virginis di Iacopo Sannazzaro.

Va inoltre ricordato che l'A., nel suo palazzo avito di Atri, raccolse una splendida biblioteca che fu esaltata dal Cantalicio (cfr. B. Croce, Umanisti meridionali: IV. Il Cantalicio, in Uomini e cose della vecchia Italia, s. 1, Bari 1927, pp. 65 ss.).

Una parte dei manoscritti, riunita nel convento dei gerolomini di Napoli, è ora passata alla Biblioteca Nazionale della stessa città. L'espressione più caratteristica dell'educazione umanistica dell'A., e quella che ne mostra l'ottima qualità, rimane la versione da Plutarco, alla quale l'A. accompagnò un ricco commento, che attesta una precisa conoscenza della lingua greca (mentre suo fratello Belisario ne possedeva poco più dei primi elementi), unita ad una consumata esperienza della filosofia antica e medievale.

L'opera Plutarchi De virtute morali. Libellus graecus cum latina versione et commentariis Andreae Matthei Aquivivi Hadrianorum ducis, Neapoli 1526 in folio, fu stampata nella tipografia d'Antonio Frezza da Corinaldo; oggi è rarissima anche nelle biblioteche; una copia è posseduta dalla Biblioteca Casanatense in Roma.

Bibl.: La migliore biografia dell'A, rimane, pur con qualche incertezza e lacuna, quella tracciata da L. Volpicella in Regis Ferdinandi Primi Instructionum liber, Napoli 1916, pp. 215 s., con altre indicazioni di fonti e di bibliografia. Sulla attività letteraria e culturale in genere si veda V. Bindi, Castel S. Flaviano. Studi storici archeologici ed artistici, III, Napoli 1881, pp. 22-114 (in cui è ripresa l'altra opera dello stesso Bindi, Gli Acquaviva letterati. Notizie biogr. e bibliogr., Napoli 1881). Entrambe utilizzano e ricordano i lavori eruditi precedenti. Altre indicazioni particolari sull'A, umanista si possono trovare in E. Gothein, Il Rinascimento nell'Italia meridionale, Firenze 1915, pp. 27 s.; dell'A. bibliofilo e della sua biblioteca si parla nell'articolo di J. Hermann, Miniaturhandschriften aus der Bibliothek des Herzogs A. M. III A., in Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses,XIX (1898), pp. 147-216; v. anche T. De Marinis, Un manoscritto di Tolomeo fatto per A. M. A. e Isabella Piccolomini, Verona 1956; per la cappella che fece costruire in Atri e sue vicende cfr. G. Cherubini, A. M. III A. e la sua cappella nella chiesa cattedrale di Atri, in Il Giambattista Vico, IV (1857), pp. 1 ss., notizie riprese dallo stesso, in La cappella di A. M. A. Memorie stor. artistiche, Pisa 1859.

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