DE BOSIS, Adolfo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE BOSIS, Adolfo

Elisabetta Mondello

Nacque ad Ancona il 2 genn. 1863 da Angelo, di antica famiglia marchigiana, e da Virginia Knappe. Fece i suoi primi studi all'istituto Rumori e poi nel collegio Campana di Osimo avendo fra i suoi professori anche docenti di una certa notorietà, come A. Ippoliti e A. Cerquetti, quest'ultimo purista e accanito manzoniano.

Ancora collegiale, esordì nel 1881 come poeta pubblicando un volume di liriche (I versi di Adolfo De Bosis, Fano) tipicamente adolescenziali, intrise di romanticismo, ricche di note classicheggianti, con reminiscenze del Petrarca e del Leopardi, ma anche con riferimenti a poeti e letterati stranieri. soprattutto inglesi, da Keats a Shelley, a Moore, a Goldsmith.

Trasferitosi a Roma fra il 1881 e l'82, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza pensando di accedere, dopo la laurea, alla carriera diplomatica. Ma fu preso dal fascino non tanto degli studi forensi, quanto dei cenacoli artistici e letterari e degli incontri culturali e mondani.

Diego Angeli lo descrive come uno studente negligente al punto da voler disertare la discussione della tesi di laurea, poiché nel medesimo orario doveva partecipare a un banchetto presso l'ambasciata d'Inghilterrasoltanto l'intervento di un altro commensale, il pittore inglese L. Alma-Tadema, lo avrebbe costretto a recarsi all'università per sostenere la prova.

Nel decennio '80-'90 gli ambienti culturali romani ruotavano attorno ad alcuni nuovi punti di ritrovo e di aggregazione: le redazioni di giornali e di riviste letterarie diventavano circoli alla moda, come la modestissima sala del quotidiano Capitan Fracassa in via del Corso, sopra la birreria Morteo, e successivamente quella del Don Chisciotte della Mancia. Qui confluivano personalità in vista e quegli artisti il cui incontro fu decisivo per la formazione del D.: Edoardo Scarfoglio e Francesco Paolo Tosti, Cesare Pascarella e Angelo Conti, Mario de Maria e soprattutto Gabriele D'Annunzio, al quale il D. fu legato da un lungo rapporto d'amicizia e di reciproca influenza.

Nel 1885 il D'Annunzio cominciò a dirigere la rivista più importante dell'età umbertina, Cronaca bizantina (fondata nell'81 da Angelo Sommaruga), la cui esperienza si sarebbe conclusa l'anno successivo; sotto la direzione del poeta il periodico accentuò vistosamente i toni estetizzanti. Strettamente in contatto col D'Annunzio era il gruppo di giovani artisti al quale si era legato il D. (composto da Diego Angeli, Giuseppe Cellini, Alessandro Morani, Aristide Sartorio, Enrico Coleman, Angelo Conti) uniti da un indirizzo comune, l'adesione ad un estetismo di tipo ruskiniano e preraffaellita destinato ad evolversi verso un raffinato parnassi anesimo, non immune da un certo alessandrinismo.

Le riunioni di questo gruppo, particolarmente frequenti fra l'85 e il 90, avvenivano secondo la testimonianza di D. Angeli al caffè Greco ed avevano il carattere di un vero cenacolo. Gli artisti discutevano delle nuove tendenze, leggevano pagine di opere filosofiche di Schopenhauer o brani di Shakespeare, presentavano le proprie opere. Ugo Fleres lesse il suo poema Don Giovanni, D'Annunzio le poesie che poi comparvero nell'Isotteo e il D. le sue prime traduzioni shelleyane. Nel 1887 la società assunse il nome di "In arte libertas", motto creato dal Cellini.

Accanto all'attività di traduttore intrapresa dal 1880-1881 il D. continuava anche quella di poeta. Sono di quegli anni molte delle liriche che costituiscono la sua opera principale, Amori ac silentio sacrum, composte fra il 1884 e 1894, presentate integralmente nel 1900 (poi ripubblicate nel libro XII del Convito nel 1907. successivamente riprese nel 1914 e nel 1924 con l'aggiunta delle Rime sparse).

I versi delle raccolte intrecciano materiali diversi: accanto ai moduli estetizzanti ricchi d'echi dannunziani si ritrovano, attraverso il filtro preraffaellita, reminiscenze stilnovistiche e petrarchesche, un forte influsso della lirica dell'amato Shelley ma anche di W. Whitman (come nell'ode A un macchinista), che in quegli anni il D. andava traducendo, nonché un forte interesse di carattere sociale, diverso da quello di Pascoli e D'Annunzio. Le molteplici influenze presenti nei suoi versi furono alla base delle stroncature del Croce (che preferiva il D. traduttore), il quale giudicò le sue liriche scarsamente originali ed il poeta privo di una energia sufficiente a forgiarsi un proprio stile. D'altra parte le molte sfaccettature, talvolta contraddittorie, della personalità del D. daranno luogo a differenti valutazioni critiche sul suo valore e sulla sua collocazione nella storia letteraria, tanto che a volte egli viene inserito in un ambito più novecentesco (L. Baldacci), altre volte viene giudicato ancora poeta dell'Ottocento (F. Ulivi).

Intanto il rapporto col D'Annunzio era divenuto sempre più stretto: famosa fu una crociera del D., interrotta da un fortunale, sul cutter del poeta pescarese (l'imbarcazione portava il nome shelleyano di Lady Clara e sul suo albero era alzato un gagliardetto con le tre conchiglie di Shelley), che ispirò le Odi navali e le prose dell'Armata italiana di D'Annunzio.

Nel gennaio del 1895 appariva il primo numero de Il Convito, la rivista fondata e diretta dal D., che a questa impresa dedicò con entusiasmo le sue energie e il suo patrimonio personale. Fu infatti l'unico finanziatore del periodico che con i suoi dodici numeri fu, come scrisse Croce, "la manifestazione collettiva più solenne dell'estetismo".

Ultima importante rivista romana di fine '800, Il Convito, secondo il progetto originario doveva aver termine entro il primo anno, uscendo quindi dal gennaio al dicembre. Probabilmente anche per difficoltà editoriali, i fascicoli furono invece pubblicati nell'arco di dodici anni. fino al 1907, anche se solo i primi nove numeri (dal gennaio 1895 al dicembre 1896) possono essere considerati come fascicoli della rivista. I successivi risultano infatti dei volumi autonomi, poiché contengono soltanto scritti del D.: nei libri X e XI, usciti nel gennaio 1898, si legge la versione debosisiana de I Cenci di Shelley, seguita da una Nota su Percy Bysshe Shelley e su "I Cenci" dello stesso D. e dalle Note sulla famiglia Cenci - verità e poesia di Arturo Vecchini. Il libro XII, pubblicato nel dicembre del 1907, contiene le liriche del D. dedicate alla memoria di Nencioni, Panzacchi e Boggiani, già pubblicate in volume nel 1900.

Il Convito fu realmente una delle espressioni più caratteristiche e vistose dell'estetismo, a partire dall'aspetto esterno dei fascicoli stampati su carta appositamente fabbricata, con fregi di rinomati pittori ed eliotipie fuori testo. Illustratori della rivista furono Giuseppe Cellini, Giulio Aristide Sartorio, Francesco Paolo Michetti, Alessandro Morani, Lawrence Alma-Tadema, Enrico Coleman, cioè gli stessi artisti che avevano costituito la società "In arte libertas". La tendenza preraffaellita è per altro ritrovabile sia nel saggio del Sartorio, Nota su Dante Gabriele Rossetti (libro II e libro IV de Il Convito), sia nella teorizzazione fatta dal D. dell'illustrazione come continuazione o interpretazione della parola, esposta nel saggio Note su Omar Kayyam e su Elihu Vedder pittore (libro VI) sia già nel saggio del D'Annunzio, Nota su Giorgione e la critica (libro I), sfociava nel concetto della critica come arte germogliata dall'arte e in una concezione del critico come "artifex additus artifici".

D'altra parte la stessa sede de Il Convito, un piccolo appartamento bizzarro nel palazzo Borghese, che era stato una volta il bagno di Paolina Borghese ed era stato affrescato da un seguace dello Zuccari, aveva un tono tipicamente decadente e preraffaellita. Ugo Ojetti descriveva così l'atmosfera di quelle stanze: "Odor d'incenzo o di sandalo, luce mitigata da tende o da cortine, sete e velluti alle pareti, cassepanche e tavole del rinascimento, divani profondi senza spalliere con venti cuscini, e in vecchie maioliche fiori dal lungo stelo, fasci di rami fioriti" (in Cose viste, I,Firenze 1951, p. 531).

I collaboratori più assidui e di rilievo della rivista furono il D'Annunzio e il Pascoli: del primo fra l'altro Il Convito pubblicherà a puntate fin dal primo numero Le Vergini delle rocce, del secondo Gog e Magog che entreranno a far parte dei Poemi conviviali. Altri collaboratori furono: Diego Angeli, Giosuè Carducci, Riccardo Foster, Emesto Monaci, Enrico Nencioni, Enrico Panzacchi, Edoardo Scarfoglio, Vittorio Spinazzola, Annibale Tenneroni, Giovanni Tesorone, Arturo Vecchini e Adolfo Venturi.

Nonostante la forte personalità di molti dei collaboratori, il periodico si presentava con un aspetto unitario, a partire dal culto della "Bellezza", nella duplice direzione estetica ed ideologica. Il brano programmatico più significativo, oltre all'introduzione alla Canzone di Legnano del Carducci, è il Proemio (libro I) della cui paternità si è a lungo discusso, attribuendola alternativamente al D. o al D'Annunzio; ma le recenti comparazioni di E. Scarano di questo testo con la contemporanea prosa dannunziana La parola di Farsaglia, la assegnano, a meno di pensare che si tratti di un clamoroso plagio, al poeta pescarese.

L'esperienza de Il Convito terminò di fatto nel 1898, e non solo per l'impossibilità del suo direttore di porsi a guida del movimento che aveva in realtà più forti ispiratori, ma anche perché in assoluto si era conclusa una fase culturale.

Dopo la chiusura del periodico il D., pur senza abbandonare totalmente il mondo delle lettere, assunse un ruolo più marginale. Malgrado alcuni dati biografici (la frequentazione di vari gruppi artistici e la stessa esperienza della rivista) possano far pensare il contrario, in realtà egli era un personaggio schivo, poco incline alle estrosità e agli esibizionismi. Ricorrente è nei critici del periodo il ritratto di un D. amante dell'arte, dedito al culto della bellezza, ma infastidito dalle manifestazioni eccentriche. Lo stesso D'Annunzio lo definiva "principe del Silenzio" in Contemplazione della morte (Milano 1912, p. 11), a sottolineare l'atteggiamento di indifferenza e di rifiuto degli aspetti più superficiali e mondani del mondo delle lettere e nel contempo la preferenza per le abitazioni appartate (la villa Diana a Roma, sulla via Tuscolana, l'alta torre sulle mura di Belisario presso porta Pinciana a Roma, già abitata dallo scultore Moisè Ezekiel, ed infine la casa di Pietra La Croce, Ancona), che amava trasformare in cenacoli artistici.

Nel D., la vocazione letteraria era sempre stata una attività parallela all'impegno professionale. Dopo molti viaggi negli Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Germania, aveva abbandonato l'avvocatura per divenire amministratore e direttore di varie società commerciali e industriali. Fra l'altro fu direttore della Società italiana per il carburo di calcio e consigliere delegato della Società per le tranvie elettriche di Temi.

Trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi, oltre che a questi impegni, alla famiglia (aveva sposato Lilian Vernon di una famiglia americana di origine inglese il cui padre fondò la Chiesa metodista episcopale in Italia, e ne ebbe sette figli) e alla attività di traduttore. Ai testi editi precedentemente in volume (La sensitiva di Shelley, Roma 1892) e ne Il Convito (la tragedia di Shelley I Cenci fu ripubblicata in volume nel 1916), vanno aggiunte le traduzioni del dramma lirico shelleyano Il Prometeo liberato (Roma 1922), e delle Liriche. Epipsychion, La sensitiva, Poesie sparse (Milano 1928) quest'ultima pubblicata postuma. Tradusse anche Le anime nemiche (ibid. 1908) di P. H. Loyson (le Père Hyacinthe), introducendo in Italia le sue idee religiose e sociali.

"Presso il pubblico Adolfo De Bosis uomo era più noto del De Bosis poeta", scriveva nel 1924 A. Tilgher, con un giudizio che forse era eccessivamente ingeneroso verso il personaggio. Se infatti del D. era celebre l'amicizia col Pascoli e col D'Annunzio (il primo gli aveva dedicato i Poemi conviviali e il secondo che l'aveva ricordato in Contemplazione della morte, era giunto successivamente a definirlo il suo maestro), nonché il ruolo svolto come mecenate e finanziatore de Il Convito, occorre rilevare che molto note furono anche le sue traduzioni da Shelley.

Il D. si spense ad Ancona, nella villa di Pietra La Croce, il 28 ag. 1924.

Fonti e Bibl.: Necrol. di D. Angeli, in Il Giorn. d'Italia, 29 ag. 1924; in Il Messaggero, 29 ag. 1924; in L'Illustr. ital., 7 sett. 1924, p. 280; in L'Italia che scrive, VII (1924), novembre, pp. 197 s.; A. De Gubernatis, Dict. international des écrivains du monde latin, Roma-Firenze 1905, p. 439; B. Croce, A. D., in La Critica, IX (1911), poi in La letteratura della nuova Italia, IV,Bari 1914-1915, pp. 141-156; Id., Il Convito, in La Critica, XII (1914), pp. 13 s.; E. Marcellusi, A piè del monte, Rocca San Casciano 1917, pp. 1927; L. L. Russo, A. D., Napoli 1922; A. Tilgher, A. D., in I Diritti della scuola, 7 dic. 1924, pp. 29 s.; L. Valli, A. D., in La Nuova Antol., 1° dic. 1926, pp. 290-299; G. Crocioni, Il poeta A. D., Bologna 1927; C. Pellizzi, Le lettere ital. del nostro secolo, Milano 1929, pp. 56 s.; D. Angeli, Le cronache del "Caffé Greco",Milano 1930, pp. 160-162; V. Cianfarani, Il Convito, in Ricordi romani di G. D'Annunzio, Roma 1938, pp. 149-163; G. Salvemini, Prefazione, a L. De Bosis, Storia della mia morte e ultimi scritti, Torino 1948, pp. VII s.; G. Lo Curzio, D., in Ottocento minore. Incontri e pretesti, Palermo 1950, pp. 47-59; L. Baldacci, Poeti minori dell'Ottocento, Milano-Napoli 1958, I, pp. XLV, 1217 s.; II, pp. 1281 s.; M. Petrini, G. Pascoli, il "Convito" e il "Marzocco", in Belfagor, XVI (1961), pp. 432-440; O. Maiolo Molinari, La stampa periodica romana dell'800, I, Roma 1963, pp. 242 s.; F. Ulivi, A. D., in Poeti minori dell'Ottocento ital., Milano 1963, pp. 753 s.; G. Barberi Squarotti, A. D., in Grande Diz. encicl. Utet, VI,Torino 1968, pp. 41 s.; E. Scarano, Dalla "Cronaca Bizantina" al "Convito", Firenze 1970, passim; A. D., in Diz. della letter. ital. contemp., Firenze 1973, pp. 274 s.; A. D., in Diz. gener. degli autori ital. cont., I, Firenze 1974, pp. 401 s.; C. Varese, A. D. e "Il Convito", in Novecento. I contemporanei. Gli scrittori e la cultura letter. nella società italiana, Milano 1978, pp. 614-632; R. Bertacchini, "Cronaca Bizantina" e il "Convito", riviste romane dell'estetismo decadente, in Otto-Novecento, II (1978), 5, pp. 67-86.

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