OMODEO, Adolfo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

OMODEO, Adolfo

Girolamo Imbruglia

OMODEO, Adolfo. – Nacque il 18 agosto 1889 a Palermo, da Guido Omodeo Salé, ingegnere lombardo impiegato al Genio civile, che adottò una forma ristretta del cognome, e da Giuseppina Marchica. Secondogenito, suoi fratelli furono Dina, poi moglie di Enrico Calandra, e Carlo.

Nel 1906, dopo aver girato varie sedi in Italia, la famiglia tornò a Palermo. Lì in primo liceo classico, Omodeo ebbe come professore per pochi mesi Eugenio Donadoni, con cui la pronta simpatia reciproca si cementò in rapporto duraturo. Anche per via di questo incontro, il suo precoce interesse per le questioni religiose si misurò con l’idealismo e il modernismo. Nel 1908 fu ammesso alla Scuola Normale superiore di Pisa, con un tema che rivelava passioni carducciane (Pertici, 1992). Seguì Amedeo Crivellucci e grazie a lui pubblicò, nel 1910, in Studi storici la sua prima recensione. Lasciò la Scuola un anno dopo.

Il clima normalista anticlericale non gli dispiaceva, ma gli risultava intollerabile la dominante cultura positivista, nella quale scorgeva il pericolo, poi formulato nella prolusione del 1923 (Il valore umano della storia cristiana, in Tradizioni morali..., 1929), di non comprendere la natura del fenomeno religioso. In quegli anni condivideva le passioni di molta parte della gioventù italiana. La carducciana «verità dei grandi antichi sogni» (G. Carducci, A Scandiano, in Rime e ritmi, Bologna 1899) lo portava oltre la tradizione risorgimentale, al repubblicanesimo settecentesco e rivoluzionario. Verso i diciotto anni fu «fierissimamente rivoluzionario»: «il Contratto sociale mi rivelò profondamente il concetto della libertà formatrice del mondo politico: ma mi si approfondiva, questo concetto, in un senso positivo, divergente dalla libertà piuttosto negativa del Rousseau» (lettera a Eva Zona, 11 dicembre 1912, in Lettere, 1963, p. 48).

Lo studio della storia della libertà si unì da subito alle indagini di storia religiosa e a letture filosofiche. Nel 1913-14 mantenne una collaborazione saltuaria ma impegnativa alla Voce. L’influenza di Georges Sorel, in particolare per il rapporto tra mito e ragione, élites e popolo si sentiva nelle posizioni politiche. Provava avversione per i Savoia e la monarchia, sfiducia nei primi cinquanta anni dell’Unità, salveminiano accanito antigiolittismo, acceso antiparlamentarismo, adesione a un socialismo che avrebbe dovuto evitare il mito del futuro e guardare «più […] all’antico episcopato che alle magistrature democratiche, alla chiesa più che allo stato» (a Giuseppe Prezzolini, 15 ottobre 1910, in Pertici, 1992, pp. 597-599). A questo mélange di idee e passioni diede ordine l’incontro con Giovanni Gentile, a cui scrisse la prima lettera nel luglio 1911. Oltre che nell’università, ebbero contatti nel cenacolo palermitano della Biblioteca filosofica.

La scelta di Omodeo di dirigersi all’idealismo di Gentile porta il segno del tempo. Prima della guerra Gentile aveva riservato alla vita religiosa un’attenzione maggiore di Benedetto Croce, che la giudicava un caput mortuum. Gentile canalizzò nello storicismo il ‘rivoluzionarismo’ di Omodeo, che ne trasse indicazione anche di studio. Nel 1910, aveva detto all’amico Pietro Silva: «Prima di studiare il gesuitesimo [sic]ho sentito il bisogno di occuparmi di uno dei punti più ardui del cristianesimo: la dottrina della grazia» (cit. in Pertici, 1997, p. 183), e forse nell’interesse al gesuitismo si sente l’eco della Filosofia della pratica di Croce; ma da Gentile venne la sistematicità d’intenti che trapela dalla lettera a Eva Zona: «Vedo chiaramente la mia vita. Devo prima fortemente affermarmi nel mondo del pensiero e, dopo aver preso dominio del passato, affrontare il presente con tutti i suoi problemi […]. Voglio rivelare, come storico […] la vita del cristianesimo nei suoi grandi momenti: voglio però abbracciare insieme parecchie attività: voglio studiare anche il nostro Risorgimento: acquistare coscienza di tutto il movimento storico che ci ha creati, significa dominare col pensiero anche il momento presente: la storia mi condurrà dinanzi ai problemi politici dei nostri giorni» (21 novembre 1911, in Lettere, 1963, p. 16). Sposò Eva Zona, nel 1914 e dal matrimonio nacquero cinque figli (Vittoria, Ida, Pietro, Anna e Sara).

Laureatosi nel giugno 1912 (relatore Gentile, correlatore Gaetano Mario Columba, docente di storia antica), l’anno successivo pubblicò la sua dissertazione con il titolo Gesù e le origini del Cristianesimo e lo scritto Res gestae e historia rerum, nel quale polemizzò in nome dello storicismo gentiliano con quello crociano.

L’attività scientifica, proseguita con la pubblicazione nel 1914 dei Prolegomeni alla storia dell’età apostolica. I. Gli Atti degli Apostoli, fu spezzata dalla Grande Guerra. Fu interventista per coerenza con i suoi ideali (a Eugenio Donadoni, 13 maggio 1915, in Lettere, 1963, p. 100). La guerra fu da lui sentita come un destino e una scelta («Se si spiegherà nuovamente la bandiera del Risorgimento, ci sarò anch’io: costi quel che costi», allo stesso Donadoni, 22 dicembre 1914, ibid., p. 94). Condivise la certezza gentiliana che «grandi forze morali» si sarebbero «purificate da questo gran lavacro di sangue, per tutta l’umanità» (lettera di Gentile, 15 luglio 1915, in Carteggio Gentile, 1974, p. 167). Fu ufficiale di artiglieria dal 1915 al 1918.

Nel 1919 iniziò a insegnare al liceo. La guerra, Caporetto, la sua conclusione e il dopoguerra gli mostrarono che la separazione tra cultura e nazione, tra intellettuali e popolo era un drammatico carattere dell’Italia. Ne venne una nuova riflessione sul compito dello storico, esposta negli articoli Educazione politica pubblicati nella rivista L’Educazione nazionale nel 1920 (poi in Liberà e storia, 1960, pp. 18-30). Omodeo acquisì il carattere di «educatore politico, che diventerà problema critico, storiografico nella elaborazione e definizione del concetto di “pensiero mitico” come distinto dal “pensiero razionale”» (Cantimori, 1959, p. 63). Il bilancio era tragico, aveva partecipato a una guerra inutile: la rigenerazione promessa non c’era stata, «la guerra come fatto bruto nulla ha generato» (Pertici, 1992, p. 614) e anzi aveva cancellato il «mito storicistico della guerra creatrice» (Momenti ..., 1934, p. 266); assisteva a un’inutile rivoluzione socialista e al fascismo, per il quale «fin dai primi momenti […] ebbi dei dubbi che purtroppo vedo realizzarsi» (5 agosto 1924, in Carteggio Gentile, 1974, p. 316).

Per Omodeo il fascismo fu un «movimento caotico», cui aveva creduto di poter imporre con Gentile una forma «nostra e invece esso aveva entro un principio animatore che ora diverge profondamente da noi. Abbiamo errato proprio perché volevamo imporre una forma dal di fuori» (19 dicembre 1924, ibid., p. 327). La vita politica sarebbe stata distrutta dalla «milizia» in simili partiti. Si doveva «militare solo per la patria» (ibid.). La mentalità fascista era «militaresca», la disciplina «caporalismo»; si era creata un’«assurda miscela di milizia e politica», di Stato e partito (5 agosto 1924, ibid., pp. 316-324). Mussolini gli parve mediocre politico di «personalismo bonapartistico» (27 agosto 1924, ibid., p. 320). Nelle lettere del 15 ottobre e 19 dicembre 1924 ribadì a Gentile che il fascismo era «rivoluzionarismo allo stato cronico, che con tanta leggerezza sovverte ogni norma giuridica e morale, senza crearne una nuova»; era «infinitamente più pericoloso […] del bolscevismo». «Non arrivo a scorgere neppure lo stato forte, come non arrivo a scorgere lo stato etico, perché non credo che la violenza sia forza» (ibid., p. 324). Gentile gli rispose con rigidità e perfino con un tocco di derisione (22 dicembre 1924, ibid., p. 328).

Tornò agli studi. La vicenda universitaria (Mustè, 1990, pp. 218-226), nella quale Gentile fu decisivo, ebbe esito felice con la nomina nel 1922 a professore di storia antica a Catania, nel 1923 a professore per chiara fama di storia della chiesa a Napoli, e poi di storia del cristianesimo. Non gli riuscì in seguito di passare a storia moderna (nel 1929, in successione a Michelangelo Schipa, diniego che giustamente sentì decisione politica [Archivio Omodeo, b. 11, relazione Ciaceri]) e a storia antica (nel 1940, in successione a Emanuele Ciaceri). Nel 1931 come professore universitario giurò fedeltà al fascismo, con decisione sofferta ma inevitabile; nel 1933 rifiutò di iscriversi al partito, pur duramente minacciato; nel 1941, come soldato del 1915-18 fu obbligato a chiedere la tessera del PNF, che gli fu tolta subito.

Le opere maggiori nel campo della storia del cristianesimo furono Storia delle origini cristiane. II. Prolegomeni alla storia dell’età apostolica (1921), III. Paolo di Tarso (1922), e La mistica giovannea (1930). Omodeo vi mostrò con quali contraddizioni si fosse istituzionalizzato l’entusiasmo religioso iniziale. Gesù e Paolo avevano rappresentato la natura della religione; la Chiesa era stata un fenomeno paralizzante, sebbene necessario, dell’energia religiosa. Mentre per il modernismo l’entusiasmo religioso fu fonte di vita ecclesiale, Omodeo vi vide un fattore di civiltà laica. Il lungo dialogo con il modernismo si concluse con Alfredo Loisy storico delle religioni (1936). Estraneo al vagheggiamento modernista della comunità cristiana originaria, Omodeo fu più vicino alla storiografia protestante, che aveva riconosciuto il valore dell’individuo, come si legge in Giovanni Calvino e la riforma in Ginevra (1945). Già nel 1924 il Vaticano aveva messo all’Indice la sua antologia L’esperienza etica dell’Evangelio (1924).

Nel 1925 apparve il manuale Età moderna e contemporanea. Omodeo aveva annunciato a Gentile progetti «per lavori più grandi di storia del cristianesimo antico e di storia del Risorgimento» (27 agosto 1924, in Carteggio Gentile, 1974, p. 319). In tali nuove indagini, sviluppate quando si stava allontanando da Gentile, ebbe gran peso l’avvicinamento a Croce. Nel 1925 non firmò il Manifesto crociano contro il fascismo. Aveva pubblicato nel 1924 nel Giornale critico della filosofia italiana (V, pp. 447-452) B. Croce e la scuola, ultima sua difesa di Gentile. Tuttavia, contro la «onda fangosa» del nazionalismo espresse a Croce il suo «sentimento di solidarietà superiore ai dissensi che possono in altro campo separarci» (16 marzo 1925, inCarteggio Croce, 1978, p. 5). Nel 1926 in Storicismo formalistico, apparso su Educazione politica, dubitò si potesse arrivare per sillogismi all’azione politica. Nel 1927 provò a proporre una tregua ai due filosofi. Nel 1928 su Leonardo, criticò in Storicismo il maestro e preparò una elogiativa recensione alla crociana Storia d’Italia (poi in Figure e passioni del Risorgimento italiano, 1932), di cui Gentile impedì la pubblicazione su Leonardo (cfr.CarteggioGentile, 1974, p. 397). Il testo, che segnò la rottura con Gentile, lascia intravedere le differenze tra Omodeo e Croce, specie sul democraticismo mazziniano (Mustè, 1990, pp. 141-143). Omodeo partecipò allora a riviste non ortodosse, come Leonardo di Luigi Russo e La Nuova Italia. La collaborazione con La Critica, iniziata nel 1928, si stabilizzò nel 1930, quando Omodeo, osteggiato dal gesuita Pietro Tacchi Venturi e non più sostenuto da Gentile, abbandonò l’Enciclopedia italiana, cui aveva partecipato per la storia del cristianesimo. Era ormai passato all’opposizione e alla comunanza di lavoro con Croce.

«Ho piacere – gli scrisse questi – che abbiate avviato i vostri lavori cavourriani; e credo che non dovrete abbandonare l’idea di tornare sulle questioni metodologiche della storiografia. Finora sono rimasto solo o quasi a predicare per questa parte. Stimo molto giovevole che si sia in più d’uno» (lettera di Croce, 18 luglio 1930, in Carteggio Croce, 1978, p. 29). Ne La Critica Omodeo tenne la sezione «storico-morale» (lettera di Croce,13 settembre 1930, ibid., p. 36).Croce esortò Omodeo, il quale confessava che Cavour e Mazzini lo attiravano «più di Clemente alessandrino e Origene» (lettera di Croce,29 luglio 1929, ibid., p. 20), a volgersi «con libertà di movimento agli altri argomenti che ora vi interessano. Ma, se la storia è storia religiosa, voi avete fatto una magnifica preparazione, che ai nostri storici manca» (Croce a Omodeo,10 agosto 1929, ibid., p. 22). In gioco c’era più che la filologia. L’esperienza religiosa per Gentile trovava risoluzione nella struttura gerarchica; per Croce rappresentò l’inestinguibile irrequieta energia della cultura. La storia come storia religiosa era storia di movimenti: in primo piano venivano gli eretici, non i custodi dell’ortodossia; il rapporto tra mito e ragione, tra cultura e istituzioni cambiò perché suo oggetto erano le forme storiche della libertà. Con Primato francese e iniziativa italiana (in La Critica, XXVII [1929], pp. 223-240) Omodeo presentò la sua ricerca risorgimentale, che verteva sul riconoscimento della dimensione europea del Risorgimento e sull’accostamento di Mazzini a Cavour, del quale aveva iniziato a curare la monumentale edizione dei Discorsi parlamentari con Russo, pubblicati a partire dal 1932. Il Risorgimento per lui non fu una vicenda chiusa nei confini italiani, come sosteneva la storiografia fascista: lo collegò alla storia europea per genesi e raggiungimenti e ne riconobbe il legame con la rivoluzione e con l’illuminismo. Nuova fu la sua interpretazione di Mazzini e soprattutto la ricostruzione che fece de L’opera politica del conte di Cavour (1940). La fecondità della politica risorgimentale era scaturita dalla «involontaria» (Il senso della storia, 1970, p. 5) collaborazione tra Mazzini e Cavour. Da quella polarità sorse per il primo una visione politica più generale e volta alla strategia unitaria. Tale sintesi si dipanò in molti saggi, dove Omodeo svolse confronti metodologici e analisi erudite, come La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia (1940) e Gioberti e la sua evoluzione politica (1941).

Questa idea della storia animò Momenti della vita di guerra. Dai diari e dalle lettere dei caduti 1915-1918 (1934, ma apparso su La Critica, dal 1929 al 1933): un lavoro, che si presentò come una cronaca ma si rivelò straordinaria opera di storia contemporanea. Omodeo seppe cogliere nel corto respiro della memorialistica la dinamica profonda della nuova umanità che in quella guerra era sorta e, a suo giudizio, fecondamente scomparsa. Se nel XIX secolo vide «l’irrompere del moderno uomo europeo, laico, libero e liberale» (Trentacinque anni di lavoro storico, 1945-46, poi in Il senso della storia, 1970, p. 5), in Momenti descrisse la comparsa dell’individuo novecentesco. Fu la propria autobiografia e la biografia di una generazione europea, non soltanto italiana.

Andò per studio nell’autunno del 1932 a Parigi, dove incontrò Alfred Loisy e Lionello Venturi. La condivisione dello storicismo crociano, che affermò l’importanza del liberalismo ottocentesco francese, lo guidò allo studio del Cattolicismo e civiltà moderna nel secolo XIX e della Cultura francese nell’età della restaurazione (apparsi su La Critica a partire dal 1936).

Nella storia della Restaurazione francese pensò di costruire «una specie di storia della civiltà» (24 settembre 1932, in Carteggio Croce, 1978, p. 59). La storia di quel periodo gli parve «come un vero Kulturkampf (quello tedesco non può reggerne il paragone). La rivoluzione francese si rivela in quegli anni come una vera civiltà laica, contro cui si spezza la reazione borbonico-clericale» (22 luglio 1932, ibid., p. 50). Il processo della secolarizzazione e del suo farsi religione della libertà fu analizzato nei conflitti di entrambigli schieramenti. Omodeo tracciò una storia che iniziò con Blaise Pascal (Introduzione all’ed. it. di Pensées, 1935) e terminò da un lato con Alexis de Tocqueville e gli storici e i politici francesi, e d’altro lato con la riflessione di Benjamin Constant sulla storia religiosa e il suo nesso con il pensiero della libertà. La riflessione di Constant sulla libertà antica e moderna riaprì l’interesse suo per la politica greca del V secolo. Nel 1941 pubblicò La concezione della civiltà in Tucidide su Popoli, la rivista di Federico Chabod e Carlo Morandi. Nel 1945 a gennaio uscì il primo volume de L’Acropoli, rivista da lui fondata con Gaetano Macchiaroli. Dalla metà degli anni Trenta cominciò ad avere una presenza editoriale, che culminò nella collaborazione con l’Istituto per gli studi di Politica internazionale (1941-45).

Il triennio 1943-46 fu per Omodeo convulso, ma congeniale al suo storicismo. Il 1° ottobre 1943 fu nominato rettore. Ebbe scontri durissimi con gli studenti, ai quali rinfacciò codardia e opportunismo. Prioritario gli parve l’abbattimento della monarchia. L’ideale repubblicano prese accenti mazziniani, nei quali trovò la protezione contro il «Leviathan statale» (I fondamenti ideali del partito d’azione, alla radio il 16 novembre 1943, in Libertà e storia, 1960, p. 117). Fondò il circolo Pensiero e azione nel 1944 ed entrò fin dalla sua fondazione (1943) nel Partito d’azione, con una decisione caldeggiata da Croce. Ebbe parte nella commissione di epurazione universitaria, che volle rapida e corretta. Come esponente del Partito d’azione fu ministro all’Educazione nazionale (dal maggio Pubblica istruzione) nel II governo Badoglio (22 aprile 1944-8 giugno 1944)e lì preposto alla Commissione ministeriale di defascistizzazione degli uffici statali; dal febbraio all’aprile 1945 si arruolò volontario per dare l’esempio alla «studentaglia» (al figlio Pietro), 30 gennaio 1945, in Lettere, 1963, p. 742); accusato di essere stato fascista, fu difeso da Croce (su Il Giornale, In difesa di un amico calunniato, 29 marzo 1945). Il 5 aprile 1945 fu nominato alla Consulta nazionale. Nella costruzione di una moderna società laica rifiutò soluzioni palingenetiche, per ripensare criticamente le tradizioni della libertà e della democrazia. Su questo punto si accentuò il dissenso con Croce. Affrontò la medesima questione, ma spostata a sinistra, nel Partito d’Azione, nella cui spaccatura al Congresso di Cosenza nell’agosto 1944 tra Emilio Lussu e Ugo La Malfa si schierò con il secondo, e a Roma nel febbraio 1946 fu tra i sottoscrittori del Manifesto per il Movimento per la Democrazia repubblicana, che appoggiò Ferruccio Parri contro Tristano Codignola.

Omodeo sviluppò un’originale riflessione sul partito di massa, che collegò al totalitarismo. «Il pericolo del totalitarismo non è soltanto a sinistra, ma anche a destra e su basi antiche e in dipendenza da prassi millenarie» (Totalitarismo cattolico, in L’Acropoli, 1945; poi in Libertà e storia, 1960, p. 338). Sul tema dei partiti intervenne alla Consulta il 13 febbraio 1946. Il partito di massa, sia fascista, sia bolscevico, sia cattolico aveva radice nel totalitarismo cattolico, nella Chiesa, che, essendo una «‘societas perfecta’», minacciava di frantumare l’unità della nazione (ibid., p. 334). Ma il rischio del totalitarismo era insito nella natura del partito, che esigeva obbedienza di tipo militare o religioso: «in una democrazia i partiti non debbono avere la rigidezza di ordini monacali, legati da una disciplina che alieni i singoli, per una specie di vincolo feudale, dal rapporto con lo stato, […] non debbono avere una specie di dottrina rivelata dinanzi a cui prosternarsi» (Problemi nazionali e compiti del P.d.A., ibid., pp. 199 s.). I partiti dovevano essere capaci di porsi tra l’opinione pubblica e la rappresentanza politica. L’esempio per Omodeo veniva dai vincitori, dalle società americana e inglese (ibid., p. 475).

Alla fine del febbraio 1946 si ammalò di mielite, forse in seguito alla malaria contratta nel 1917 sul Carso. Morì a Napoli il 28 aprile successivo.

Opere: La bibliografia completa è in M. Rascaglia, Bibliografia di A. O., Napoli 1993. Sulla storia del cristianesimo: Gesù e le origini del cristianesimo, Messina 1913, poi Storia delle origini cristiane. I. Gesù, ibid. 1923 (Bologna 2000); Prolegomeni alla storia dell’età apostolica. I. Gli Atti degli Apostoli, Messina 1914, poi Storia delle origini cristiane. II. Prolegomeni alla storia dell’età apostolica, ibid. 1921 (Bologna 2000); Storia delle origini cristiane. III. Paolo di Tarso, Messina 1922 (Bologna 2000); Gesù il Nazareno, Venezia 1927 (Soveria Mannelli 1992, con lettere inedite di R. Reitzenstein), poi in Saggi sul Cristianesimo antico (con le dispense universitarie Il Cristianesimo nel secondo secolo [1937]; Ignazio di Antiochia e l’episcopato monarchico. Il problema dello gnosticismo [1938]; L’eresiarca Marcione [1940]; Il movimento montanistico. Gli apologeti del secondo secolo [1941]), Napoli 1958; La mistica giovannea, Bari 1930; Alfredo Loisy storico delle religioni, ibid. 1936. Sulla storia moderna: Età moderna e contemporanea, Messina 1925, poi L’età del Risorgimento italiano, IX ed., Napoli 1965; Tradizioni morali e disciplina storica, Bari 1929; Momenti della vita di guerra. Dai diari e dalle lettere dei caduti. 1915-1918, ibid. 1934 (Torino 1968); Un reazionario, Il conte J. de Maistre, ibid. 1939; Per la difesa della cultura (Diuturna polemica), Napoli 1944; Per la riconquista della libertà, ibid. 1944; Diario di un anno (1944), a cura di C. Ceccuti, in Nuova antologia, CXXXIII (1998), pp. 279-290; Giovanni Calvino e la riforma in Ginevra, Napoli 1945; Difesa del Risorgimento, II ed.,Torino 1955; Libertà e storia. Scritti e discorsi politici, Torino 1960; Lettere. 1910-1946, ibid. 1963; Il senso della storia, III ed., ibid. 1970; Studi sull’età della Restaurazione (contiene Aspetti del cattolicesimo della Restaurazione, Torino 1946; La cultura francese nell’età della Restaurazione, Milano 1946), Torino 1970. Carteggi: Carteggio Gentile-O., Firenze 1974; Carteggio Croce-O., Napoli 1978; Scritti storici, politici e civili. Una diuturna polemica, Bologna 1998.

Fonti e Bibl.: L’archivio di Omodeo è stato depositato dalla famiglia presso l’Istituto italiano degli Studi storici di Napoli. Contiene la corrispondenza, manoscritti e documenti personali. La Guida bibliografica degli scritti su A. O.: 1914-1987, inG. De Marzi, A. O. Itinerario di uno storico, II ed., Urbino 1988. D. Cantimori, Studi di storia (1947), Torino 1959, pp. 51-75; E. Croce Craveri, A. O., personalità e linguaggio, in Spettatore italiano, IX (1956), pp. 112-115; F. Parente, O. storico del cristianesimo, in La parola del passato, XXI (1966), pp. 141-152; Id., O. e Loisy, in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Napoli, n.s., VI (1975-76), pp. 215-242; M. Gigante, A. O. educatore, in Annalidell’Istituto italiano per gli studi storici, XII (1989-1990), pp. 413-442, M. Reale, Storia, cultura e politica. Una rilettura deLa cultura francese nell’età della Restaurazionedi A. O., ibid., pp. 535-597; F. Tessitore, O. tra storicismo e storicismo, ibid., pp. 599-614; M. Mustè, A. O. Storiografia e pensiero politico, Bologna 1990; R. Pertici, Preistoria di A. O., in Annali della Scuola Normale superiore di Pisa, XXII (1992), pp. 513-615; M. Mastrogregori, Tradizione storica e crisi della civiltà: introduzione al Loisy di O. (1936), in Rivista di storia della storiografia moderna, XIII (1992), pp. 215-238; R. Pertici, Come A. O. divenne storico delle origini cristiane, in Belfagor, LII (1997), pp. 179-188; G. Imbruglia, Religione e storia nel pensiero di O., in Rivista storica italiana, CIX (1997), pp. 198-244; A. Alosco, Il Partito d’azione nel “Regno del Sud”, Napoli 2003, cap. II; G. Verucci, Idealisti all’indice. Croce, Gentile e la condanna del S. Ufficio, Bari 2006, pp. 120-123; M. Griffo, Il pensiero politico di O. alla ripresa della vita libera (1943-1946). Un breve profilo, in Pensiero politico, XLI (2008), pp. 359-372; F. Torchiani, Il ‘29 di A. O. Il Concordato, i Discorsi di Cavour, la rottura con Gentile, in L’Acropoli, X (2009) p. 555-573; Id., La difesa della cultura: gli anni Trenta di A. O. Dal carteggio con Ernesto Codignola, ibidem, XI (2010), pp. 234-257, 364-389.

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