RENIER ZANNINI, Adriana

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RENIER ZANNINI, Adriana

Adriana Chemello

RENIER ZANNINI, Adriana. – Nacque il 7 agosto 1801, da Antonio e Cecilia Cornaro. Il padre era nipote del penultimo doge Paolo Renier e fratello della celebre Giustina; la madre era discendente di Caterina, regina di Cipro.

Venne educata da suor Angelica Barbaro, monaca dell’ordine agostiniano, che, avendo dovuto abbandonare il convento per la soppressione delle corporazioni ecclesiastiche, aveva aperto alle Zattere una scuola privata per nobili fanciulle. Qui Adriana si legò con profonda amicizia alla contessa Antonietta Altan Pivetta e del forte legame sororale che le unì conservano testimonianza i versi che le dedicò nel 1871 all’improvvisa scomparsa dell’amica.

Sposò il medico Paolo Zannini, che le aveva restituito la salute dopo una lunga malattia, nonostante i malumori suscitati in alcuni per la sua scelta, incoraggiata tuttavia dalla zia Giustina, suo riferimento costante. Zannini, che fu tra i fondatori dell’Ateneo veneto, godeva di ottima fama per gli studi nelle scienze e nelle lettere, per la competenza nell’esercizio della medicina, per lo scrupolo di scienziato e di prosatore elegante, oltre che per il rigore morale della sua condotta. Accanto al marito Adriana ebbe agio di perfezionare la sua formazione letteraria e di coltivare il suo ingegno. A ciò contribuirono i conversari con gli uomini dotti che frequentavano casa Zannini, dove erano bandite le «vane ciancie» (Veludo, 1876, p. 220), per lasciar spazio a cólti ragionamenti e discussioni appassionate su questioni di carattere letterario o scientifico, alimentate da scambi assidui con scienziati stranieri e aggiornamenti sulle novità librarie italiane e straniere. Il salotto di casa Zannini «divenne il convegno di quanto di più caro a tutte indistintamente le Muse aveva Venezia, o passava di Venezia» (Fambri, 1876, p. 2), essendo frequentato dai più illustri uomini del momento: il filosofo Federico Maria Zinelli, il matematico Pietro Paleocapa, i cultori della filologia classica Pietro Canal e Francesco Filippi, il grecista Andrea Mustoxidi, i poeti, letterati e critici militanti Luigi Carrer e Andrea Maffei, accanto a Giuseppe Capparozzo e a Bennassù Montanari. In così insigne sodalizio non mancava la presenza di medici, scienziati e artisti.

Adriana sembrava vivere appartata, «quasi remota» (Veludo, cit., p. 220) dal mondo, in realtà si nutriva copiosamente delle istruttive conversazioni con i frequentatori della sua casa. Ebbe modo di stringere amicizia, nelle loro incursioni veneziane, con l’abate vicentino Giacomo Zanella, il conte padovano Giovanni Cittadella e con Erminia Fuà Fusinato.

Partecipò, inoltre, al rinomato salotto della zia Giustina, cui la legava ben oltre il vincolo di sangue una relazione magistrale, documentata da un cospicuo carteggio di 245 lettere (conservate presso il Museo Correr di Venezia); era amata come una figlia da Isabella Teotochi Albrizzi nel cui salotto erano passati Pindemonte, Foscolo e Byron e dove venne sempre accolta e omaggiata per l’acutezza del suo ingegno che traspariva dallo sguardo vivace e dalla briosa e intelligente conversazione.

Paolo Fambri, nel suo discorso funebre, riconobbe il forte valore civile dei salotti di donne nella Venezia di quegli anni, di cui Adriana Renier aveva saputo farsi intelligente continuatrice: «Date pure ad una città il doppio, il triplo di studij, d’ingegni, di volontà di quanto bisognino ad illustrarla, ma negatele tre o quattro centri di riunioni serie e geniali nel tempo stesso, ed essa vi rimarrà inferiore ad altra incomparabilmente meno fornita di mezzi ma ricca di tale inestimabile benefizio. […] È soltanto l’amicizia della donna il cui ingegno e il cui animo hanno altra piega ed altri indirizzi che può seguitare intensa, consolatrice, ispiratrice» (Fambri, cit., p. 2). Pur senza ostentazione, Adriana Renier era al centro di una rete di relazioni intellettuali in parte attestate, oltre che dai carteggi inediti, dalle dediche come quella di Bennassù Montanari nella Sciarada (1839): «Ad Adriana Renier Zannini / per eccellenti doti di cuore e d’ingegno / lodata da tutti e lodevole / e in decifrare l’enigma qui per entro cantato / più tosto che rara unica / L’Autore ossequioso».

Nei primi anni del matrimonio si dedicò principalmente allo studio degli autori classici e alle cure materne. Ebbe quattro figli, di cui solo due sopravvissero: Giuseppe che sposò la nobildonna Bucchia, dalla quale ebbe a sua volta due figli, Cecilia e Pietro; e Cecilia che, andata in sposa al medico Pietro De Prà, morì ad appena ventinove anni, nel 1852, con grande dolore della madre.

Adriana fu donna appartata e discreta, che non ambiva a una visibilità mondana. Non anelava alla scena del mondo, né a onorificenze pubbliche: fu sempre felice e appagata di poter coltivare gli studi, di esprimere nobili sentimenti e modi gentili, e di potersi spendere in iniziative filantropiche che la fecero amare e rispettare da tutti i suoi concittadini. Per la sua attività a favore dell’educazione delle fanciulle, ebbe per diversi anni l’incarico di ispettrice della Scuola superiore femminile di S. Stefano in Venezia. Amò molto la sua città natale, dove trascorse gran parte della vita, e partecipò intensamente alla sua vita culturale e civile. Oltre che dai lutti familiari – la perdita del marito nel 1843 e poi della figlia Cecilia –, la sua vita fu segnata dalle vicende politiche di Venezia e dell’Italia dopo il 1848.

Dal 1849 il sodalizio di alti ingegni che aveva frequentato la sua casa si disperse e con esso la consuetudine di trascorrere insieme con «istruzione e diletto» le ore serali. Alcuni scomparvero, mentre coloro che sopravvissero, ormai vecchi e stanchi, furono spettatori muti e disorientati di una civiltà che stava implodendo su se stessa, asservita a una dominazione straniera che ne avviliva la passata magnificenza. Così «de’ suoi eletti compagni si vide quasi disertata l’egregia Adriana; forzata da suprema legge a vivere delle passate memorie; unicamente consolata de’ suoi amatissimi nipotini Pietro e Cecilia» (Veludo, cit., p. 222), facendosi «maestra eccellente in nodrir prole di amabil indole, di care speranze e di avvenenza gentilmente compita» (ibid.). Mantenne stretti vincoli amicali e scambi intellettuali con Bennassù Montanari, che a lei dedicò un suo volume di Sciarade, e con Luigi Carrer, prendendosi cura di lui durante la lunga malattia, divenendone poi esecutrice testamentaria, pietosa custode delle sue carte e della sua memoria (testamento di Carrer del 5 dicembre 1850).

Si rinfrancò e riprese vigore nel 1866 con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, coronamento di un ideale a lungo sospirato e auspicato quale l’ «indipendenza nazionale». Nata da una famiglia di dogi, Adriana aveva sofferto per la «servitù della patria» (Veludo, cit., p. 222) e non aveva mai nascosto, sulle orme della zia Giustina, il suo sentimento antiaustriaco. Del sentire patriottico, che aveva respirato nella famiglia d’origine prima, e in quella del marito poi, sono testimonianza alcuni sonetti pubblicati anonimi in occasione dell’ingresso solenne di Vittorio Emanuele II, re d’Italia, in Venezia.

Ma ormai l’età avanzata, le mutate condizioni sociali, le forti emozioni civili compromisero seriamente la sua salute. Nonostante le infermità del corpo, mantenne tuttavia lucida la mente e la facoltà raziocinante, così anche quando fu costretta a letto non rinunciò alle visite dei pochi amici che venivano a tenerle compagnia e amava intrattenerli «spiegando colla solita sua rapidità sciarade e logogrifi di senso per quantunque si voglia riposto» (ibid.). Questo era il suo passatempo.

Nel discorso funebre pronunciato in suo onore, Fambri sottolineò che «leggiadra, ricca, nobilissima, ell’era sorrisa da tutti insieme i doni della fortuna» ma «fu assai scarsamente produttrice, fece benissimo e in verso e in prosa ma pochissimo. E in ciò pure fu sapiente» (Fambri, cit., p. 2). Aveva una predilezione per la poesia, ma scrisse anche ottime prose, che per una particolare forma di modestia nascose dietro l’anonimato o firmandosi con sigle e pseudonimi. Si dedicò con generosità a scrivere versi d’occasione per amiche e conoscenti, oppure per celebrare accadimenti singolari della vita civile e cittadina. È il caso del sonetto per l’apertura del ponte che congiungeva Venezia alla terraferma (in Strenna veneziana, 1866), del componimento per la visita solenne di Vittorio Emanuele II a Venezia, o anche sonetti dettati da pietà materna per la morte di figli di amiche a lei care. Alcuni di questi componimenti vennero pubblicati nei fascicoli della Strenna veneziana. Aveva una notevole predisposizione per i giochi linguistici, le sciarade, la parola arguta e per la forma dell’epigramma. La sua firma comparve nel volume miscellaneo di epigrammi e apologhi Api e vespe, pubblicato per i tipi di Ripamonti Carpano alla fine del 1846 (come strenna 1847), accanto ai nomi di Tommaso Locatelli, Luigi Carrer, Giuseppe Capparozzo, Bennassù Montanari, Pietro Canal, Giovanni Veludo. Il volume intendeva lasciare memoria dei «giovedì epigrammatici» di cui Adriana fu animatrice assieme agli amici e la calda accoglienza del pubblico suggerì al gruppo di approntare un secondo volume per l’anno seguente. Purtroppo le vicende politiche veneziane impedirono la realizzazione del progetto, ma i materiali pubblicati nella strenna per il 1847 e una parte di quelli recuperati per l’anno successivo confluirono più tardi nel volume Api e vespe. Epigrammi ed Apologhi di vari autori (1882).

Morì a Venezia il 16 febbraio 1876. La sua morte venne percepita dalla città come un «lutto non domestico ma cittadino» (Fambri, cit., p. 2). Le autorità cittadine e la cittadinanza seguirono il feretro con «quattro gentildonne [che] sostenevano le nappe del drappo funereo» (Gargnani, 1877, p. 3).

Opere. Fra gli inediti, carteggi vari si conservano in Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Provenienze diverse. V. inoltre: A. Renier Zannini, Ad Antonietta Althan Pivetta il dì trigesimo dalla sua morte, Venezia 1871; Api e vespe, Milano-Venezia 1846 [ma 1847]; Api e vespe. Epigrammi ed apologhi di vari autori, Venezia 1882; Alcuni versi di A. R. Zannini, ibid. 1884.

Fonti e Bibl.: Notizie cittadine, in La Gazzetta di Venezia, 20 febbraio 1876, p. 2; G. Veludo, A. R. Zannini, in Arch. veneto, XI (1876), pp. 220-224; J. Bernardi, Necr. di A. Zannini, in Il Baretti. Giorn. scolastico-letterario, VIII (1876), p. 103; P. Ferrato, Della vita e degli scritti di A. Zannini (nozze Colle-Panciera), Mantova 1876; V. Gargnani, A. R. Zannini, Venezia 1877; V. Malamani, Giustina Renier Michiel. I suoi amici il suo tempo, in Arch. veneto, XXXVIII-XXXIX (1889), pp. 35-95, 279-367; G. Sartorio, Il salotto di A. R. Zannini, in Id., Luigi Carrer, Roma 1900, pp. 129-134; M. Giachino, In ignorata stanza. Studi su Luigi Carrer, Treviso 2001, ad ind.; A. R. Zannini. Il Salotto, le poesie, a cura di A. Renier, Venezia 2009.

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