AFRICA

Enciclopedia del Cinema (2003)

Africa

Giuseppe Gariazzo

Cinematografia

La cinematografia africana si è inscritta, fin dai suoi esordi, in una condizione di paradosso che l'ha accompagnata nel tempo. Nata, salvo rare eccezioni, tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta, come uno degli effetti dello smantellamento delle occupazioni coloniali europee (francese, inglese, italiana, belga, portoghese, spagnola), per motivi sociali e politici si è incamminata nella storia del cinema con circa cinquant'anni di ritardo rispetto a quasi tutto il resto del mondo. In questo modo, e in maniera sorprendente, nella loro fase pionieristica molte delle cinematografie africane sono state contemporaneamente vicine alle esperienze del passaggio dal muto al sonoro e già impregnate ‒ nei casi migliori ‒ dei nuovi umori internazionali, soprattutto della lezione diffusa dal Neorealismo e delle forme scaturite dalle nouvelles vagues.

È questo l'elemento distintivo di una produzione composita e ricca, molto diversa da una regione all'altra, da un Paese all'altro di un continente immenso popolato da una moltitudine di storie nazionali, dal Maghreb all'Egitto, dall'A. occidentale a quella australe. Il cinema ha seguito l'andamento di queste storie: si è sviluppato meglio là dove le condizioni di stabilità politica lo permettevano; in alcuni casi è nato, si è interrotto e ha ripreso vita varie volte nella stessa nazione; difficilmente ha avuto una tenuta regolare, tranne nel caso del colosso egiziano e di quello sudafricano. L'Egitto è stato in realtà l'unico Paese ad aver sviluppato, fin dagli anni Trenta, un'industria permanente (ribattezzata 'Hollywood sul Nilo') e uno star system in grado di raggiungere tutti i Paesi del mondo arabo. La Repubblica Sudafricana, pur se attiva come l'Egitto fin dai primi decenni del 20° sec., è stata infatti lungamente condizionata, anche per quanto riguarda il cinema, dalla politica segregazionista dell'apartheid. Negli altri casi, si è invece di fronte a cinematografie medio-piccole che raramente hanno mantenuto una solida continuità, anche negli esempi storicamente più rilevanti (Senegal, Tunisia, Mali, Camerun ‒ dagli anni Cinquanta o Sessanta ‒ e Burkina Faso ‒ dagli anni Ottanta). Più facile è trovare autori che hanno saputo costruire nel tempo esemplari filmografie personali, dai senegalesi Ousmane Sembène e Djibril Diop-Mambety ai tunisini Mahmoud Ben Mahmoud e Nouri Bouzid , dal maliano Souleymane Cissé al camerunese Jean-Marie Téno, fino al burkinabé Idrissa Ouédraogo.

Per questioni politiche, o per mancanza di adeguato sostegno, sono quasi del tutto sparite alcune delle cinematografie di riferimento degli anni Sessanta e Settanta, come quelle di Algeria, Angola, Niger, Nigeria. Inoltre, se in alcuni casi i colonizzatori (in particolare i francesi e in parte gli inglesi, per es. in Ghana) avevano investito nel cinema come strumento di propaganda, lasciando quindi delle tracce e un minimo di strutture, altrove la colonizzazione (come quella italiana in Libia ed Eritrea) e poi le guerre interne hanno impedito la nascita e la crescita del cinema (la lista, lunga, comprende fra gli altri Botswana, Guinea Equatoriale, Liberia, Malawi, Sierra Leone, Uganda, Zambia ecc.).

La diffusione di altre forme di comunicazione audiovisiva ha reso possibile, negli anni Novanta, la limitazione di questo divario, permettendo sia a numerosi cineasti di proseguire il loro lavoro senza dover attendere i tempi delle sovvenzioni nazionali e internazionali (che spesso sono fonte di nuove e preoccupanti colonizzazioni culturali), sia a cinematografie finora pressoché assenti dalla scena continentale, dall'Eritrea alla Namibia, di iniziare a produrre immagini proprie, per documentare con sguardi autoctoni Storia e storie locali. Entrando nello specifico di queste cinematografie 'marginali', si noterà che esse provengono tutte dall'A. sub-sahariana, ovvero dal cuore del continente, dalle sue zone più povere, devastate prima dalle colonizzazioni e poi dai regimi nazionali, mentre l'idea di un'A. libera e autonoma, pensata da leader come Kwame Nkrumah, Patrice Lumumba e Thomas Sankara, è stata ripetutamente repressa nel sangue.

Africa settentrionale

Per le cinematografie dei Paesi di quest'area, tutti di lingua e cultura araba, v. le singole voci: Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto.

Africa occidentale

Repubblica Popolare del Benin. - Nell'A. occidentale (dove le cinematografie guida sono quelle di Senegal, Guinea, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Ghana, Niger, Nigeria) il Benin (colonia francese con il nome di Dahomey fino al 1960) ha avuto i suoi pionieri in Pascal Abikanlou e Richard de Medeiros. Nel 1974 (anno in cui è stato proclamato il regime marxista-leninista che l'anno successivo ha cambiato nome allo Stato) Abikanlou, attivo fin dal 1966 con una serie di documentari, ha girato Sous le signe du vaudou, primo lungometraggio nazionale, scontro fra le tradizioni dei villaggi e le insidie delle città. Tre anni più tardi, de Medeiros, la cui filmografia si era inaugurata nel 1970, ha esordito nel lungometraggio di finzione con Le nouveau venu, in cui viene presentato in maniera originale lo scontro tra un funzionario corrotto e un 'nuovo venuto' dell'amministrazione che vuole modificare lo stato delle cose. Il governo non ha però sostenuto adeguatamente il cinema, e la struttura preposta (Office national du cinéma du Dahomey, ONACIDA, divenuto nel 1974 Office béninois du cinéma, OBECI) ha fallito il suo mandato. Gli anni Ottanta hanno visto comparire sulla scena François Sourou Okioh, autore di Ironou (1985, noto con il titolo Méditations), sulla repressione politica e ideologica, mentre nel decennio successivo Sanvi Panou, con Pressions (1999), ha messo in scena il bizzarro rapporto fra un'anziana donna bianca e un giovane nero. Se Mora Kpai-Idrissou ha realizzato cortometraggi fra Benin e Germania, l'autodidatta Jean Odoutan ha dato nuovo respiro a questa cinematografia con lungometraggi segnati da una densa vena di follia: Barbecue-Pejo (1999), Djib (2000), Mama Aloko (2001).

Togo. - Anche la cinematografia prodotta in Togo (colonia francese fino al 1970) ha avuto un carattere episodico. Metonou Do'Kokou, detto Jacques Quenum, e Kodjo Gonçalves hanno esordito negli anni Settanta. Due fidanzati lasciano il villaggio nell'illusione di trovare fortuna in città nel cortometraggio a soggetto Kwami (1975) di Quenum, mentre il documentarista Gonçalves si è fatto apprezzare per Au rendez-vous du rêve Abeti (1979). Originale, e raro nel cinema africano, è stato il percorso di Clem Clem Lawson, che ha realizzato il film d'animazione Bienvenue en Métropotamie (1982), lettura satirica della metropolitana di Parigi. Una giovane donna è invece protagonista del lungometraggio di Kilizou Blaise Abalo Kawilasi (1992); anche la documentarista Anne Laure Folly ha dato ampia voce a personaggi femminili in opere come Femmes du Niger (1993), Femmes aux yeux ouverts (1993) e Les oubliées (1996), la sua prova migliore dedicata alle donne dell'Angola.

Guinea-Bissau. - L'ex colonia portoghese della Guinea-Bissau, indipendente dal 1974 dopo undici anni di guerriglia, ha prodotto una piccola ma attiva cinematografia, guidata da Sana Na N'Hada e Flora Gomes. Alla fine degli anni Settanta i due cineasti hanno codiretto i cortometraggi militanti Regreso de Cabral (1976) e Anos no oça luta (1978). In quello stesso periodo è nato l'Instituto Nacional do Cinema (1977). Il lungometraggio d'esordio di questa cinematografia si deve a Umban U'Kset: N'Turuddu (1986, La maschera) è un viaggio fantastico, tra finzione e documentario, di un ragazzino che vuole raggiungere la capitale per prendere parte al carnevale. Gomes è approdato al lungometraggio a soggetto con Mortu Nega (1987, Colui che la morte non ha voluto), in cui il tema della guerra è ancora in primo piano; ha poi raccontato la Guinea-Bissau degli anni immediatamente successivi alla dichiarazione d'indipendenza in Udju azul di Yonta (1992; Gli occhi azzurri di Yonta). Sono i due film migliori del regista, che in seguito si è lasciato sopraffare dal manierismo in Po di sangui (1996, L'albero delle anime), ermetico scivolare su stratificazioni di culture antiche, a partire dall'albero delle anime a cui fa riferimento il titolo. Na N'Hada, invece, ha firmato solo nel 1994 il suo primo lungometraggio, Xime, ambientato nel villaggio che dà il titolo al film durante la lotta per l'indipendenza.

Liberia, Sierra Leone e Gambia. - Quasi inesistente il cinema in Liberia, Sierra Leone e Gambia. In Liberia (indipendente fin dalla sua formazione, nel 1847) la guerra civile iniziata nel 1989 ha distrutto ogni struttura, fra cui quella della televisione: a tutt'oggi non esiste una cinematografia nazionale.Anche in Sierra Leone (colonia britannica fino al 1961), uno dei Paesi più poveri del continente africano, dilaniato dalla guerra civile fin dal colpo di Stato militare del 1992, lo stato di tensione e violenza ha impedito uno sviluppo, anche minimo, del cinema e dell'industria audiovisiva. Soltanto alcuni film di carattere documentario e qualche tentativo di finzione hanno costituito sporadici tentativi di uscire dal buio.Il Gambia (colonia britannica fino al 1965), molto legato al vicino Senegal (con il quale ha formato tra il 1982 e il 1989 la Confederazione della Senegambia), e scosso da rivolgimenti politici (colpo di Stato e instaurazione di un regime militare nel 1994), è tra gli Stati africani più poveri da un punto di vista cinematografico: è emerso soltanto Ebrima Sagnia, che negli anni Ottanta ha diretto documentari di carattere didattico.

Capo Verde. - Nelle isole del Capo Verde (colonia portoghese fino al 1975), nell'Oceano Atlantico, l'attività cinematografica è scarsa. Nei primi vent'anni post-coloniali un posto di rilievo è stato occupato, da una parte, dalla Televisão Nacional do Cabo Verde (TNCV), che ha fatto realizzare da registi locali film sulla cultura popolare, e, dall'altra, dal Cineclub Popular di Praia, la capitale, nato sulle ceneri dello storico Cineclub (movimento multiculturale di resistenza brutalmente represso nel 1960 dalla polizia politica portoghese), che ha promosso la conoscenza del cinema e ha documentato gli avvenimenti salienti della storia nazionale. La terza istituzione presente nel Paese è l'Instituto do Cinema do Cabo Verde, nato nel 1977 per distribuire film stranieri e incentivare il cinema nazionale. Bisogna però attendere il 1994 per il primo lungometraggio a soggetto, Ilheu de contenda di Leão Lopes, nel quale viene affrontato il tema dell'identità capoverdiana raccontando la storia di una famiglia e del rapporto conflittuale e tormentato con la propria terra.

Africa centrale

Gabon. - Nell'ampia A. centrale, oltre alle cinematografie più sviluppate (come quelle di Ciad, Camerun, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo, per le quali v. Congo), va segnalata in particolare quella del Gabon (colonia francese fino al 1960), la cui storia è iniziata negli anni Settanta. Il Centre national du cinéma (CENACI) e la Radiodiffusion télévision gabonnaise (RTG) sono gli organismi statali che le hanno garantito una certa stabilità. Simon Auge ha fatto compiere al personaggio di Où vas-tu Koumba? (1971, codiretto da Alain Ferrari) un viaggio alla scoperta del Paese; Philippe Mory in Les tams tams se sont tus (1972), ha affrontato il tema della perdita delle tradizioni; Pierre-Marie Dong ha girato Identité (1972), sulla crisi di un intellettuale, e Demain, un jour nouveau (1979), biografia del presidente O. Bongo, al potere dal 1967, e insieme a Charles Mensah ha firmato Obali (1977) e Ayouma (1978), riflessioni sulla condizione delle donne nella società tradizionale. Infine in Ilombé (1979), girato da Mensah e dal francese Christian Gavary, si racconta la storia di un giovane perseguitato dalla visione di una misteriosa figura femminile. Una serie di tre episodi, mediometraggi per la televisione, Orega (1999), basata sulle tradizioni musicali del Gabon, è stata l'opera di esordio di Marcel Sandja. Nuova spinta al cinema gabonese è stata data da Léon Imunga Ivanga con Dôlè (1999), una storia di amicizia e sogno ambientata nella capitale Libreville e raccontata con assoluta semplicità di sguardo.

Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale, São Tomé e Príncipe. - In questi Paesi la storia del cinema è per ora giovane, o giovanissima. Nella Repubblica Centrafricana (colonia francese fino al 1960), segnata dall'efferato regime dittatoriale del colonnello J.B. Bokassa (1966-1979), l'attività cinematografica è in gran parte legata alle opere del documentarista Joseph Akouissonne, autore di Josepha (1974), ritratto di una delle più celebri parrucchiere africane a Parigi, di Zo kwe zo (1981, noto come Un homme est un homme), viaggio attraverso i principali eventi storici del Paese, e di alcuni documentari sul cinema in Africa. A Léonie Yangba Zowe si devono, invece, Lengue (1985), N'Zale (1986) e Yangba-Belo (1987), documentari sulle danze tradizionali.

Nella Guinea Equatoriale (colonia spagnola fino al 1968), ininterrottamente sottoposta a regimi dittatoriali, il cinema non ha invece ancora fatto la sua comparsa. La brutalità dei successivi governi e una censura molto repressiva hanno infatti impedito anche l'affermarsi di una produzione audiovisiva.Le due piccole isole di São Tomé e Príncipe (colonie portoghesi fino al 1975), situate nel Golfo di Guinea, sono poco abitate e in forti difficoltà economiche, e vi sono stati realizzati solo pochi prodotti amatoriali.

Africa orientale

In A. orientale il cinema ha avuto uno sviluppo più limitato rispetto alle zone centro-occidentali. Le cinematografie più ricche sono state quelle di Sudan, Etiopia e Kenya, mentre hanno avuto storie meno corpose Eritrea, Gibuti, Somalia, Tanzania, Uganda, Ruanda e Burundi.

Somalia, Eritrea, Gibuti. - Come per altri Stati dell'A. orientale, spesso travolti da guerre e carestie, in Somalia (sotto amministrazione fiduciaria dell'Italia fino al 1960) il cinema non è cresciuto molto. I cineasti che hanno contribuito a mantenerlo in vita sono stati: Mohamed Hadj Giumale con la storia d'amore Miyi io magalo (1968, Città e villaggio); Idriss Hassan Dirié con Dan iyo xarago (1973, La realtà e il mito), ambientato durante il colpo di Stato del generale Siad Barre dell'ottobre 1969; Abdourahmane Artan con l'umoristico It is not a joke (1985); Abdulkadir Ahmed Said con i racconti fiabeschi Geedka nolosha (1989, L'albero della vita) e Aleel (1992, La conchiglia); Said Salah e Amar Sneh, che in The Somali darwish (1984) hanno narrato l'epopea del guerriero somalo Mohamed Abdullah Hassan e della resistenza alle truppe coloniali italiane. Negli anni Ottanta Mogadiscio è stata sede di un festival biennale di cinema, il Mogadishu Pan-African Film Symposium (MOGPAFIS), la cui prima edizione ha avuto luogo nel 1981: tale manifestazione sarebbe potuta diventare il principale punto di riferimento per i Paesi di area anglofona (così come in Burkina Faso il Festival panafricain du cinéma et de la télévision de Ouagadougou, FESPACO, v., lo è per l'A. occidentale francofona), ma non ha praticamente lasciato tracce.

È ancora agli esordi la cinematografia dell'Eritrea, Stato che ha raggiunto l'indipendenza nel 1993, dopo una lunga guerriglia (1961-1991) contro l'Etiopia. Temesghen Zehaie Abraha ha fondato nel 1993 gli Eritrean Video Services, che hanno prodotto i primi due lungometraggi eritrei, Barut (1997) e Minister (2000); entrambi trattano temi legati alla storia del Paese, dalle colonizzazioni straniere (Italia e Gran Bretagna) alla guerra con l'Etiopia. In particolare Minister è un viaggio epico-avventuroso, un melodramma politico, talvolta eccessivo, talvolta straniante, che fa ben sperare per il futuro del cinema dell'Eritrea.Gibuti (colonia francese fino al 1977) è ancora ai margini del cinema africano; agli anni Ottanta risalgono il mediometraggio documentario sugli eventi politici dal 1973 alla proclamazione dell'indipendenza, Frêle biche (1984, noto con il titolo Belle biche) di Moussa Farah, prodotto dalla Radiodiffusion télévision de Djibouti, e il lungometraggio satirico Moussa le grand (1984), girato in video da Ahmed Dini.

Tanzania, Uganda, Ruanda e Burundi. - Più a sud, Tanzania, Uganda, Ruanda e Burundi completano il quadro di un'area cinematograficamente minore. È la Tanzania (nata nel 1964 dall'unione di Tanganica, sotto amministrazione fiduciaria britannica fino al 1961, e Zanzibar, protettorato britannico fino al 1963) ad avere una storia più ricca. In questo Paese il cinema è sorto negli anni Settanta, e particolare importanza ha avuto l'attività documentaristica, con Living together (1977) di Cyril Kaunga e altri documentari di Joe Mponguhana. Gli anni Ottanta si sono dimostrati più ricchi: Nangayoma N'Goge e lo statunitense Ron Mulvihill hanno realizzato Arusi ya Mariamu (1983, Il matrimonio di Mariamu), sulle vicissitudini di una donna malata, sospesa tra ospedali e guaritori; Hamie Rajab ha raccontato le avventure di un perdigiorno in Watoto Wana Haki (1984). Martin R. Mhando è stato il regista che ha lavorato in maniera più continuativa; in particolare ha diretto il lungometraggio Yomba Yomba (1987), che ha come protagonista un bambino e costituisce il seguito di Fimbo ya Mnyonge, girato negli anni Settanta dal danese Tørk O. Haxthausen; inoltre nel 1998 ha firmato con Mulvihill Maangamizi ‒ The ancient one, meditazione sulla spiritualità dell'uomo.In Uganda (colonia britannica fino al 1962), altro Paese destabilizzato da guerre e dittature, il cinema non ha conosciuto un grande sviluppo. Il primo regista, Sao Gamba, è emigrato in Kenya, dove ha sempre lavorato. Altri cineasti, al contrario, hanno cercato a fatica di fare uscire l'Uganda dall'anonimato: Faustin J. Misanvu ha affrontato il dramma dell'AIDS con il mediometraggio It's not easy (1991), prodotto da John Riber; Paul Bakibinga e ancora Riber hanno trattato lo stesso argomento, ma con insopportabile moralismo, nella serie didattica televisiva Time to care the dilemma (1998); Robby Wodomal ha denunciato la legge che impone il matrimonio alle bambine in Girl child of Bwamba (1994); infine Lovinca Kavouma si è fatta notare con Kintu (1999), cortometraggio sulle procedure per ricavare stoffe dalla corteccia degli alberi, a metà tra documentario e finzione, che segna un possibile inizio della cinematografia ugandese. Anche Jacqueline Rose Nabagereka ha contribuito allo sviluppo del cinema di questo Paese con alcuni lavori documentari, tra cui The revolution of women (2001).

Burundi e Ruanda (sotto amministrazione fiduciaria del Belgio fino al 1962) hanno esordito in campo cinematografico negli anni Settanta, ma poi la guerra tra le etnie hutu e tutsi ha minato inesorabilmente la crescita di queste due giovani cinematografie. Nel 1979 in Burundi è stato creato il Service du cinéma, istituzione il cui ruolo è stato però pressoché inesistente. Nel 1980 Jean-Michel Hussi Nyamusimba ha realizzato Ni-Ni, cortometraggio di finzione, che racconta le vicende e le fantasie di una domestica africana a Parigi. Joseph Bitamba e Léonce Ngabo sono tuttora i cineasti di riferimento: Bitamba, presidente dell'associazione Bakame per la produzione di lavori di animazione, ha diretto nel 1986 Umuganuro e negli anni Novanta vari documentari, tra cui il cortometraggio Le métis (1996), dove il meticcio del titolo è un ragazzo per metà di etnia hutu e per metà tutsi; Ngabo, oltre ad aver girato alcuni cortometraggi per la televisione, ha invece firmato il lungometraggio a soggetto Gito, l'ingrat (1992), commedia nella quale si racconta di uno studente africano, rientrato in patria da Parigi, dove si è laureato, che viene assediato sia dalla fidanzata francese sia da quella burundese.

In Ruanda, l'Ufficio ruandese dell'informazione ha prodotto Amélioration de l'habitat rural au Rwanda (1975) di Gaspard Habiyambéré: si tratta di uno dei pochi esempi di una cinematografia quasi inesistente (a parte qualche documentario educativo e i cinegiornali), conseguenza della mancanza di una politica culturale adeguata e della tragica guerra etnica interna; a Habiyambéré si deve anche Manirafashwa (1986, noto con il titolo L'enfant rwandais), dove ancora una volta lo spunto di partenza è dato da un contesto rurale.

Africa meridionale

In A. meridionale (sotto la guida delle cinematografie in primo luogo della Repubblica Sudafricana, e poi di Zimbabwe, Angola, Mozambico e Madagascar) s'incontrano piccole cinematografie, continentali e isolane.

Namibia, Lesotho, Botswana e Swaziland. - Sono molto legate alla storia sudafricana Namibia, Lesotho, Botswana e Swaziland, tutte nazioni in cui in realtà il cinema deve ancora nascere. In Namibia (annessa nel 1946 alla Repubblica Sudafricana con il nome di A. del Sud-Ovest, e indipendente dal 1990, dopo quasi trent'anni di resistenza armata) la cinematografia è rappresentata soprattutto da Richard Pakleppa, autore di documentari storici (Tears of blood, 1993; I have seen ‒ Nda mona, 1999, sulla lotta armata contro il Sudafrica) e opere di finzione (Sophia's homecoming, 1997, episodio della serie televisiva Africa dreaming). Anche altri registi sono stati attivi, come Moses Mberira, che nel 1990 ha firmato Birth of a nation; Cecil Moller, realizzatore di numerosi video, tra cui The naming (1997), dove si racconta la difficile scelta del nome da dare al figlio da parte di una coppia di diversa cultura; e infine Bridget Pickering, autrice di Uno's world (2001), anch'esso ricco di elementi narrativi e visivi propri dei serial televisivi.

Il Lesotho (protettorato britannico con il nome di Basutoland fino al 1966) sta nascendo cinematograficamente grazie alle strutture audiovisive gestite dal Ministero dell'informazione e della televisione. Il sudafricano bianco Don Edkins è da anni impegnato a realizzare e produrre documentari: in Boitjaro (1997) e Land of our ancestors (1998) ha descritto la vita quotidiana delle comunità di montagna, mentre Landscape of memory (1999) è una serie in quattro episodi da lui prodotta, che unisce materiali d'archivio ed esperienze personali di alcuni reduci di guerre e lotte armate, il cui tema comune è il ristabilimento della verità in tutta l'A. australe e la riconciliazione dopo l'apartheid.

Il Botswana (protettorato britannico con il nome di Bechuanaland fino al 1966) non possiede fino a oggi una vera e propria cinematografia.Neppure il Swaziland (protettorato britannico fino al 1968) ha finora adeguatamente sviluppato il settore audiovisivo; tra le produzioni video, si ricorda Siswel′ intsiba (1996) di David Max Brown, sul tentativo di sviluppare un'economia fondata sulle risorse naturali.

Zambia e Malawi. - Anche nello Zambia (protettorato britannico con il nome di Rhodesia del Nord fino al 1966), Stato a partito unico per trent'anni e poi investito da una complessa crisi, l'instabilità politica e le imposizioni economiche dettate dal Fondo monetario internazionale hanno finora impedito qualsiasi attività cinematografica. Tra i pochissimi lavori realizzati, il lungometraggio The arrival of comrade Toivo from detention, firmato dalla Swapo Film Crew.

La storia del cinema deve ancora iniziare anche nel Malawi (protettorato britannico fino al 1964). In questo Paese le prime elezioni libere hanno portato nel 1994 alla caduta del regime di H.K. Banda, al potere fin dall'indipendenza. A differenza di altri Stati, però, il nuovo clima politico potrebbe favorire la nascita di strutture audiovisive locali.

Le isole: Mauritius, Réunion, Comore, Seychelles. - Dopo il Madagascar, tra le diverse isole dell'Oceano Indiano sono le Mauritius (colonia britannica fino al 1968) ad aver avuto la più ricca storia filmica, a partire dagli anni Settanta, grazie all'attività di Ramesh Tekoit, la cui filmografia ha spaziato dal telefilm (L'embarras du choix, 1972) al documentario (Île Maurice, une perle de l'Océan Indien, 1973), al lungometraggio a soggetto (Et le sourire revient, 1980, sulle vicende sentimentali di un ragazzo che ritorna in patria). Sempre negli anni Settanta hanno esordito i fratelli Brijmohun, con il lungometraggio di finzione Bikhre sapne (1975, noto con il titolo Rêve perdu). Altri registi che hanno lavorato a partire da quegli anni sono: Kenneth Noyau (La charrette, 1977; L'argile et la flamme, 1980, co-regia di Harikrishna Anenden), Goo Lam Hossen (Immigrés en France, 1982), Magalingum Valaydon (Objectif énergie, 1983), Radha Rajen Jaganathen (À Lucy, 1993, racconto originale e fiabesco dell'avventura di tre Masai, arrivati a Parigi per recuperare i resti della prima donna della Terra). Con il video si è cimentato Khal Torabully (Pic Pic, nomade d'une île, 1995; Les traboules des vagues, 1997). Selven Naïdu è autore di numerosi documentari per la televisione e del cortometraggio di finzione Le rêve de Rico (2000) in cui, tra sogno e realtà, un bambino attende di passare gli esami scolastici.Réunion (tuttora parte integrante della Repubblica Francese), altra isola con una storia di schiavitù e colonizzazione, presenta una cinematografia più recente. Jim Damour ha fondato con Serge Damour l'Industrie cinématographique réunionnaise e dal 1991 ha lavorato su programmi di storia e memoria: il suo Les bâtisseurs d'îles è del 1998. Hanno contribuito ai primi passi del cinema di Réunion anche Madeleine Beauséjour con la storia d'amore Koman i le la sours (1988), Frédéric Eyriey con Qui peut espérer tutoyer les nuages (1995), che ha come protagonisti un eremita e un medico, Monique e Sandro Agenor con il documentario sulla canna da zucchero La route cachalot (1990).

È ancora privo di storia, salvo alcune eccezioni, il cinema dell'arcipelago delle Comore (protettorato francese fino al 1975). Gli unici registi dei quali si hanno tracce sono Kabiré Fidaali e Ouména Mamadali: con Iel Solma (1986, co-regia di Raymond Tiendrebeogo) Fidaali ha esplorato il mondo dei guaritori e dei saggi che custodiscono la cultura tradizionale; più tardi, assieme a Mamadali, ha descritto in Baco (1995) i preparativi di un vecchio che dispone la sua successione.

L'arcipelago delle Seychelles (colonia britannica fino al 1976) ha fino a questo momento prodotto una serie di documentari in pellicola e in video che esplorano il patrimonio naturale delle isole e sono stati realizzati da Marie-Claire Elisabeth, Ralph Lablache De Charmoy, Jacqueline Moustache-Belle, Roland Ward; da segnalare anche il film Bolot Feray (1995) di Jean-Claude Matombe, tratto da una pièce teatrale comica sulle consuetudini della società tradizionale. b

Bibliografia

Il cinema dell'Africa nera 1963-1987, a cura di S. Toffetti, Milano 1987.

La nascita del cinema in Africa. Il cinema dell'Africa sub-sahariana dalle origini al 1975, a cura di A. Speciale, Torino 1998.

L'association des trois mondes, FESPACO, Les cinémas d'Afrique ‒ Dictionnaire, Paris 2000.

A. Elena, Cinema dell'Africa subsahariana, e S. Toffetti, Hic sunt leones. Il cinema dell'Africa nera, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 4° vol., Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali, Torino 2001, pp. 385-414 e 457-88.

G. Gariazzo, Breve storia del cinema africano, Torino 2001.

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