AFTA EPIZOOTICA

Enciclopedia Italiana (1929)

AFTA EPIZOOTICA

Agostino PALMERINI
Guido FINZI

. L'afta epizootica, detta anche febbre aftosa, è una malattia infettiva, molto contagiosa, a decorso acuto, clinicamente caratterizzata, nella sua forma più comune, da febbre e da eruzioni vescicolose a carico della mucosa boccale e della cute dello spazio interungueale e dei capezzoli. Essa è sostenuta da un virus filtrante, invisibile ed ancor oggi incoltivabile sui comuni terreni artificiali di coltura.

L'afta epizootica colpisce i ruminanti domestici, nonché la specie porcina; buoi, zebù, bufali, capre, pecore, cammelli, bisonti, cervi, suini e cinghiali. Solo eccezionalmente la malattia può trasmettersi al cavallo, mentre può invece colpire l'uomo. Però, nella specie umana, i bambini sono i soggetti maggiormente recettivi, tanto che, nel decorso delle epizoozie gravi e prolungate, i medici hanno spesso occasione di constatare una forma di stomatite aftosa, con turbe dell'apparato gastro-enterico, nei bimbi che hanno ingerito latte non bollito, proveniente da animale aftoso. L'inoculazione sperimentale ad un bovino sano del liquido raccolto dalle vescicole della cavità boccale di un fanciullo colpito da stomatite aftosa, riproduce nel bovino stesso l'afta epizootica. Sono invece rarissimi i casi di afta nell'uomo adulto.

La febbre aftosa compare, ordinariamente, con tutte le caratteristiche dell'epizoozia più o meno diffusa. Può estendersi a tutto un comune, a tutta una zona, a tutta una provincia, a tutta una regione. Solo eccezionalmente essa può presentarsi sotto forma di enzoozia di stalla, limitata ad una sola località, o a poche località strettamente vicine. Le epizoozie di afta poi possono presentarsi sotto tre differenti aspetti, a seconda della gravità delle singole manifestazioni, e cioè: in forma grave, in forma media, in forma lieve o benigna. La forma grave si osserva ordinariamente all'inizio delle grandi epizoozie con estremo contagio, o nei periodi di recrudescenza delle epizoozie che sembravano in via di risoluzione.

In queste forme gravi il 90 o il 95% degli animali è colpito dalla malattia in forma più o meno manifesta, mentre il 25-30% dei soggetti colpiti può venire a morte.

Nella forma media, per quanto la diffusione sia ancora manifesta, i casi di morte sono rari: dal 3 al 5%.

Nella forma lieve o benigna, generalmente poco diffusa, le manifestazioni cliniche sono, alle volte, così lievi, fugaci e poco evidenti da passare quasi inosservate.

Nelle ordinarie ricorrenze di afta la forma clinica, preceduta da un periodo di incubazione, è caratterizzata dalla fase di eruzione e da un periodo di cicatrizzazione o riparazione.

Nei casi di contagio naturale il periodo di incubazione varia generalmente da due a sei giorni; durante questo periodo gli animali non hanno alcun disturbo apparente.

Poi, improvvisamente e senza nessuna causa apprezzabile, i soggetti colpiti presentano un brusco sbalzo di temperatura, che è il segno precursore caratteristico della eruzione vescicolare a carico della mucosa boccale, della cute dello spazio interdigitale e dei capezzoli nelle vacche.

Ad eruzione avvenuta, la temperatura ritorna senz'altro normale. Le afte, che più o meno numerose si sviluppano a carico della mucosa boccale, rendono difficile e penosa la prensione e la masticazione degli alimenti e qualche volta anche l'assorbimento dei liquidi.

La comparsa delle vescicole a carico dello spazio interdigitale ed attorno agli unghioni costringe gli animali a zoppicare e a reggersi a mala pena, per il dolore che risentono in seguito ai fenomeni di congestione.

Malgrado l'eruzione ai capezzoli, nelle forme di afta lieve il latte non si altera nella sua composizione. Nelle forme gravi, invece, indipendentemente da ogni altra infezione secondaria, il latte presenta, per qualche giorno, notevoli modificazioni qualitative, mentre la secrezione mammaria riesce notevolmente ridotta.

Si tenga ben presente che, allorquando l'afta epizootica si esprime con una forma clinica tipica, completa, le eruzioni vescicolose possono riscontrarsi contemporaneamente alla bocca, ai piedi e alla mammella; ma sovente però la forma clinica è incompleta, nel senso che si osservano, accanto a lesioni boccali tipiche, lesioni mammarie e podali pressoché nulle, oppure, accanto a lesioni podali bene evidenti, localizzazioni boccali appena percepibili. Le forme di afta epizootica clinicamente gravi sono indicate anche coi nomi di afta iperacuta, acuta, grave, setticemica, apoplettica. Specialmente in questi casi, i giovani soggetti (vitelli, agnelli, magroni) presentano molto spesso la forma setticemica che, nella grande maggioranza dei casi, li uccide in brevissimo tempo e quasi improvvisamente. Nell'ultima grave infezione aftosa (maggio-giugno 1928), che tanto ha provato il capitale bestiame di alcune provincie dell'Italia settentrionale, si son visti generalmente risparmiati i vitelli e gravemente colpite le manze e manzette. Nei soggetti adulti, invece, i casi di morte, che tanto frequentemente si osservano nelle gravi epizoozie, si verificano improvvisamente, sia prima di ogni manifestazione clinica esteriore, sia quando la forma morbosa sembra già superata e le lesioni in via di riparazione. Al reperto necroscopico si osservano sovente lesioni di carattere ulcerativo a carico del faringe e dei primi compartimenti gastrici, nonché lesioni congestive ed emorragiche a carico del quarto stomaco e dell'intestino. Pure molto spesso si osservano lesioni degenerative del miocardio, lesioni che sono dovute al virus dell'afta e alle sue tossine.

La diagnosi della febbre aftosa è generalmente molto facile. Quando la forma clinica fosse poco chiara, il dato epidemiologico e l'estrema contagiosità della malattia indirizzano prontamente alla diagnosi.

L'afta, nei casi a decorso iperacuto e ad esito mortale, può farci sospettare il carbonchio ematico e la setticemia emorragica. Il reperto necroscopico però ne informa prontamente. Nei bovini l'afta boccale vuole essere differenziata da eventuali lesioni traumatiche e dalla stomatite vescicolosa; nei vitelli ed agnelli, dalla stomatite aftosa; nei suini, dalla stomatite ulcerativa. L'afta podale nei bovini vuol essere differenziata dal patereccio interungueale e dalla podoparenchidermite necrotizzante, e, nelle pecore, dalla zoppia putrida e dal cosiddetto verme del piede.

Il problema della lotta contro l'afta epizootica è uno dei più discussi e dei più studiati in tutti i paesi. Ancora recentemente l'Italia promuoveva indagini ed esperienze per la cura e la prevenzione della febbre aftosa. Ma contro questa malattia, a contagiosità tanto manifesta, non esiste che un mezzo: l'applicazione rigorosa e razionalmente compresa delle misure di polizia sanitaria.

Contrariamente a quanto avviene per talune infezioni dell'uomo e degli animali, l'evoluzione dell'afta epizootica, anche a decorso grave, non lascia, nei soggetti guariti, che una immunità attiva molto relativa e variabile.

Se si vuol restare nella realtà, è d'uopo riconoscere nell'afta epizootica una malattia per la quale le speranze di una possibile vaccinazione sembrano purtroppo molto e molto lontane, almeno per quanto può riferirsi ai risultati pratici. Anche contro l'afta epizootica si è preparato un siero antiaftoso (sieroiperimmune), il quale però non ha finora dimostrato di possedere un sicuro potere curativo, per quanto sia capace di conferire, ad alte dosi, uno stato di immunità passiva che dura 12-15 giorni. Si vuole anche ammettere che l'azione curativa del siero arrivi ad evitare le complicazioni dell'afta epizootica. Secondo alcuni, il siero proveniente da bovini di recente guariti da afta epizootica sarebbe capace, se adoperato ad altissime dosi, di diminuire i casi di mortalità nei focolai di afta a gravità manifesta.

Quando la malattia viene trasmessa all'uomo per contagio diretto dagli animali, o per contagio indiretto dal latte, essa presenta il decorso seguente. Dopo un periodo di incubazione, da quattro a otto giorni, con brevi segni prodromici (debolezza generale, dolori nelle membra, modica elevazione febbrile), si manifesta una stomatite estesa; la mucosa delle labbra, della lingua, delle guance è tumefatta, arrossata, dolente; si formano su di essa vesciche che si aprono dando luogo a ulcerazioni superficiali, spesso molto dolenti; le ghiandole linfatiche delle rispettive zone si tumefanno; talvolta le ulcerazioni si formano nello stesso modo su altre parti del corpo, specialmente sulle dita dei mungitori di vacche.

Oltre a queste lesioni, specialmente nelle donne e nei fanciulli, può comparire un'eruzione lieve, fugace, a tipo morbilloide all'avambraccio alla gamba e talvolta anche alle spalle e al tronco; in molti casi si hanno sindromi emorragiche come nello scorbuto. La prognosi in generale è buona, più grave per i bambini; la cura è sintomatica: la profilassi consiste nel far bollire il latte, nell'isolare i malati, perché il contagio si trasmette da uomo a uomo, nel proteggere ogni piccola lesione della cute di coloro che hanno a che fare con uomini o animali malati.

Bibl.: Loeffler e Frosch, in Centrabl. f. Bakt., XXII (1897); Schütz, in Arch. für Tierheilkunde, XX (1894); Nocard, in Revue gén. de médec. veterin., I (1903); G. Finzi, in Il moderno zooiatro, 1922.

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