AGGETTIVO

Enciclopedia Italiana (1929)

AGGETTIVO (fr. adjectif; sp. adjetivo; ted. Adtektiv; ingl. adjective; il latino adiectivum, da cui deriva, traduce il greco ἐπίϑετον [ὄνομα], cioè "nome apposto, aggiunto")

Giacomo Devoto

Parte del discorso che definisce una qualia. Formalmente l'aggettivo ha comune col nome (v.) il tipo di flessione, se ne distingue per la "mozione", cioè per la capacità di assumere indifferentemente suffissi e desinenze maschili, femminili ed eventualmente neutre, e per la "comparazione", cioè per la possibilità di graduare in modo assoluto e relativo la qualità affermata: un profumo acuto, più acuto, acutissimo, il profumo più acuto. È usato sintatticamente sia come semplice attributo sia come predicato: uno sforzo vano, questo sforzo è vano, questi ostacoli rendono vano qualsiasi sforzo.

L'identità dell'aggettivo e del nome è ovvia per tutti i grammatici antichi, ed è implicita nell'etimologia della parola. Questo perché veniva considerata a parte un'intera categoria di aggettivi, i cosiddetti participî, che conservano caratteri proprî del verbo come la differenza di "voce" attiva e passiva (una discussione ben condotta, la classe dirigente) o la differenza di "tempo" (l'età presente, le età passate). Questa separazione è artificiosa: nelle due espressioni è identica la natura aggettivale. L'aggettivo in sé stesso è equidistante dal nome e dal verbo. Geneticamente appartiene a uno strato più antico del nome e del verbo perché più ricco di elementi sentimentali e non richiede costruzioni logiche: è un elemento importante del linguaggio individuale e non di quello collettivo soltanto. Storicamente i rapporti fra l'aggettivo e il nome sono invece più stretti. L'aggettivo sostituisce una determinazione sintattica puramente nominale: casa reale succede a casa del re, pur avendo oggi un contenuto affettivo diverso. Una determinazione sintattica composta di nome e attributo si trasforma in un composto esclusivamente aggettivale: magnanimus è aggettivo che discende da una determinazione sintattica di questo genere: (uomo) di grande animo, senza bisogno di suffisso. In italiano questo procedimento non è più vitale e si conserva il latinismo magnanimo, ma si traduce dalle rosee dita, dalle chiome d'oro. Finalmente un aggettivo si irrigidisce e non si distingue da un nome astratto o collettivo: l'utile e il dilettevole, ciò che possiedo di mio; e può arrivare ad avere un suo attributo: il nudo artistico. Viceversa un nome adoperato come determinazione di un altro nome può diventare aggettivo: non si distingue uomo brontolone (nome + nome) da donna bisbetica (nome + aggettivo). Massima è la confusione nei numerali, in cui si dice indifferentemente dieci uova, dieci per dieci, per quanto di fronte all'aggettivo dieci esista l'astratto decina; o nel caso dei pronomi, in cuì questa ha i due valori indifferentemente.

Formalmente l'aggettivo si trova nelle lingue indoeuropee, e in particolare in quelle moderne, in condizioni non omogenee. In una sola area linguistica si trova un arricchimento della sua flessione, e precisamente in quella slava-baltica-germanica. Al tipo unico, parallelo a quello del nome, si sostituisce una distinzione di declinazione determinata e indeterminata: nelle due espressioni il buon uomo, un buon uomo, l'aggettivo non mostra nessuna differenza formale; il tedesco der gute Mann, ein guter Mann la mostra invece chiaramente. Questa distinzione si fonda nelle lingue baltiche e slave sulla aggiunta di un tema di pronome dimostrativo -yo- (forme determinate), nelle lingue germaniche sulla sostituzione delle desinenze della declinazione pronominale a quelle nominali (forme forti o indeterminate). Le semplificazioni sono invece molto numerose: nei numerali si declinavano originariamente i numeri 1-4, in latino solo 1-3, nelle lingue moderne solo l'unità. Per la comparazione esistevano suffissi appositi, in greco -τερο-, -τατο-, in lat. -ior, -issimus; in italiano è rimasto solo il superlativo "assoluto", in francese nulla, in tedesco il comparativo e il superlativo "relativo": das schönste Bild, ma ein sehr schönes Bild. L'aggettivo usato come predicato era legato col soggetto da una concordanza non meno stretta dell'attributo: l'italiano e il francese non si sono allontanati da questa norma: la bonne femme, cette femme est bonne. In tedesco si è invece irrigidito e ridotto quasi ad avverbio: die gute Frau, die Frau ist gut. In inglese l'irrigidimento si è esteso anche all'attributo, che non conosce nemmeno la differenza di numero. La posizione dell'attributo rispetto al nome dipendeva un tempo da una differenza di significato che in italiano è ancora conservata: il buon uomo esprime una qualità immanente di quell'uomo, l'uomo buono si contrappone a uomini determinati da aggettivi diversi ed opposti. In tedesco e in inglese anche in questo è intervenuto un processo d'irrigidimento e la posizione precedente al nome è la sola possibile. L'associazione di nome e aggettivo perde perciò progressivamente il carattere sintattico pei avvicinarsi al tipo della composizione nominale. Al di fuori delle lingue indoeuropee sono da citare due casi estremi: da una parte le lingue ugro-finniche, che non hanno nessun mezzo di distinzione formale del nome e dell'aggettivo: in quelle lingue (come il finnico, il lappone, l'ungherese) in cui si è costituito un suffisso di comparativo questo può essere applicato anche al nome; dall'altra parte il giapponese, in cui da uno stesso elemento si può derivare per mezzo di un suffisso un nome, un aggettivo e una formazione temporale del verbo.

Bibl.: H. Paul, Prinzipien der Sprachgeschichte, 5ª ed., Halle 1920, cap. XX; K. Brugmann, Grundriss der vergl. Gramm. der indog. Sprachen, II, ii, p. 652 segg.; id., Abregé de Grammaire comparée, Parigi 1905, pp. 337, 379, 724; F. Mauthner, Beiträge zur Kritik der Sprache, III, p. 94; J. Vendryes, Le langage, Parigi 1921, p. 138, 153 segg.; O. Jespersen, The Philosophy of Grammar, Londra 1924, pp. 72-81.

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