DE FERRARI, Agostino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE FERRARI, Agostino

Maristella Cavanna Ciappina

Nacque a Genova nella seconda metà del XV secolo e fu uno dei protagonisti della vita della Repubblica tra il 1500 e il 1528.

I De Ferrari appartenevano ai "popolari", termine con cui si designava una delle due fazioni di governo, non inferiore per censo e autorità politica a quella dei "nobili", nei confronti dei quali anzi aspirava ad istituzionalizzare la propria supremazia attraverso una nuova proporzione nella divisione delle cariche. All'inizio del '500 infatti "mercanti" e "artefici" (i due gruppi di cui constano i "popolari") lottano per il diritto ai due terzi (cioè ad un terzo ciascuno, con l'ultimo terzo riservato ai "nobili"), contro il criterio vigente di metà ai nobili e metà ai "popolari" considerati indistintamente. Alla rivendicazione giuridico-politica fa spesso riscontro in città lo scontro fisico: e se le grandi famiglie, prima fra tutte i Fieschi, dispongono di forze arruolate nei loro feudi personali, i popolari sobillano e coinvolgono i ceti sociali inferiori, dalla cui rivolta saranno anch'essi a un certo punto travolti. Inoltre le mobili alleanze delle singole fazioni con le potenze straniere in lotta tra loro (specie Francia e Spagna) rendono particolarmente movimentato il periodo, che si concluderà nel 1528 con la riforma costituzionale di Andrea Doria che "unisce" nobili e popolari nei cosiddetti "alberghi".

In questo contesto, il D. svolse una intensa attività politica e diplomatica. Appartenente al ramo Buzalino della famiglia De Ferrari, nacque da Rolando fu Antoniotto e da Mariettina da Domoculta ed ebbe cinque fratelli: Pantaleone, Giovanni, Caterina, Giovan Battista e Giacomo. Il padre esercitò a Genova la professione di notaio e nel 1482 fu uno dei Dodici anziani sotto Tomaso Fregoso. Anche il D. e il fratello Giovan Battista furono notai, e insieme al primogenito Pantaleone figurano tra gli "artefici" nel Gran Consiglio del 1500. Ma il primo importante incarico diplomatico del D. risale al 1494: in occasione della discesa di Carlo VIII, fece parte della ambasciata inviata a Ludovico il Moro a Milano, per decidere entità e forme di collaborazione col re di Francia. Del resto è dal 1500, in concomitanza col ritorno del governatorato francese su Genova, che il prestigio economico e politico del D. appare in continua ascesa: nello stesso anno viene eletto tra gli Anziani, tra i Protettori dell'ospedaletto e compera un galeone da Benedetto e Lorenzo Federici; nel 1502 è tra gli ufficiali di Moneta, nel 1503 di nuovo tra gli Anziani, e il 16 novembre è scelto dal Gran Consiglio tra i primari della città come uno dei dodici ambasciatori al nuovo papa Giulio II.

Nel 1505 il D. entrava nell'ufficio di S. Giorgio. Quando, nel giugno-luglio 1506, scoppiarono i primi disordini che preludettero alla rivolta delle "cappette" (cioè dei popolo minuto), il D., come "artefice" e come filofrancese insieme, assunse subito una funzione di mediazione.

Convocato dal luogotenente francese Roccabertino, entrò nel Consiglio dei sessanta, scelti da ogni ceto tra i più influenti cittadini per comporre il dissidio. Ma, contro le aspettative, non venne approvata la legge dei due terzi e la situazione precipitò. Il popolo minuto, guidato da M. Canale e P. B. Giustiniani, assalì le case dei Fieschi e di altre famiglie patrizie, costringendole a lasciare la città. Il 19 luglio, tra il tumulto generale, V. Sauli persuase il luogotenente a consentire il criterio dei due terzi nella elezione dei nuovi Anziani: il D. venne eletto nel terzo riservato agli "artefici".

L'attività dei Dodici anziani fu intensa ed equilibrata: elessero subito dodici pacificatori e provvidero ad informare immediatamente con ambasciatori il re Luigi, il governatore Filippo di Cleves (in quel momento fuori Genova), il luogotenente generale di Francia a Milano, conte d'Amboise, il legato apostolico in Francia, cercando di rassicurare tutti con opportune dichiarazioni di fedeltà per evitare interventi armati. Dal governatore, rientrato a Genova a fine agosto, il D. e gli altri anziani, appoggiati da sommosse opportunamente manovrate, ottennero la temporanea riconferma dell'incarico e, già organizzato un attacco di artiglieria, l'allontanamento di Gian Luigi Fieschi dalla città. Il 5 settembre una adunata popolare elegge i nuovi anziani, i quali a loro volta nominano quattro commissari che, col consenso del governatore, devono sottrarre ai Fieschi la Riviera di Levante.

Il D. e Antonio di Albaro punteranno su La Spezia, M. Canale e G. B. Luxardo su Chiavari. Salpati l'8 settembre su un brigantino, il D. e il collega approdano a San Vito, dove si fanno raggiungere dai sindaci di La Spezia, poiché la città e il castello sono in mano ai Fieschi con centoquaranta uomini.

Di fronte alle comprensibili esitazioni dei sindaci, si affida a Giovanni Biassa, marchese di Goano, che si offre volontario, il compito di prendere la città: l'impresa riesce rapidamente grazie alla ritirata dei Fieschi, e già il 9 settembre la città passa ai commissari. Il D. e il collega provvedono subito a farsi inviare da Sarzana trenta balestrieri e cinquanta fanti per la guardia delle fortezze; ma, dopo alcuni giorni, un ritorno in forze dei Fieschi li costringe a ritirarsi a Portovenere. Trasferitisi a Sarzana, armano 1.500 fanti, mentre da Genova si organizzano rapidi rinforzi: due galee, una nave carica di artiglieria e alcuni brigantini giungono a La Spezia il 25 settembre, mentre i Fieschi abbandonano di nuovo la città. Il D. e gli altri commissari, congiunte le forze, si dirigono su Chiavari e Sestri Levante, che sono anch'esse rapidamente sottomesse entro la fine di settembre.

A quel punto, la pretesa del re di Francia, che chiede la "restituzione" della Riviera di Levante, fa precipitare la situazione a Genova. Qui, nelle concitate adunanze dell'ottobre, due sono i problemi più dibattuti: la riforma elettorale e la risposta al re.

Sul primo punto, è il fratello del D., Giovan Battista, a riportare provvisoriamente la calma con la proposta di eleggere subito diciotto riformatori e l'indicazione di una procedura mista di elezione ed estrazione, che sarà varata dal Collegio dei diciotto, prontamente eletto (17 ottobre), di cui Giovan Battista fa parte. Ma, subito dopo, la condiscendenza degli Anziani alie pretese di Luigi XII sulla Riviera di Levante appena liberata provoca la rivolta del popolo minuto.

Il 23 ottobre sono creati otto tribuni della plebe, alla cui ratifica vengono sottomesse le deliberazioni di tutte le magistrature, e il governatore francese è costretto ad abbandonare Genova. Mentre il governo popolare si dissangua nella sfortunata impresa di Monaco, nuove tensioni tra i gruppi al potere provocano il proliferare di commissioni straordinarie: così il D., il 21 dic. 1506, viene eletto tra i quattro deputati della fazione dei Fregoso per la regolamentazione nelle scelte dei cancellieri delle varie magistrature, che i popolari ritenevano tutti appartenenti alla fazione degli Adorno. Poi, il 17 febbr. 1507, in una grande adunata popolare in duomo, il D. viene eletto tra i dodici deputati al mantenimento della pace tra le fazioni. Infine l'8 marzo, con B. Giustiniani, G. B. Leonardi e S. Capriata, viene preposto a un nuovo ufficio, dotato di autonomia amministrativa e incaricato, nella agitata situazione del momento, di regolare i rapporti con le Riviere e le podestarie.

Nei giorni successivi, il D. e i colleghi dimostrano straordinaria efficienza: inviano nuovi commissari e rinforzi militari nelle singole podestarie, emanano nuove norme e gride per approvvigionamenti straordinari al capoluogo, mentre il governo popolare si prepara alla guerra aperta coi re di Francia e i nobili fuorusciti. La dichiarazione di guerra (28 marzo) apre violenti contrasti in seno al gruppo dirigente tra i "popolari" ricchi e potentì, tra cui il D., che premono per una pronta sottomissione al re, e gli esponenti del popolo minuto. Questi ultimi diventano padroni della situazione e, il 10 aprile, eleggono doge il loro tribuno Paolo da Novi.

L'atteggiamento antirivoluzionario e filofrancese assunto dal D. in questa circostanza ne verifica la reale collocazione politica e gli garantisce, dopo la rapida capitolazione della Genova popolare, la prosecuzione di una brillante carriera. Infatti, dopo il vittorioso ingresso di Luigi XII in città, mentre cominciano epurazioni ed esecuzioni (tra i quattordici ostaggi che il re condurrà con sé a Milano è il fratello del D., Giovan Battista; tra i ribelli proscritti il collega commissario alla Spezia, Antonio di Albaro), il 4 maggio il D. viene eletto tra i Dodici anziani che, su consiglio dì Giovanni Doria, devono garantire la fedeltà al re e il ritorno ai precedenti ordinamenti. Il D. è uno dei pochissimi "popolari" nelle nuove liste delle magistrature, tornate appannaggio delle grandi famiglie nobili. Nel 1508 è eletto nell'ufficio di Balia ed è proposto podestà di Scio. Ma rimane a Genova e, il 29 settembre, con A. Lomellini, A. Centurione e V. Sauli, fa parte del comitato che il governatore francese uscente, Rodolfò, di Lanoy, invia incontro al successore, Francesco di Rochechouard, per l'accompagnamento durante l'ingresso in città e la cerimonia di assunzione della carica. Nel 1509 il D. è tra gli elettori degli Anziani; nel 1510 tra gli ufficiali di Saona e di Scio. Il 6 luglio di quest'ultimo anno, trovandosi Genova direttamente minacciata da Giulio II impegnato nella guerra antifrancese, il governatore e gli Anziani adunarono un Gran Consiglio straordinario con la partecipazione delle principali magistrature e dell'ufficio di S. Giorgio: venne conferita la "grande balia", per il reperimento dei finanziamenti ed ogni altro provvedimento di guerra, a dodici deputati, che erano già stati eletti super extinctiónem debitorum Communis tra cui il De Ferrari.

Sino al 1515, mentre Genova coinvolta nelle alterne fortune della politica italiana di Luigi XII cambia convulsamente alleanze e signoria, il D. prosegue la carriera politico-diplomatica senza apparenti fratture: nel 1511 è degli Anziani e come tale giura la fedeltà della Repubblica a Luigi XII; il 26 giugno 1512, dopo il ritiro dei Francesi, il ritorno a Genova dei Fregoso e il passaggio alla lega santa, il D. entra nel nuovo ufficio di Balia. Il 2 dicembre il D. è inviato dallo stesso ufficio di Balia in ambasceria a Milano, con A. Cattaneo, A. Grimaldi e V. Sauli, per porgere le congratulazioni di Genova al nuovo duca, Massimilano Sforza. L'anno successivo la nuova spedizione di Luigi XII provoca in Genova la riscossa del partito filofrancese, la fuga dei Fregoso e, a fine maggio, la presa del potere da parte di Antoniotto Adorno. Poiché la flotta, in mano ai Fregoso, si era ritirata a La Spezia, il 10 giugno 1513 il D., M. Negrone, A. Grimaldi e V. Sauli furono inviati ai Fregoso per convincerli a consegnarla e tornare in città, dietro la concessione di un indulto generale.

L'impresa era rischiosa (un precedente tentativo, affidato a Giovanni di Camogli, si era concluso col ferimento e la cattura dell'inviato della Repubblica), e il D. e i colleghi furono assicurati contro ogni possibile infortunio. In effettì, non solo non furono accolti a bordo, ma furono costretti alla fuga dalla violenta reazione degli abitanti di Portovenere. La loro missione durò una settimana (come risulta dalle diarie pagate a Giacomo d'Orero che, con altri padroni di lembi, trasportò il D. e gli altri oratori alla flotta) e si concluse nel completo fallimento.

Pochi giorni dopo la sconfitta di Novara provocava la ritirata dei Francesi dall'Italia, e a Genova la fuga degli Adorno e il ritorno di Ottaviano Fregoso che, il 17 giugno, si faceva proclamare doge. Questa volta il D. non compare nelle magistrature; ma due anni dopo, col ritorno dei Francesi a Milano e l'accordo con essi stipulato dal Fregoso che, col titolo di regio vicario manteneva il potere, il D. rientra nell'attività politica. Subito eletto consultore per cose importanti, nell'ottobre-novembre 1515è a Milano nella solenne ambasceria inviata a giurare fedeltà a Francesco I. Nel 1516è tra i Padri del Comune e viene incaricato delle accoglienze a Filippo Sauli, vescovo di Brugnato e uomo di grande cultura. Ma è col 1517che la lunga esperienza di mediazione politica maturata dal D. ottiene il giusto riconoscimento: viene infatti eletto tra i Dodici riformatori degli statuti, creati dal Gran Consiglio per volontà di Ottaviano Fregoso.

Questi intendeva attuare una vera e propria riforma costituzionale, basata su un'ampia collaborazione delle forze politiche e sociali e sul superamento delle tradizionali rivalità tra le fazioni. Anche se nessun risultato pratico fu ottenuto sul momento (per l'opposizione di alcuni nobili, capitanati dal fratello di Ottaviano, il cardinale Federico, e appoggiati dalla Francia), era la premessa dell'"Unione" che sarà realizzata nel 1528 da Andrea Doria: e il D. sarà eletto anche nel '27-28 tra i Riformatori.

Nel frattempo, nonostante la ripresa degli avvicendamenti Fregoso-Adorno, in concomitanza con l'alternarsi della prevalenza francese o spagnola nel conflitto italiano, il D. è ininterrottamente presente nelle cariche di governo: nel 1518tra gli Anziani, con Giovan Battista, Andrea e Pantaleone De Ferrari; nel 1519inviato in ambasceria al cardinale Fieschi; nel 1520tra gli elettori e nell'ufficio di Moneta; nel '21tra gli ufficiali del Mare e quelli delle Monache; nel '22di Balia; nel '23protettore dell'Ospedale; nel '24tra gli ufficiali dei Rotti; nel '26tra i Protettori delle compere di S. Giorgio.

È del 1522, quando il D. era stato eletto dal Fregoso nella Balia straordinaria di Genova assediata dall'esercito imperiale, una presunta sua indiretta responsabilità per il successivo saccheggio. Il marchese di Pescara, al comando delle truppe imperiali, aveva offerto al governo genovese la possibilità di arrendersi. Il Fregoso, incerto tra la fedeltà alla Francia e il desiderio di evitare il sacco alla città, rimise la decisione agli Anziani e all'ufficio di Balia: prevalse il partito della resa. Ma le trattative furono avviate col Colonna invece che coi Pescara, che, offeso, ordinò l'assalto. Pare che l'ordine scritto di consegnare la città solo al Colonna non fosse firmato dai Dodici di balia, ma dal solo De Ferrari.Anche nel 1527il D. è personalmente ámpegnato nelle trattative di resa, questa volta ai Francesi, alla cui guida è Cesare Fregoso: il conte Filippino Doria, il D. e Giacomo Lomellini gli consegnano la città "a nome del re di Francia". Qualche giorno dopo, arrivato il nuovo governatore francese, il D. entrò nel magistrato dei Dodici riformatori e prese ad elaborare la nuova costituzione, ispirata, come già voleva O. Fregoso nel '17, al principio della "unione" delle famiglie "nobili" e "popolari" come saldo presidio della "libertà", cioè della neutralità della Repubblica in mezzo ai conflitti internazionali, per garantire la sopravvivenza economica e politica della classe dirigente. Ma durante questo incarico, che è il coronamento del suo pragmatismo politico, il D. nel 1528morì, come altri colleghi, probabilmente vittima della peste.

Alla riforma subito attuata da Andrea Doria mancherà la firma del D.: ragion per cui non sempre è citato dagli annalisti tra gli estensori della riforma. Ma, attraverso la sua persona, sembra confermata anche a livello fisico la continuità tra fi progetto di riforma del Fregoso e l'attuazione del Doria. E il prestigio umano e politico di cui il D. godeva presso questi grandi è dimostrato dal fatto che, nel 1524, Ottaviano Fregoso, nel testamento stilato a Napoli prima di morire, lo aveva nominato suo fiduciario col duca d'Urbino e Andrea Doria. Il D. venne sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di S. Domenico, ora distrutta. Dal suo matrimonio con Maria di Antonio De Lucchi, avvenuto nel 1488, nacquero Rolando, Catetta e Nicola; il primogenito ebbe numerosa prole che, dopo la riforma del 1528, fu ascritta nell'"albergo" Promontorio.

Fonti e Bibl.: Arch. d. Stato di Genova, ms. 496, c. 82; Ibid., Mss. Bibl., Origine delle famiglie nobili genovesi, I, cc. 305v, 306, 307; 2, c. 1080; Genova, Civ. Bibl. Berio, ms. m.r. X,2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, cc. 148-151; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1854, II, pp. 608, 681, 684, 697; B. Senaregae De rebus Genuensibus Commentaria, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, ad Indicem; J.Burchardi, Liber notarum, ibid., XXXII, 2, a cura di E. Celani, ad Indicem; E. Pandiani, Un anno di storia genovese, in Arti d. Soc. lig. di storia Patria, XXXVII (1905), pp. 46, 329, 402; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, ibid., LXIII, (1934), pp. 3, 49, 137.

CATEGORIE