PIOVENE, Agostino Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PIOVENE, Agostino Gaetano

Francesco Giuntini

PIOVENE, Agostino Gaetano. – Nacque a Venezia il 17 ottobre 1671, figlio primogenito del conte Coriolano e di Cecilia Soranzo.

Scarse sono le notizie sulla vita, se si fa eccezione per quelle documentate dalla sua attività di librettista. È probabile che la sua formazione letteraria sia avvenuta nell’ambito dell’Accademia dei Dodonei (fondata nel 1673), della quale proprio il padre Coriolano risulta essere stato principe nel 1682. Intorno al 1711 partecipò alle riunioni dell’Accademia filarmonica «situata alli Teatini in una Casa del Gobbo Loredan», dove due volte alla settimana si faceva musica e durante la quaresima alcuni nobili prendevano le vesti di attori dilettanti per recitare tragedie. Fu probabilmente in vista di queste recite (dove si esibì anche «Flaminia comica», ossia la celebre Elena Balletti, moglie di Luigi Riccoboni) che Piovene tradusse due tragedie del repertorio classico, l’Edipo sofocleo attraverso la fortunata versione francese di André Dacier (1693), e Le Feniciane da Euripide.

La traduzione dell’Edipo fu recensita in termini lusinghieri sul Giornale de’ Letterati d’Italia: «Edipo. Tragedia di Sofocle. In Venezia, nella stamperia del Poletti, 1711 […]. Questa incomparabile favola del più famoso tragico della Grecia e proposta dal maestro della Poetica come il più perfetto modello della tragedia, è stata nobilissimamente recitata più volte nella passata Quaresima da una scelta radunanza di giovani patrizi di questa città, con apparato veramente proporzionato e alla dignità dell’azione e alla nobiltà degli attori, e con accompagnamento magnifico di cori e di balli al fine di ciascun atto. […] Il traduttore di essa, che per modestia non ha voluto che comparisca sopra la stampa il suo nome, egli è stato il sig. conte Agostino Piovene, gentiluomo veneziano del cui talento nelle cose del teatro non è solo argomento questa sua elegante versione, quando ne abbiamo altre e maggiori testimonianze nel dramma della Principessa fedele e nella tragedia del Tamerlano» (1711, tomo V, pp. 414-416).

Il «dramma» e la «tragedia» menzionati dal recensore avevano segnato l’inizio della carriera di Piovene librettista, che si svolse a Venezia dal 1709 al 1721, in un clima di ‘riforma’ del teatro d’opera, di cui la sua produzione offre una significativa testimonianza: egli infatti rappresentò le diverse istanze di rinnovamento coltivate tra la fine del Sei e gli inizi del Settecento da aristocratici e intellettuali quali il conte Girolamo Frigimelica Roberti e Apostolo Zeno (quest’ultimo in particolare, scioltasi l’Accademia dei Dodonei, aveva fondato nel 1691 quella degli Animosi, ospitata in casa del patrizio Giancarlo Grimani e divenuta nel 1698 una colonia dell’Arcadia romana). Tutti i drammi del nobiluomo Piovene apparvero sotto il velo dell’anonimato, ma le attribuzioni sono documentate dai cronisti coevi del teatro veneziano.

L’esordio avvenne al teatro di S. Cassiano nell’autunno 1709 con La principessa fedele (musica del compositore en titre, Francesco Gasparini), un dramma dai tratti assai convenzionali e tipici della tradizione secentesca.

Un’eroina in abiti virili affronta un viaggio avventuroso per salvare l’amato, prigioniero del sultano d’Egitto; l’azione, che procede tra finzioni ed equivoci di ogni sorta, è arricchita da episodi spettacolari che illustrano curiosità barbare, come il combattimento impari tra schiavi e ‘mamalucchi’, o il tiro al bersaglio sugli schiavi.

Nella «tragedia per musica» Tamerlano, andata in scena al S. Cassiano nel carnevale 1711 con musica di Gasparini, e ripresa innumerevoli volte durante il Settecento, Piovene seguì un diverso indirizzo, prendendo per modello una tragedia francese di Jacques (Nicolas) Pradon, Tamerlan ou La mort de Bajazet (1676).

Il soggetto si ispira alle vicende della guerra combattuta ai primi del XV secolo tra il condottiero tartaro Tīmūr-Lang e l’imperatore turco Bāyazīd I: nel dramma costui, sconfitto e fatto prigioniero, si toglie infine la vita. Pur modificando la fonte francese con l’aggiunta di tratti romanzeschi ed episodi aneddotici sulla crudeltà di Tamerlano – Baiazet che gli fa da sgabello mentre sale al trono, la figlia Asteria che viene costretta a servire alla tavola del tartaro –, Piovene ne mantenne coerentemente tanto il carattere tragico quanto la conclusione funesta. Nella versione del 1711 la morte eroica di Baiazet avveniva – secondo la regola dominante – dietro le quinte, ma all’effetto della morte in scena non volle rinunciare il revisore della ripresa reggiana del 1719 (della quale Georg Friedrich Händel tenne conto nel suo Tamerlano londinese del 1724).

Nel 1712 Piovene iniziò a collaborare con il teatro di S. Giovanni Grisostomo, di proprietà dei Grimani. Per carnevale scrisse un dramma di soggetto romano, Publio Cornelio Scipione (musica di Carlo Francesco Pollarolo), al quale fecero seguito nel carnevale 1713 altri due drammi di soggetto analogo, Spurio Postumio e Porsena, musicati rispettivamente da Pollarolo e da Antonio Lotti.

È probabile che nel mandare in scena questo trittico di esempi della virtù romana in tempore belli la famiglia Grimani volesse esibire il proprio appoggio al partito dei suoi protettori, gli Asburgo d’Austria, nelle ultime fasi della guerra di successione spagnola. In questi drammi si avverte l’esperienza del Piovene traduttore e adattatore di tragedie classiche: nel Publio Cornelio Scipione si osservano, per esempio, oltre alla suddivisione in cinque atti – i drammi per musica veneziani ne avevano di norma tre –, un particolare uso dei cori e la ripresa di specifiche situazioni drammatiche appartenenti al repertorio del teatro greco (le prime scene richiamano l’esordio dell’Edipo re di Sofocle e quello delle Troiane di Euripide).

Per un altro teatro dei Grimani, il Ss. Giovanni e Paolo, eccezionalmente riaperto per il carnevale 1715, Piovene approntò la «favola pastorale» Marsia deluso e la «tragedia da rappresentarsi in musica» Polidoro (musiche rispettivamente di Pollarolo e di Lotti). Entrambe sono in cinque atti e confermano la vocazione classicheggiante dell’autore, che qui guardava al teatro italiano tardorinascimentale.

Il Marsia deluso si ispira infatti al Pastor fido di Battista Guarini, da cui riprende qualche episodio (ivi compreso il «ballo della cieca») inserendolo in un’azione che combina diversi miti riferiti ad Apollo, tra cui la contesa con il satiro Marsia che dà il titolo all’intero dramma; mentre il Polidoro ricalca la tragedia omonima di Pomponio Torelli (1605), dove la materia dell’Ecuba euripidea fa la sua comparsa mediata dal complesso racconto di Igino (Fabularum liber, CIX).

Se in tutti questi drammi si possono cogliere spunti e indirizzi diversi di un tentato rinnovamento del genere melodrammatico, l’ultimo lavoro di Piovene, Nerone, costituisce di quella ‘riforma’ una delle proposte più insigni e avanzate. Questa «tragedia per musica» fu rappresentata per la prima volta al S. Giovanni Grisostomo nel carnevale del 1721 (musica di Giuseppe Maria Orlandini) e conobbe tre anni dopo un notevole successo grazie alla versione che ne realizzò Johann Mattheson per l’opera di Amburgo (1724).

Anche Nerone, come già Tamerlano, si ispira a una fonte francese, il Britannicus di Racine (1669), da cui Piovene riprende in particolare il personaggio di Agrippina e i nodi del ‘racconto’ che la riguardano (riconducibili allo scontro fra la madre ambiziosa e il figlio tiranno) innestandolo sulle vicende più note della vita di Nerone, che la tradizione operistica aveva già abbondantemente sfruttato. Così i personaggi di Britannicus e Junie scambiano le loro parti con quelle di Ottone e Poppea, e tra le vittime del tiranno compare anche Ottavia, la sposa ripudiata. Pur nel rispetto delle convenzioni del genere, Nerone presenta un’azione più semplice e a suo modo più attenta alla verosimiglianza dei fatti: vi mancano i consueti travestimenti, le stravaganze e gli scambi di persona che costellano le trame di altri drammi neroniani. Ma la novità principale consiste nella rappresentazione della morte di Agrippina: la vittima conclude l’opera con un semplice recitativo prima di venir uccisa in scena dai sicari di Nerone.

Con il carnevale 1721, che vide Piovene impegnato anche nell’adattamento del Lucio Papirio dittatore di Zeno, sembra cessare del tutto la collaborazione con il teatro S. Giovanni Grisostomo (gli subentrò un altro illustre ‘tragediografo’, Benedetto Pasqualigo).

Dopo questa data non si hanno più notizie di Piovene fino all’anno della morte, avvenuta in Venezia il 5 aprile 1733.

Tra il 1721 e il 1733 il suo nome compare ancora nelle cronologie di Giovanni Carlo Bonlini (1730) e Antonio Groppo (1745) in riferimento alle riprese del Tamerlano (con il titolo variato Bajazette nel 1723 al teatro di S. Samuele) e della Principessa fedele (con il titolo variato Cunegonda nel 1726 al teatro di S. Angelo), ma ciò non implica necessariamente un coinvolgimento diretto dell’autore nella revisione dei due drammi.

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