MAGLIANI, Agostino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MAGLIANI, Agostino

Fulvio Conti

Nato a Laurino il 23 luglio 1824 da Pascasia Scairato e da Luigi, seguì le tradizioni di famiglia e nel 1845 si laureò in giurisprudenza presso l'Università di Napoli. Nel 1847 pubblicò la sua prima opera (Della storia della filosofia del diritto. Ragionamento, Napoli 1847) e nel maggio 1848 entrò nei ranghi dell'amministrazione finanziaria del Regno borbonico con la qualifica di capo sezione della Tesoreria generale dello Stato. In tale veste operò per rendere più moderno ed efficiente il sistema finanziario del Regno delle Due Sicilie, dovendo peraltro fare i conti con la difficile congiuntura seguita ai moti rivoluzionari del 1848, che impose al governo borbonico il frequente ricorso all'aumento delle imposte per arginare il deficit. Convinto estimatore della politica finanziaria adottata da Ferdinando II, nel 1857, quando essa venne fortemente criticata da A. Scialoja e contrapposta a quella piemontese, non esitò a prenderne le difese (Della condizione finanziera del Regno di Napoli, s.l. né d.). Il sovrano gli espresse poi il proprio riconoscimento nominandolo "uffiziale" di ripartimento del ministero delle Finanze.

Rimasto sostanzialmente estraneo all'impegno politico e al movimento patriottico, dopo il 1860 entrò nell'amministrazione del nuovo Stato italiano e, trasferitosi a Torino, accettò l'incarico di ispettore generale delle finanze. Dal marzo al dicembre 1862, chiamato da Q. Sella, subentrò proprio ad A. Scialoja nella carica di segretario generale del ministero delle Finanze. Nel 1863, divenuto segretario generale della Corte dei conti, fu nominato commissario per sostenere dinanzi al Parlamento la discussione del progetto di legge sulle pensioni degli impiegati civili. Durante la sua permanenza alla Corte dei conti, della quale nel 1867 divenne consigliere e nel 1870 presidente di una sezione, ebbe modo inoltre di rappresentare il governo in importanti occasioni, come la conferenza monetaria internazionale di Parigi del 1866 per la creazione dell'Unione monetaria latina. Trasferitosi a Firenze, in seguito allo spostamento della capitale, vi conobbe la nobile Francesca Gambacorta, pittrice, che divenne sua moglie e che più tardi fu animatrice di uno dei più eleganti salotti romani.

Nel marzo 1871, su indicazione di Sella recepita dal presidente del Consiglio G. Lanza, fu nominato senatore. In questi anni maturò però il suo graduale distacco dalle posizioni della Destra, di cui pure continuò a condividere le linee essenziali di politica economica, dichiarandosi un convinto fautore del liberismo. Non a caso nel 1874, insieme con F. Ferrara, P. Bastogi, G. Cambray Digny e altri, fu tra i fondatori della Società A. Smith, che ebbe sede a Firenze e si pose come scopo statutario quello di difendere i principî di libertà in materia economica. Il M. scrisse vari articoli per L'Economista, organo ufficiale dell'associazione, fra i quali uno del febbraio 1876, in cui, a proposito dei dazi doganali, dichiarò che essi dovevano essere imposti soltanto "per necessità fiscali, non per scopo di protezione" e che pertanto dovevano essere "miti quanto e come più si possa" (Sulla uniformità dei dazi doganali, ibid., 14 febbr. 1876).

Nel gennaio 1874 e nel gennaio 1875, in qualità di membro della delegazione italiana, partecipò alle conferenze internazionali di Parigi per il rinnovo della convenzione relativa all'Unione monetaria latina. La questione monetaria, in effetti, fu in questi anni al centro dei suoi interessi ed egli le dedicò non pochi articoli su giornali e riviste. L'Unione - sorta per creare un fronte comune fra le monete di quei Paesi, come l'Italia, ove era in vigore un sistema bimetallico, basato cioè sulla contemporanea circolazione di monete auree ed argentee - stava evidenziando i propri limiti e non riusciva a risolvere in maniera adeguata i problemi posti dalle repentine oscillazioni del prezzo dell'oro e dell'argento. Il M., dal canto suo, si schierò a favore del monometallismo, nel quale vide una tappa intermedia verso la futura realizzazione di una moneta internazionale.

Nel febbraio 1876 il M. venne indicato come membro della commissione istituita per proporre le riforme necessarie alla legge sulla contabilità generale. Fu questo l'ultimo incarico che ricevette prima dell'avvento al potere di A. Depretis, che gli manifestò subito la propria fiducia affidandogli la guida della commissione parlamentare d'inchiesta sul dissesto finanziario del Comune di Firenze. Iniziò allora fra il M. e il leader della Sinistra uno stretto rapporto di collaborazione, che si concretizzò nella sua nomina a ministro delle Finanze nel secondo gabinetto Depretis (dicembre 1877 - marzo 1878) e ancora delle Finanze con l'interim del Tesoro nel terzo gabinetto Depretis (dicembre 1878 - luglio 1879). Il M. conservò, inoltre, la titolarità dei due dicasteri nel terzo governo Cairoli, nei successivi cinque governi Depretis e nel primo governo Crispi, ossia ininterrottamente dal novembre 1879 al dicembre 1888.

Chiamato a guidare la politica economica del Regno in una fase di profondi cambiamenti sulla scena internazionale, a causa delle spinte protezionistiche e dei meccanismi competitivi innescati dai processi di colonizzazione dell'Africa e dell'Asia, fu costretto ad accantonare i propri convincimenti liberisti e ad applicare una politica di segno interventista. Nei primi anni di governo, tuttavia, la sua attività fu volta anzitutto a raggiungere il pareggio del bilancio e a riordinare il sistema fiscale, affinché esso gravasse sulla popolazione in modo meno duro e più equo. La riforma più significativa, al riguardo, fu l'abolizione della tassa sul macinato, il cui progetto di legge, da lui presentato, fu approvato dal Parlamento nel luglio 1880. Esso prevedeva l'immediata riduzione di un quarto della tassa sulla macinazione e la sua totale abolizione dal gennaio 1884, con una diminuzione delle entrate che sarebbe stata compensata dal gettito garantito da nuovi provvedimenti fiscali. Su questa stessa linea si inserì poi la legge sul riordinamento dell'imposta fondiaria, di cui il M. fu il principale estensore. Presentata alle Camere nell'aprile 1882, entrò il vigore il 1 marzo 1886 ed ebbe evidenti fini perequativi rispetto all'assetto esistente, che prevedeva imposte rigide e non proporzionate all'effettiva rendita della proprietà fondiaria. Il nuovo sistema verteva invece sulla formazione di un catasto geometrico-particellare, che avrebbe dovuto fornire precise indicazioni circa il reale valore della proprietà, seguirne i passaggi e consentire al fisco l'esazione di un'imposta più equa.

Il miglioramento delle condizioni finanziarie del Regno permise al M. di conseguire nel 1881 un altro importante risultato, l'abolizione del corso forzoso della valuta - cioè senza l'obbligo del pagamento in contante dei propri biglietti da parte degli istituti di emissione - che era stato introdotto dalla Destra nel 1866 per superare un grave momento di difficoltà e per mirare al raggiungimento del pareggio di bilancio. Per porre fine al regime di inconvertibilità della moneta trovando la necessaria copertura finanziaria il M. predispose la contrazione di un prestito di 644 milioni di lire con alcune banche italiane e straniere, che lo Stato avrebbe rimborsato in titoli di rendita al 5%. La legge, che stabiliva criteri di gradualità nell'abolizione del corso forzoso, venne approvata nell'aprile 1881, ma ebbe durata assai breve, dal momento che nel 1884 la ricomparsa del deficit di bilancio impose nuovamente la sospensione d'ufficio della convertibilità della moneta. Con questo provvedimento si offrì comunque un chiaro segnale ai mercati internazionali della migliorata situazione dell'economia italiana, che conobbe una fase di relativa espansione e vide affluire i capitali stranieri con maggiore facilità. Sempre durante la permanenza del M. alle Finanze si ebbero inoltre i provvedimenti per la cessazione della Regia cointeressata dei tabacchi (dal 1 genn. 1884) e le convenzioni ferroviarie (1885).

Il nome del M. restò tuttavia legato in questi anni alla politica protezionistica, che egli si trovò ad adottare, nonostante i suoi convincimenti liberisti, già a pochi mesi dall'inizio del mandato ministeriale, e alla cosiddetta "finanza allegra", all'espansione cioè della spesa pubblica mediante misure straordinarie, che dal 1885 produssero un crescente aumento del deficit. Risale al maggio 1878 l'introduzione di una nuova tariffa doganale generale, che, oltre a procurare maggiori entrate fiscali, doveva tutelare alcuni settori dell'industria nazionale, in particolare quella tessile. Ad essa seguirono gli accordi commerciali con alcuni Paesi europei, fra i quali la Francia, l'Austria-Ungheria, la Germania e la Gran Bretagna, che consentirono al M. di elevare ulteriormente i dazi sull'importazione di vari prodotti. Il disegno protezionista del ministro delle Finanze trovò poi più organica attuazione con la nuova tariffa doganale del 1887, che fu caratterizzata da un'accentuazione dei dazi su numerosi prodotti, compresi quelli agricoli, al fine di tutelare anche la cerealicultura e l'industria siderurgica.

Proprio nel 1887, tuttavia, la crisi agraria e l'incremento di spese causato dalla guerra d'Africa contribuirono ad aggravare le già precarie condizioni del bilancio italiano, attirando sul M. le severe critiche di vari esponenti dell'opposizione, fra i quali si distinsero G. Saracco, S. Sonnino e G. Giolitti.

Quest'ultimo nelle sue memorie lo bollò come "rappresentante tipico di una finanza insinceramente ottimista e di una quasi prestigitazione finanziaria, [(] incapace di rispondere con quel monosillabo che dovrebbe essere la divisa di ogni ministro del Tesoro, col no a qualunque domanda di cosa dannosa alla finanza" (Memorie, I, p. 39).

Nel dicembre 1888 fu perciò costretto a porre fine alla propria esperienza governativa e a lasciare i dicasteri del Tesoro e delle Finanze. Continuò però a occuparsi di economia e di finanza con articoli pubblicati nella Nuova Antologia e nel Giornale degli economisti, e mantenne unicamente qualche incarico politico in ambito locale, come la presidenza dell'amministrazione provinciale di Salerno.

Il M. morì a Roma il 20 febbr. 1891.

Fra le sue opere, tralasciando le relazioni a stampa con cui accompagnò i progetti di legge o illustrò in Parlamento l'esposizione finanziaria e i rendiconti consuntivi annuali dell'amministrazione dello Stato, si vedano Della storia della filosofia del diritto, cit.; Della condizione finanziera del Regno di Napoli, cit.; La quistione monetaria, Firenze 1874. Un elenco dettagliato degli articoli apparsi nella Nuova Antologia, di cui il M. fu assiduo collaboratore dal 1866 al 1890, si trova in Indici per autori e per materie della Nuova Antologia dal 1866 al 1930, a cura di L. Barbieri, Roma 1934, p. 167.

Fonti e Bibl.: Una significativa raccolta delle lettere è in A. Magliani, Epistolario (1867-1890), a cura di R. Rossi, Napoli 2001.

Ampi ragguagli sull'attività del M. si trovano in tutte le opere generali sulla storia dell'Italia liberale e specialmente in quelle relative alle vicende economico-finanziarie. Per qualche riferimento più specifico si vedano: A. Plebano, Storia della finanza italiana dalla costituzione del nuovo Regno alla fine del secolo XIX, II, Dal 1876 al 1887-88, Torino 1900, passim; P. Carcano, Finanze e Tesoro, in Cinquant'anni di storia italiana, a cura dell'Accademia dei Lincei, Milano 1911, II, pp. 28 ss.; G. Giolitti, Memorie della mia vita, I, Milano 1922, pp. 38 s., 41, 43-45, 52, 62, 103 s., 132; L. Einaudi, Viaggi tra i miei libri. Di una controversia tra Scialoja e M. intorno ai bilanci napoletano e sardo, in Riv. di storia economica, IV (1939), 1-4, pp. 78-88; G. Carocci, A. Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, ad ind.; E. Parravicini, La politica fiscale e le entrate effettive del Regno d'Italia, 1860-1890, in Arch. economico dell'unificazione italiana, s. 2, vol. 1, Torino 1958, passim; G. Luzzatto, L'economia italiana dal 1861 al 1894, Torino 1968, pp. 156 s., 164, 186; R. Faucci, Finanza, amministrazione e pensiero economico. Il caso della contabilità di Stato da Cavour al fascismo, Torino 1975, ad ind.; E. Del Vecchio, La via italiana al protezionismo. Le relazioni economiche internazionali dell'Italia, 1878-1888, Roma 1978, ad ind.; Gli istituti di emissione in Italia. I tentativi di unificazione dal 1843 al 1892, a cura di R. De Mattia, Roma-Bari 1989, pp. 42, 379, 420; Giolitti e la nascita della Banca d'Italia nel 1893, a cura di G. Negri, Roma-Bari 1989, pp. 11, 110, 200 s., 248, 253 s., 273, 276, 288, 291, 299-301; L'Italia e il sistema finanziario internazionale, 1861-1914, a cura di M. De Cecco, Roma-Bari 1990, ad ind.; P. Pecorari, La fabbrica dei soldi. Istituti di emissione e questione bancaria in Italia, 1861-1913, Bologna 1994, ad ind.; M. D'Acunto, Scandali in casa di A. M., un ministro cilentano, in Annali cilentani, 1995, pp. 92-100; G. Marongiu, Storia del fisco in Italia, II, La politica fiscale della Sinistra storica, 1876-1896, Torino 1996, ad ind.; R. Colapietra, A. M. e la cosiddetta "finanza allegra", in Rass. storica salernitana, XIII (1996), pp. 205-218; Id., Nicotera, M., Tajani e la Sinistra meridionale, in Risorgimento e Mezzogiorno, VII (1996), pp. 11-27; Politica, economia, amministrazione e finanza nell'opera di A. M., a cura di A. Guenzi - D. Ivone, Napoli 1997; P. Pecorari, La lira debole. L'Italia, l'Unione monetaria latina e il "bimetallismo zoppo", Milano 1999, ad ind.; Il Risorgimento italiano. Biografie storico-politiche d'illustri italiani contemporanei, a cura di L. Carpi, IV, Milano 1888, pp. 262-264; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, IV, La Sinistra al potere, Salerno 1964, pp. 211-224; F. Boiardi, A. M., in Il Parlamento italiano, V, La Sinistra al potere, 1877-1887, Milano 1989, pp. 413-430; Diz. del Risorgimento nazionale, III, p. 419 (E. Michel); Enc. biogr. e bibl. "Italiana", A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori d'Italia dal 1848 al 1922, II, pp. 129 s.

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