ALARCÓN Y ARIZA, Pedro Antonio de

Enciclopedia Italiana (1929)

ALARCÓN Y ARIZA, Pedro Antonio de

Alfredo Giannini

Poeta e novelliere spagnolo. Nacque a Guadix (Andalusia) il 10 marzo 1833, d'antica e nobile famiglia che nelle lotte patriottiche durante la guerra dell'indipendenza aveva generosamente profuso quasi ogni sua sostanza. Fatti i primi studî nel seminario della sua città intraprese nell'università di Granada quello delle leggi, ma, non permettendogli le strettezze familiari di continuarlo, fu costretto a tornare al seminario di Guadix per studiarvi, di contraggenio, teologia. Nel gennaio del 1853, infine, con un po' di danaro ricavato da certi articoli che gli furono pubblicati, fuggì dalla casa paterna, e si recò a Cadice, dove si dette al giornalismo, fondando insieme con don Torquato Tárrago la rivista El Eco de occidente. E giornalista seguitò ad essere un po' sempre: a Granada, dove fu gran parte d'una società scapigliata di giovani letterati e artisti, la Cuerda granadina, e fondò un giornale anticlericale, La Redención; e, poco dopo, a Madrid, dove ebbe la direzione di El látigo (La sferza) satirico demagogico e anticlericale anch'esso, per cui ebbe a sostenere un duello col poeta don José Heriberto García da Quevedo, che generosamente gli risparmiò la vita, sparando in aria.

Vive erano le passioni in quel periodo di rivolgimenti politici, e il de Alarcón vi partecipò con giovanile foga. Né deve far maraviglia se mutò con i tempi da rivoluzionario a unionista e monarchico, perché, a mano a mano che il furore della tempesta parve calmarsi, negli animi di tutti i patrioti sinceri si acuì il bisogno e il desiderio di un'èra di pace e di assestamento della nazione.

Valoroso soldato volontario durante la guerra d'Africa del '59-60 nel battaglione di cacciatori di Ciudad-Rodrigo, deputato di Guadix nel 1864 e partigiano del suo protettore don Leopoldo O' Donnell, che sostenne anche dalle colonne dei giornali La Época e La Política, e al cui partito La Unión liberal fu affiliato fin dal 1856, il de Alarcón si trasse alquanto in disparte dopo la rivoluzione del 68: rifiutò la nomina a ministro plenipotenziario in Svezia, e visse quindi tranquillo accademico (1877) della R. Accademia di Spagna e consigliere di stato a Madrid. Morì il 19 luglio 1891.

Nella Historia de mis libros (1889), una specie di testamento letterario e di prologo generale alla sua opera, il de Alarcón dà conto di questa fino dai primi ingenui saggi difendendola vivacemente contro i critici, che gli facevano carico di avere adattato ai suoi mutamenti nelle idee religiose e politiche la sua attività di scrittore. In realtà fu sempre scrittore sincero. Anche le liriche, che pure sono fra le cose sue meno significative e che egli si decise a raccogliere in volume (1ª ed. col titolo Poesías serias y humorísticas, 1870; 2ª -ed. col titolo Poesías, 1876) solo in seguito alle premure di amici autorevoli come Antonio Cánovas del Castillo e Juan Valera, hanno pregi di schiettezza nel loro un po' scettico, ma sano umorismo: il Valera ne incluse più d'una nel suo noto Florilegio de poesías castellanas. Più che alla lirica, però, l'A. aveva attitudini alla descrizione realistica della vita. E trovò presto in tal senso la sua via. Era ancora soldato della guerra d'Africa, quando, destinato al quartiere generale come ordinanza del generale O' Donnell, dopo essere stato ferito in un combattimento, ricevette l'incarico di scrivere il Diario de un testigo de la guerra de África; e due edizioni ne furono fatte nello stesso anno 1860, tanto fu il íavore col quale fu accolta questa fedele e viva narrazione della gloriosa impresa in cui rifulse l'eroismo spagnolo, specialmente nell'azione dei Castillejos, nella presa di Tetuan e nella battaglia di Wald Ras, dove fu conchiuso il trattato di pace. Posate le armi, nell'autunno del '60 l'A. compié un viaggio in Italia, che gli offerse materia per un nuovo fortunatissimo libro De Madrid a Nápoles (1861), pittoresco, vivace e ricco di colore, uno dei più letti fra i libri di viaggio scritti in castigliano. E relazione di viaggio è anche La Alpujarra, cominciata a scrivere nel marzo del 1873, e pubblicata l'anno dopo; ma è, al tempo stesso, un accurato studio di costume e uno sguardo retrospettivo alla storia di quel territorio che, compreso fra la Sierra Nevada e il mare nelle provincie di Granada e di Almeira, fu l'ultimo baluardo del dominio dei Mori. Altri studî di costume, scritti prima del '63, raccolse l'A. più tardi in Cosas que fueron (1882); e ancora nel 1883 vi diede un ultimo seguito con i Viajes por España, appassionato racconto delle impressioni ricevute percorrendo da un capo all'altro la sua patria.

Intanto, col cessare della sua attività politica, nel 1874, la sua attività letteraria si era venuta orientando verso nuove mete: verso la novella e il romanzo. Egli aveva esordito in questo genere letterario molto precocemente, tra i diciassette e i diciotto anni, con El final de la Norma, immaginato come parte di una tetralogia Los cuatros puntos cardinales e pubblicato nel giornale El Occidente soltanto nel 1885: un racconto inverosimile e ingenuo, di pura immaginazione, pieno di romanzesche avventure e di vaporoso idealismo, che pure, con maraviglia dello stesso autore, ebbe buon successo fra il pubblico. Il suo capolavoro è comunemente ritenuto El sombrero de tres picos (1874), romanzo in cui rivive la vita paesana, villereccia del regno di Carlo IV, e che ha le sue fonti in un antico anonimo romanzo El Molinero de Arcos e in una storia versificata popolare pure anonima El Corregidor y la Molinera. E veramente fine è l'arte con cui il de Alarcón rimaneggia un "conto" antico, e lo presenta al lettore moderno in un delizioso quadro realistico, dal disegno e dal colorito a volta a volta tenue e delicato, o vivo e smagliante. Un sorriso arguto e birichino, una garbata ironia, un umorismo sano e bonario pervadono da cima a fondo il racconto, di schietta ispirazione nazionale, in un tempo in cui l'influenza del romanticismo francese prevaleva, in Ispagna, quasi in ogni espressione letteraria. Felicissimo narratore, di gusto schiettamente spagnolo l'A. ci si mostra anche nelle tre serie di novelle che vanno sotto il titolo Cuentos amatorios, Historietas nacionales, Narraciones inverosimiles, e che, pubblicate, le prime due nel 1881 e la terza l'anno dopo, erano state composte, per la maggior parte, nel primo periodo della sua attività, di gusto romantico e francesizzante. Quelle della prima serie, per confessione dello stesso de Alarcón, risentono della lettura di Alessandro Dumas padre, di Balzac, della Sand e di Victor Hugo, che ebbe cari nella giovinezza, ma sono ben lontane, per quanto il titolo possa farlo supporre, dalla licenziosità propria di certa letteratura francese di quel tempo; sono "conti amatorî" protesta l'autore, ma á la antigua española, dentro i confini in cui seppero tenersi e Cervantes e Quevedo e Tirso, senza offesa ai buoni principî della morale corrente, ai quali il de Alarcón volle deliberatamente informare, fino dai primi saggi, l'opera sua letteraria. Anzi questa costante esigenza di un contenuto morale, della dimostrazione di una tesi dottrinaria ortodossa, guasterà le bellezze di più d'uno dei suoi romanzi; come El escándalo (1875), storia stravagante di un giovane corrotto che si riabilita e purifica per virtù d'amore e della religione; El Niño de la bola (1880), in cui la preoccupazione del problema religioso appare illogica e stonante fra tante bellezze di narrazione e tanta drammaticità di passioni che incatenano il lettore; in fine La Pródiga (1882) in cui la satira di Giulia, prodiga della sua appassionata sensibilità, byroniana figura di martire dei suoi amori, vorrebbe essere una difesa della morale sociale, delle leggi divine e umane. Certo, egli è tanto più squisito narratore, quanto meno è impacciato da preconcetti dottrinali, etici, filosofici e tradizioni storiche nazionali, come appunto fa in quel vero gioiello che è El sombrero de tres picos, e in molte delle Historietas nacionales (p. es. El carbonero alcade, La buonaventura, El ángel de la guarda, El libro talonario, El Capitan Veneno). Dopo La Pródiga, il de A. non scrisse altri romanzi, disgustato degli attacchi troppo acri di critici sistematici e della congiura del silenzio che lamentava gli si facesse attorno. Oggi si può più serenamente giudicare di lui. Egli, che ebbe grazia insuperabile di narratore, ebbe anche il torto di voler essere ad ogni costo scrittore di tendenze e propositi moraleggianti.

I suoi romanzi, a tesi per la maggior parte come quelli del Valera, si riconnettono al romanzo e alla novella di costume della Caballero per un lato, e al romanzo e alla novella naturalistica del Pereda, del Pérez Galdós, della Pardo Bazán per l'altro.

Bibl.: E. Pardo Bazán, Retratos y apuntes literarios (Obras completas, XXXII, p. 117); P. F. Blanco Garcia, La liter. española en el siglo XIX, II, p. 449 segg.; A. Bonilla, Los orígenes de "El sombrero de tres picos", in Revue Hispanique, XIII (1905); R. Foulché-Delbosch, D'où dérive "El sombrero de tres picos", in Revue Hispanique, XVIII (1908), p. 468; S. Ruiz Gómez, La Pródiga, in Revista de España, LXXXVI, p. 289; Silvela, Pleito literario (El Niño de la bola y Curro Vargas), in La ilustración Esp. y Am., II (1898), p. 364; F. de P. Canalejas, El Escándalo, in Rev. Europea, V, p. 132; L. Lande, Pedro de Alarcón, in Revue des deux mondes, 15 maggio 1875; F. S. Gutiérrez, P. de A., in la Ciudad de Dios, CVII (1916), p. 132; J. Valera, Poesías de don P. de A., in Obras Completas, XXIII.

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