CIBO MALASPINA, Alberico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981)

CIBO MALASPINA, Alberico

Franca Petrucci

Nacque a Genova ufficialmente da Lorenzo Cibo e da Ricciarda Malaspina, erede del marchesato di Massa.

Con ogni probabilità la data della sua nascita fu il 28 febbr. 1534, benché lo stesso C. abbia cercato di attribuirsi due anni di età in più, annotando in un libro di memorie familiari, iniziato dal nonno Franceschetto e continuato sommariamente anche dal padre, come suo giorno natale il 28 febbr. 1532. Un'aggiunta a, questa data, che specifica il giorno della settimana, il sabato, e precisa che il 28 era l'ultimo giorno del mese, smaschera la maldestra falsità, poiché il 1532 era un anno bisestile e quindi il 28 non era l'ultimo giorno dei mese; inoltre cadde di sabato non il 28, né il 29 febbraio 1532, ma il 28 febbraio, come ultimo giorno del mese, nel. 1534. Altre testimonianze e altre discordanze relative ai Ricordi contribuiscono a non rendere accettabile il 1532 come anno della nascita del Cibo. Comprensibile peraltro è il suo desiderio di anteporre la propria data di nascita, poiché nel 1532 i rapporti fra il padre e la madre non erano dei tutto interrotti, come invece sarebbero risultati due anni più tardi, quando Ricciarda risiedeva stabilmente a Firenze, lontana dal marito e vicina invece al cardinale Innocenzo Cibo, suo cognato, con ogni probabilità vero padre del Cibo.

Egli non soffrì dell'inimicizia che divise il padre e la madre. Quest'ultima, che odiò i figli, Giulio ed Eleonora, avuti dal marito, sembrò pensare proprio ad una sua possibile futura prole, quando ottenne da Carlo V la concessione, con diploma del 7 aprile 1533, di poter scegliere Era i suoi figli quello che dovesse succederle, senza riguardo alla primogenitura.

Da Firenze, dove trascorse i primi tre anni della sua vita, nel settembre del 1537 il C. fu condotto a Roma, quando Ricciarda Malaspina vi si stabilì, lasciando la città toscana, sull'esempio del cardinale Innocenzo, che si ritirò a Carrara. Al C., destinato allora alla carriera ecclesiastica e denominato perciò l'"abatino", il fratello Giulio, lasciando l'Urbe, diretto all'impresa che lo avrebbe portato alla morte per decapitazione sotto l'accusa di cospirazione contro l'Impero, rivolse parole di esortazione a non assecondare la madre in disegni diretti contro di lui.

In effetti il C. non sembra aver condiviso l'odio della madre nei confronti di Giulio ed anzi per tutta la vita si adoperò affinché nell'opera degli storici risultassero infondate le accuse per le quali il fratello era stato condannato. D'altra parte, con costanza quasi maniacale, pose le medesime cure nel voler dimostrare sia priva di ombre la sua nascita, che invece, come si è visto, dava adito ad illazioni, sia che i natali del nonno Franceschetto non erano dovuti ad un rapporto illegittimo, mentre invece è noto che questi fu un figlio naturale di Innocenzo VIII.

Dopo aver sventato, dopo la decapitazione del figlio, il pericolo della confisca di Massa, che si dimostrò appartenere di diritto a lei e non a Giulio, la Malaspina, adoperatasi anche con successo all'evacuazione delle truppe spagnole dalla rocca di Massa, destinò il C. alla successione. Dimessa ormai l'intenzione di dedicarsi alla carriera ecclesiastica, questi, che nel 1549 aveva ereditato dal padre il ducato di Ferentillo, sposò, nel febbraio del 1552, Elisabetta Della Rovere, sorella del duca di Urbino, la quale portava in dote 23.000 ducati. La sposa fu condotta dal marito a Massa nell'ottobre, con gran solennità ed il 9 dicembre dello stesso anno nacque il primogenito del C., Alderano. Il 16 giugno dell'anno successivo Ricciarda Malaspina, che non aveva mancato di contrastare il matrimonio del figlio, moriva a Bagni di Lucca, lasciando il C. erede del marchesato di Massa e Carrara, con la facoltà di aggiungere al suo il cognome di lei. Il 17 febbr. 554 egli otteneva dall'imperitore la conferma dell'investitura del marchesato.

Ligio al potere imperiale, il C. era anche in ottimi rapporti con Cosinio de' Medici, cosicché nell'aprile dello stesso anno aderì immediatamente alla richiesta di mille fanti fattagli da quest'ultimo, che si trovava alrassedio di Siena. Due mesi più tardi fu chiamato, con il grado di luogotenente generale, alla protezione di Perugia dal cognato Guidubaldo Della Rovere, capitano generale della Chiesa. Morto Giulio III, il. C. fu inviato a porgere i rallegramenti del Della Rovere al nuovo pontefice Marcello II (10 apr. 1555). Alla morte di quest'ultimo, sopraggiunta dopo appena venti giorni dalla sua consacrazione, il Sacro Collegio confermò al Della Rovere la carica a capitano pontificio e questi affidò la guardia della città di Roma al C., che detenne l'incarico fino all'elezione del nuovo pontefice, Paolo IV (23 maggio).

Il 3 luglio 1557 il C., che in quel periodo risiedeva sporadicamente a Massa, fu presente alla cerimonia della consegna di Siena a Firenze nella persona di Cosimo de' Medici. L'anno seguente, il 15 luglio, il C., che probabilmente non vedeva ancora determinato il suo ruolo, si mise al servizio del re di Spagna con una provvisione annua di 2.400 ducati d'oro. Ottenuta, dopo la morte di Carlo V, il 2 marzo 1559, la conferma dell'investitura e dei privilegi dall'imperatore Ferdinand, con l'autorizzazione a battere moneta, il C., il 15 niaggio dello stesso anno, preceduto da Gaspare Venturini, il cronista, che recava diciotto cavalli, ed accompagnato da venti gentiluomini, si mise in viaggio per Bruxelles, dove arrivò il 17 luglio, dopo una sosta alla corte di Francia. Nell'estate si portò a Valladolid per seguire Filippo II, e vi rimase fino alla fine dell'anno; ripartì per l'Italia il 15 genn. 1560 e non è difficile da ciò arguire che non dovesse essere rimasto soddisfatto della sua vita alla corte spagnola. Aveva anche tentato, rimanendo deluso nelle sue aspettative, di ottenere il grandato. il cui conseguimento avrebbe poi inseguito invano per tutta la vita.

Anche l'elezione di Pio IV al papato (26 dic. 1559) aveva spinto il C. al ritorno, convinto com'era che un papa Medici, alla cui casa egli si era mostrato sempre devoto, dovesse procurargli benefici e onori. Dopo una brevissima sosta a Massa, egli proseguì direttamente per Roma, dove si istallò nel suo palazzo a piazza Navona. In questa città cadde ammalata la moglie, che lo aveva raggiunto nell'autunno, trattenendosi presso di lui fino alla primavera dell'anno seguente. Tornata a Massa, ella vi morì il 6 giugno dello stesso 1561 e il C., tornato precipitosamente presso di lei, riuscì appena a vederla prima del trapasso.

Da papa Pio IV il C., ottenne il 12 giugno 1562 Monteleone (Rieti) anziché Vetralla, da lui rivendicata; ma tre anni dopo anche questa concessione gli fu revocata.

Nell'autunno a Roma il C. aveva iniziato trattative per il suo secondo matrimonio. La scelta era caduta su Isabella da Capua, sorella del duca di Termoli, che portava in dote 35.000 ducati. Sposatala il 17 febbr. 1561, il C. la condusse a Massa nel dicembre con gran pompa. Nel medesimo anpo egli si preoccupò di farsi confermare da Roma e da Venezia i privilegi di nobile delle due città; inoltre anche Temi lo fece suo cittadino.

L'anno successivo il C. ricevette dalla Repubblica di Genova, che si trovava allora nella necessità di soffocare una ribellione in Corsica, la richiesta di 200 fanti, che egli si affrettò a soddisfare. Il C. infatti fu sempre in perfetto accordo sia con Genova, che era la città di origine della sua famiglia, che con i Medici, dei quali era (e non mancava di metterlo in evidenza) parente. Sia con Genova sia con Firenze era inoltre legato ad una medesima politica fermamente favorevole alla Spagna ed all'Impero, verso i quali fu sempre ossequientissimo.

Nel già citato libro di memorie il C., sotto la data del 30 luglio 1564, faceva una sibillina annotazione, nella quale significava di aver ricevuto "nuova di sodisfatione". Ed è cosa piuttosto sorprendente, visto che quella del C. emergente dai dati storici è una figura piuttosto nute, sapere che la novità, così definita, era l'assassinio di un tale Paolino Roccolino, delatore di Giulio Cibo al tempo della sua tragica avventura, perpetrato da Gaspare Venturini, fedele della casata, probabilmente per mandato dello stesso marchese.

Dal suo secondo matrimonio il C. ebbe quattro figli. Nel 1564, Eleonora, il 19 settembre; il 10 sett. 1565, Lucrezia; il 19 ott. 1566, Caterina; il 26 dic. 1568 finalmente il secondo maschio, Ferrante, cui poté donare il titolo di marchese di Aiello. Il C. infatti, con la dote di Isabella da Capua, aveva comprato nel settembre del 1566 Aiello ed altre terre limitrofe, vicino Cosenza, su cui il re di Spagna il 12 dic. 1569 gli aveva concesso il titolo di marchese. Altra conseguenza del secondo matrimonio fu l'allontanamento del primogenito, Alderano, inviato dal padre alla corte di Urbino, dove il giovanetto avrebbe ricevuto un'educazione consona al suo stato.

Nel 1565 il C. era stato uno degli illustri personaggi che andarono ad incontrare a Bologna Giovanna d'Austria, novella sposa del figlio di Cosimo de' Medici, Francesco, conducendola poi a Firenze e partecipando quindi ai festeggiamenti ivi svoltisi. Il 23 ag. 1568 l'imperatore Massimiliano II, che l'anno prima gli aveva confermato il possesso dello Stato di Massa, elevò quest'ultimo a principato, concedendo contemporaneamente al C., che lo passò al primogenito, il titolo di marchese di Carrara. Dopo un soggiorno a Roma nel 1572, durante il quale egli ebbe occasione di essere uno dei primi a rallegrarsi con Gregorio XIII per la sua elezione, il C. si recò nel 1574 alla Spezia, insieme con il figlio Alderano, per rendere onore a Giovanni d'Austria, che faceva sosta in quel porto.

Nel 1575, scoppiata la rivolta a Genova contro i cosiddetti nobili "vecchi", egli dette ricetto nel territorio di Massa a più di trenta famiglie genovesi, fra cui i Grirnaldi. Tornata la quiete nella città e rilluiti in essa tutti i profughi, il C. trovò in Genova, dove soggiornò sempre più spesso, accoglienze ancora più calde. Il 14 gennaio dello stesso anno aveva perduto anche la seconda moglie, caduta ammalata dall'ottobre dell'anno prima. Natogli il primo nipote, Carlo, il 18 nov. 1581, da Alderano, sposatosi l'anno Prima con la ricchissima Maffisia d'Este, al C. morirono successivamente due figlie, Eleonora, duchessa d'Evoli, l'8 ott. 1585, e Vittoria, il 12 marzo 1587, Quest'ultima era una figlia naturale, nata a Massa nel 1555. Oltre a lei il C. ebbe altri quattro illegittimi: Angelo, nato a Genova in epoca imprecisata; Francesco, che fu frate, nato a Roma nel 1563; Maria, nara a Genova il 4 marzo 582, e Maurizio, anche lui frate, nato a Carrara il 4 settembre del 1600.

Una notevole attività diplomatica esplicò il C. (che il 17 giugno 1590 aveva ottenuto da Rodolfo II il titolo di illustrissimo, la facoltà di inquartare l'aquila imperiale nel suo stemma, di creare conti e cavalieri e di legittimare bastardi) fra la fine del 1590 e l'inizio del 1591 a causa del matrimonio della figlia Lucrezia. Questa era stata promessa in moglie a Ercole Sfondrati, quando lo zio del promesso sposo fu eletto papa, con il nome di Gregorio XIV. Riuscito a vincere l'esitazione del giovane e dei parenti, saliti in potenza ed in pretese con l'elezione, il C., felice di aver evitato alla figlia il difficile avvenire di ripudiata, credette anche di poter ricevere chissà quali benefici per il fatto di essere parente del papa. Tentò invano di ottenere il cardinalato per il figlio Ferrante, ma la morte del pontefice, sopraggiunta alla fine del medesimo anno, e poi quella del figlio stesso, il 30 genn. 1593, posero fine alle sue speranze. Anche la concessione del pontefice che la pievania di Massa divenisse collegiata non si realizzò, perché non perfezionata prima del suo decesso.

Nel 1592 era stato con Alderano in Genova presente ai festeggiamenti che si tributarono a Vincenzo Gonzaga di passaggio in quella città di ritorno da Firenze, dove avevabattezzato un figlio del granduca. Il 5 nov. 1609, il C., che aveva perduto altri due figli, Alderano, il 16 nov. 1606, e Lucrezia, il 6 ott. 607, donò al nipote Carlo, Paduli (Benevento), acquistata il 27 maggio, per 52.000 ducati. Continuò intanto a perseguire il disegno di ottenere il titolo di grande di Spagna, inviando a Filippo III numerosi memoriali, ma non riuscì ad-ottenere che quello di "primo" nel 1619, e da Ferdinando II la dichiarazione di Massa città imperiale, il 25 ag. 1620.

Morì a Massa il 18 genn. 1623 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco. Suo erede universale e successore nel principato fu il nipote Carlo.

Un indiscusso merito del C. fu quello di essere, a differenza della madre che aveva governato con noncuranza ed esosità, un principe illuminato riguardo ai suoi amministrati. Egli programmaticamente incrementò le attività artigianali e commerciali, incoraggiando l'istallamento di nuove industrie in Massa. Nel 1578, 1584 e 1594 garantì esenzioni fiscali e altri vantaggi a lavoranti della seta che volevano esercitare il loro mestiere a Massa. Permise e favorì l'introduzione dell'arte della lana e di quella della fusione dei metalli, che forniva artiglierie, campane, lampade. Fiorirono inoltre nel principato l'industria dei vetri e quella della fabbricazione del sapone.

Intimamente collegato con queste attività economiche sembra lo sviluppo urbanistico promosso dal Cibo. Massa era costituita da una parte più antica, posta su un poggio, ed una di insediamento recente, che comprendeva due borghi, Bagnara e Conca. Il C. risanò la parte nuova, chiamata in seguito Cybea, e la incluse nelle mura di cui circondò la città. Completò l'opera di risanamento, oltre che con il prosciugamento delle paludi, con la costruzione di strade, piazze, giardini e fontane. Ampliò e restaurò in più riprese il suo palazzo residenziale, posto appunto in Bagnara, ad opera di Fattore da Suvigo. Si preoccupò inoltre di proteggere la parte vecchia della città dallo spopolamento, compì opere idrauliche relative al Frigido e non man di apportare restauri anche a Carrara. Durante il suo governo fu istituito un Monte di pietà e furono emanati (1574) gli statuti municipali.

I rapporti che il C. ebbe con molti eruditi dei suo tempo non sfuggono alle peculiarità che caratterizzano la storiografia di tipo genealogico dell'epoca, in cui la cieca presunzione dei committenti fu eguagliata solo dalla mancanza di scrupoli di avidi compilatori. Infatti il suo intento di glorificare la famiglia era privo del minimo interesse pe r la verità storica ed egli era uso giudicare il valore di uno studioso soltanto nella misura in cui questi poteva essere utilizzato ai suoi fini. Il C., che si dedicò (pressappoco dal suo ritorno dalla Spagna) a raccogliere e soprattutto a diffondere, con grande costanza e senza risparmio di mezzi, testimonianze, il più delle volte senza fondamento storico, che servissero ad esaltare la gloria e l'antichità della famiglia, aveva, all'interno di questo interesse generale, alcune manie ben determinate. Oltre a quelle di nobilitare i natali del padre e di scagionare la memoria del fratello, cui si è già accennato, egli desiderava ardentemente che il proprio cognome fosse scritto con la "y", anziché con la "i", essendo convinto che esso, data per sicura l'origine greca della famiglia, derivasse dal vocabolo kybos;inoltre egli non aveva dubbi (o comunque giudicava ciò un onore irrinunciabile) che anticamente la sua e quella Tomacelli fossero una medesima famiglia.

Egli fu uno dei primi a cui Alfonso Ceccarelli vendette le sue falsificazioni. Avuto inizio prima del dicembre 1569 il loro rapporto epistolare, il Ceccarelli, nel 1572 terminò il Simolacro dell'ant.ma et nob.ma casa Cybo, dedicato al C. e rimasto manoscritto (oggi conservato nell'Archivio di Stato di Massa). Non avendo potuto reperire gli autori usciti dalla fantasia del Ceccarelli, il C. ottenne dopo molte insistenze di avere le copie notarili dei brani riguardanti i Cibo contenuti nelle opere che il falsario sosteneva di possedere. Finalmente il Ceccarelli, il quale aveva lusingato il C. con altre sue invenzioni assai ben accette, gli vendette un diploma di Ottone I, del 9 dicembre del 962, di una concessione fatta ad un Guido Cibo ed una bolla di Onorio II, che recava la sottoscrizione di un cardinale Ulderico Cibo, ancor freschi d'inchiostro. Pur con qualche sospetto, il C. si mantenne in relazione con il Ceccarelli fino a che questi fu imprigionato e giustiziato, il che non impedì al principe di conservare tutte le preziose reliquie della famiglia fabbricate dal falsario e di cercare di provarne la genuinità.

Nell'Archivio di Massa si conserva anche un Compendio dell'ill.ma et antic.ma famiglia Cybo (1581) di Pietro Boselli e gli Elogidella famiglia Cibo di Domenico Interrano, ambedue rimasti manoscritti. Fu invece stampato a Genova nel 1588 il Dialogo della nobiltà dell'ill.ma famiglia Cybo di Innocenzo Ghisi, che poté per questo aggiungere il cognome del suo protettore al proprio.

Un'opera di convincimento molto intensa mise in atto il C. nei confronti di Camillo Porzio, dopo l'uscita della Congiura de' baroni (Roma 1565). Egli mirava a che, in eventuali successive edizioni dell'opera, che poi vivente l'autore non si fecero, fossero tolte notizie e giudizi, a lui non graditi, sull'avo Innocenzo VIII.

Il C. fu anche in contatto con Scipione Aminirato, a Firenze dal 1569, cui fornì un gran numero di notizie sulla sua famiglia.

Più solerte nel compiacerlo fu Uberto Foglietta, che gli promise di "accomodare" i fatti di Giulio Cibo nella sua Ex universa historia rerum Europae suorum temporum. Coniuratio Ioannis Flisci (Neapoli 1571), dietro compenso di 150 ducati. Per questa cifra il Foglietta si impegnò anche a fare "gran cose" a proposito della famiglia Cibo nei Clarorum Ligurum elogia, che uscirono a Roma nel 1572. Morto lui, il C. trasferì la sua benevolenza nel fratello Paolo, che premise all'editio princeps, da lui curata delle Historiae Genuensium di Uberto, un epigramma in lode dell'autore, attribuito al principe ed aggiunse anche notizie sulla famiglia Cibo.

Tommaso Costo, pubblicando a Venezia nel 1592 un'epitome dell'opera del Platina (Vite di tutti i pontefici... ), non mancò di ovviare alla "soverchia secchezza", con, cui era stata scritta dal Panvinio, continuatore del Platina, la vita di Innocenzo VIII e soprattutto di correggere l'affermazione che definiva quel papa di bassa condizione. Tuttavia il C. non mancò di rimproverargli di aver scritto la vita di Bonifacio IX, che era un Tomacelli, senza sottolineare che quella del papa e dei Cibo erano la medesima famiglia. Il Costo tuttavia, che pure aveva messo a stampa a Napoli nel 1595 nei suoi Ragionamenti... di non ritenere esatta questa identità, nel 1602, dedicando al C. le sue Lettere accettò questo principio, cui questi teneva tanto. Del resto in una lettera del 20 dic. 1601, dopo aver dimostrato con lunghe argomentazioni che il cognome Cibo andava scritto con la "i", il Costo aveva concluso: "tuttavolta, se così sarà grato a v. Ex., da ora innanzi farò come comanderà e in questo e in ogn'altro particolare" (G. Sforza, 1902, pp. 62 s.).

Per il C. scrisse una vita di Innocenzo VIII Francesco Serdonati, che gli consegnò la biografia manoscritta, allegando anche la minuta autografa. L'opera fu però data alle stampe a Venezia nel 1613 (Historia delle vite de sommi pontefici Innocenzo ottavo, Bonifazio nono ... )sotto il nome di Francesco Maria Vialardi, cui il principe aveva consegnato tutto il materiale del Serdonati, del quale nell'edizione non fu fatta menzione alcuna.

Un assiduo collaboratore del C., non del tutto sprovveduto in campo bibliografico ed erudito (G. Sforza, Un genealogista dei principi Cybo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXVII [1895], pp. 229-46), fu un suo lontano parente, Francesco Maria Cibo di David, dei cui consigli e ricerche il C. si avvalse sino a quando il genealogista non morì a Genova il 3 apr. 1575.

Dedicarono al C. loro opere o trattarono di lui Francesco Sansovino, Giovanni Michele Bruto, Girolamo Borro, Filippo Ghisi, Ludovico Domenichi, Paolo Manuzio, Vincenzo Toralto d'Aragona, Danese Cattaneo, Giovanni Cibo Recco e Bernardo Tasso. Fu in relazione con Agostino Superbi, Bartolomeo Zucchi, Gregorio Lombardelli, Giuseppe Betussi, Antonio Roccatagliata, Aldo Manuzio, cui legittimò un figlio, Giacomo Mauro, Giovanni Giudizi, Francesco Zazzera, Tommaso Porcacchi, Angelo Grillo, Girolamo Ruscelli e Raffaello Roncioni, che non riuscì a convincere dell'esistenza di un Lamberto Cibo liberatore della Capraia e della Gorgona dai Turchi nel sec. XI.

Il C. fu indicato come autore dell'epigramma in onore di Uberto Foglietta, già citato, di un altro in lode di Francesco De Petris, che lo premise ai suoi Festivarum lectionum libri III, pubblicati a Napoli nel 1622, e di quattro sonetti editi in Scelta di rime di diversi moderni autori non più stampate (Genova 1591, pp. 5 s.). Pertanto fu compreso in vecchi repertori di scrittori liguri, ma si dubita fortemente che egli sia veramente stato l'autpre dei componimenti poetici citati.

Fonti e Bibl.: V. Forcella, Iscriz. delle chiese... di Roma, VI, Roma 1875, p. 146; G. Sforza, Cronache di Massa di Lunigiana, Lucca 1882, ad Ind.;Id., La vita del popolo di Massa, in Mon. di storia patria delle prov. modenesi, III(1893), 2, pp. 74-135; Cronachetta massese del secolo XVI ora per la prima volta stampata, a cura di G. Sforza, in Giornale stor. e lett. della Liguria, III (1902), pp. 44-61; L. Staffetti, Illibro di ricordi della famiglia Cybo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXVIII(1908), pp. 3, 17-69, 75-82, 85-95, 121 ss.; E. Lasinio. Regesto delle pergamene del R. Archivio di Stato di Massa, Pistoia 1916, pp. 219-242; Inv. sommario dell'Arch. di Stato di Massa, a cura di R. Mori, Roma 1952, pp. 7, 9, 13 ss., 19, 26-29; G. Tiraboschi, Riflessioni su gli scrittori genealogici, Padova 1789, pp. 13-36; G. Viani, Mem. della famiglia. Cybo..., Pisa 1808, pp. 32-40, 108-23, 156-207; L. Staffetti, G. Cybo Malaspina..., in Atti e mem. d. R. Deput. di storia patria per le prov. moden., s. 4, I (1892), pp. 132, 134, 136; G. Sforza, Lo storico C. Porzio e A. I Cybo M. ..., in Arch.. stor. ital., s. 5, XII (1893), pp. 149-57; Id., Ilfalsario A. Ciccarelli e A. Cybo M. ..., ibid., XV(1895), pp. 276-87; Id., Una letter; inedita del p. Angelo Grillo, in Giornale ligustico di arch., storia e lett., XXI(1896), pp. 267-71; Id., S. Ammirato e A. I Cybo M. ..., in Archivio storico italiano, s. 5, XVIII(1896), pp. 105-14; Id., F. Sansovino, in Memorie della R. Acc. delle scienze di Torino, s. 2, XLVII (1897), pp. 41 ss.; Id., A. I C. M. e T. Costo, in Archivio storico italiano, s. 5, XXIX(1902), pp. 45-63; L. Staffetti, Una sposa principesca del Cinquecento, Massa 1902, pp. 5-24, 26 ss., 33-36, 41-84; G.Sforza, Le relazioni di A. I C. ... con l'Algeria, in Giorn. stor. e lett. della Liguria, IV (1903), pp. 139-56; Id., Lo stor. R. Roncioni e A. C. M. ..., ibid., V(1904), pp. 17-22; Id., A. Cybo M. ..., in Scritti varii di erud. e di critica in onore di R. Renier, Torino 1912, pp. 1071-1102; B. Cherubini, Testimonianze del soggiorno a Pagni di Lucca, in Giornale stor. della Lunigiana, n. 5, XV(1964), pp. 114-17.

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