ALBERICO da Rosate

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ALBERICO da Rosate

Luigi Prosdocimi

Nacque nell'attuale Rosciate (fraz. di Scanzorosciate), nelle immediate vicinanze di Bergamo, attorno al 1290 da famiglia di giudici e notai, e compì gli studi giuridici nello Studio padovano, avendo per maestri Oldrado da Ponte, lodigiano, e Riccardo Malombra, cremonese. Di ritorno a Bergamo nel secondo decennio del '300, oltre che alla professione forense dedicò il suo tempo alla vita pubblica cittadina e agli studi, mentre non sembra che mai e in nessun luogo abbia esercitato espressamente l'insegnamento. Fu rappresentante della sua città nell'atto di dedizione di essa a Giovanni di Boemia, indi riformatore degli statuti bergamaschi in senso favorevole alla signoria nel 1331, essendo signore lo stesso Giovanni, e nel 1333, con Azzone Visconti. Svolse poi, per incarico di Azzone nel 1335, una prima ambasceria presso Benedetto XII in Avignone al fine di ottenere la revoca della scomunica. Altre due successive ambascerie compì, sempre alla corte avignonese, nel 1337-38 e nel 1340-41, per mandato di Luchino e Giovanni Visconti, pure irretiti da censura, e da parte della città di Bergamo, colpita da interdetto. Pellegrino a Roma con la famiglia nell'anno giubilare 1350, morì in patria il 14 sett. 1360: tale data sposta la sua morte di sei anni rispetto all'opinione tradizionale.

Nel campo giuridico, va distinta la sua attività di studioso del diritto statutario, che precede cronologicamente, da quella di commentatore del Digesto e del Codice giustinianeo e di compilatore di un Dictionarium iuris. Per quanto riguarda il diritto statutario egli si pone con le sue Quaestiones statutorum, che furono poi comunemente chiamate Opus statutorum, come il punto di arrivo e di conclusione di un ciclo di trattazioni in tale materia avente il suo inizio alla fine del '200, con le Quaestiones di Alberto Gandino da Crema.

In tali Quaestiones, che affrontavano l'immensa casistica offerta dalla legislazione statutaria e dalla sua applicazione nella tumultuosa vita politica dell'Italia di allora, venivano posti e risolti, in modo solo apparentemente frammentario, i problemi del nuovo diritto che gli ordinamenti particolari mettevano in essere secondo le proprie esigenze: validità degli statuti e rapporti tra essi e il vecchio diritto romano-giustinianeo che continuava ad essere, col diritto canonico, il ius commune dei popoli d'Europa che avevano accolta l'eredità del mondo antico; rapporti e conflitti tra le norme dei vari ordinamenti particolari, sì che in tali quaestiones venne a trovare la sua prima elaborazione dottrinale il moderno diritto internazionale privato. Si compiva dunque da parte di questi giuristi, dalle tendenze eminentemente pratiche e dall'acuta sensibilità delle esigenze del loro tempo, un grande sforzo per mettere ordine e dare sistematicità ad una materia, la "dottrina degli statuti", che rappresenta quanto di più vivo la realtà politica e giuridica dell'Italia andava proponendo tra la fine del Medioevo e l'inizio dell'età moderna. In questo campo A., detto dai contemporanei e dai posteri il "summus practicus", è il trattatista più completo e informato.

I grandi Commentaria al Digesto e al Codice, composti nell'ultima parte della sua vita, costituiscono una delle più complete fonti d'informazione per le opinioni e le teorie sostenute, dalla Glossa accursiana in poi, dai giuristi italiani e - tramite Cino da Pistoia - dai due maggiori maestri della scuola di Orléans, Jacques de Révigny e Pierre de Belleperche.

La scuola dei commentatori trova in A., se non uno dei massimi esponenti, quali furono Cino, Bartolo e Baldo, un valido conciliatore della tendenza concettuale, influenzata dai metodi scolastici di provenienza francese, e dell'indirizzo pratico assai più conforme alla tradizione e allo spirito italiani; è, per alcuni giuristi, le cui opere non ci furono tramandate, l'unica testimonianza delle loro dottrine, che vengono da A. fedelmente riferite. Uno sviluppo insolito - e ciò permette che si affacci con una certa fondatezza un giudizio positivo, oltre tutto, anche sulla originalità d'impostazione delle sue trattazioni - è dato, nei due commentari in esame, alla dottrina delle fonti del diritto, e specialmente alla teoria della consuetudine. Particolarmente importante è, poi, la parte del Commentario al Digesto relativa al titolo De regulis iuris (D. 50, 17), per la quale A. mise ampiamente a profitto il corrispettivo De regulis iuris del Liber Sextus di Bonifacio VIII; essa venne stampata anche separatamente dal resto del commentario.

Il Dictionarium iuris, che risulta formato dalla fusione, posteriormente avvenuta, di due copiosissime serie alfabetiche, l'una per il diritto civile e l'altra per il canonico, rappresenta il primo grande tentativo lessicografico in campo giuridico, anche se, nella grandiosa compilazione, l'intento viene ad essere spesso disturbato da divagazioni di carattere erudito e anche autobiografico e soppraffatto da sovrabbondanti citazioni di fonti e autori.

L'opera non giuridica per la quale A. da R. è particolarmente conosciuto è la versione latina, tuttora medita (mss. a Milano, Biblioteca Ambrosiana, e a Bergamo, Biblioteca Civica, cod. Grumelli), del commento in volgare alla Divina Commedia del bolognese lacopo della Lana. A., nel tradurre, spesso parafrasa e rifà il testo, dando vita ad un commento originale. Gli furono attribuiti trattatelli De accen tu, De aspiratione, De orthographia.

Bibl.: A. Salvioni, Intorno ad A. da Rosciate, con alcune notizie relative a Dante, Bergamo 1842 (con elenco delle opere di A. a pp. 51-53); F. C. von Savigny, Storia del diritto romano nel Medio Evo, trad.. E. Bollati, II, Torino 1857, pp. 625-629; J. F. Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts, II, Graz 1877, pp. 245-246;A. Fiammazzo, Il commento dantesco di A. da Rosciate, Bergamo 1895; C. Capasso, La signoria viscontea e la lotta politico-religiosa con il papato nella prima metà del sec. XIV, in Bollett. d. Soc. Pavese di storia patria, VIII (1908), pp. 265 ss.; Id., La signoria di Giovanni di Boemia a Bergamo e lo statuto del 1331, in Bollett. d. Civica Biblioteca di Bergamo, XX (1926), pp. 43 ss.; articoli di F. Colleoni e C. De Martino in Riv. di Bergamo, VI (1927), p. 5; XI (1932), pp. 511ss.; D. Calvi, Rosciate e il suo Alberico, Bergamo 1940; G. Cremaschi, Contributo alla biografia di A. da Rosciate, in Bergomum, L (1956), pp. 1 ss. Sull'opera giuridica di A. da R. cfr. in particolare A. Solmi, Alberto da Gandino e il diritto statutario del sec. XIII, in Contributi alla storia del diritto comune, Roma 1937, pp. 342, 383-384; L. Prosdocimi, A. da R. e la giurisprudenza italiana del sec. XIV, in Riv. di Storia del diritto italiano, XXIX (1956), pp. 67 ss.

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