ALBIGESI

Enciclopedia Italiana (1929)

ALBIGESI

Pio Paschini

Con questo nome sono designati comunemente, dalla città di Albi, gruppi di eretici, affini ai catari, del mezzodì della Francia; sebbene più esattamente si sarebbero dovuti designare dalla città di Tolosa, dove erano più numerosi e potenti. Come i catari, gli albigesi ammettevano la teoria, d'origine manichea, dell'opposizione tra due principî, il bene e il male, esistenti fin dall'inizio. Negavano la divinità e l'umanità di Cristo, attribuendogli una natura angelica, operante con un corpo apparente e l'ufficio non di vero redentore, ma semplicemente di maestro. Ripudiavano l'Antico Testamento, come i marcioniti ed i manichei, attribuendo la creazione del mondo a un essere malvagio, e odiavano la chiesa cattolica, come semplice continuazione della sinagoga e perché corrottasi con la donazione di Costantino; ad essa volevano sostituita la loro setta. Questa era composta di una doppia classe di persone: i perfetti e i semplici credenti. I primi erano coloro che compiuta l'iniziazione (consolamentum), erano obbligati alla rigida disciplina della setta; i secondi erano coloro che, pur aderendo ai perfetti e sentendosi obbligati a onorarli e a provvedere ai loro bisogni, differivano l'iniziazione: dovevano però compierla prima di morire. Quanto alla morale, in conseguenza di un dualismo antropologico parallelo alle loro dottrine cosmologiche, poiché la materia (ossia il corpo) era per essi essenzialmente malvagia, l'anima poteva trovare il suo bene solo nello sciogliersi del corpo. Di qui l'ascetismo degli albigesi, che si lasciavano anche morir di fame (endura) per ottenere questa liberazione; ritenevano che, nel corpo, l'anima non potesse fare il bene; e condannavano anche il lavoro, il possedere beni terreni, il guerreggiare, il gustare carne d'animali, come azioni spregevoli. Ancor più deprecabile era per essi, come per i manichei, l'atto coniugale, anche nelle forme lecite secondo la morale comune e il diritto; giacché, precisamente in quanto era rivolto alla propagazione della specie, esso perpetuava la prigionia degli elementi spirituali e buoni (le anime) nella materia essenzialmente malvagia (i corpi). Perciò i perfetti si ritenevano obbligati alla continenza rigida, al digiuno, alla contemplazione; non si cibavano che d'olio, di pesce, d'erbe, di farina, di miele. A tutto ciò non erano tenuti i semplici credenti, ai quali però, secondo fonti a loro avverse, i perfetti permettevano la vita scostumata in odio alla vita matrimoniale. Coloro i quali non riuscivano in questa vita a mondarsi, dovevano compiere la loro purificazione attraverso altri corpi ed altre esistenze (metempsicosi). Il Nuovo Testamento era accettato, ma commentato sempre in senso contrario alla tradizione cattolica; era tradotto da essi in volgare (se ne conoscono varie forme in provenzale, da cui dipendono, o almeno presentano con il loro testo singolari affinità, le altre versioni in lingue romanze: cfr. S. Berger, in Romania, XXIII (1894), p. 358 segg.; XIX (1890), p. 535 segg.; S. Minocchi e E. Mangenot, in F. Vigouroux, Dictionnaire de la Bible, III, 1, col. 1012 segg. e V, 1, col. 773 segg.). Oltre il consolamentum, che obbligava alla piena osservanza della morale catara e che veniva conferito, dopo un digiuno di tre giorni e altre penitenze, mediante l'imposizione delle mani e l'orazione domenicale, v'erano altri riti: il melioramentum, un omaggio speciale che i credenti rendevano ai perfetti nelle adunanze, e l'apparelhamentum, confessione pubblica e generica dei peccati in una funzione mensile accompaganata da penitenze e dal bacio di pace. Naturalmente il culto dei santi e delle immagini, la pietà verso i morti e i sepolcri erano un abominio; proibito il giuramento (perché Dio, posto in un'altezza impenetrabile, non può essere mescolato alle questioni terrene), negato all'autorità il diritto di condannare a morte i rei e di far la guerra, anche se necessaria. In fondo (mentre si accusava la Chiesa d'aver tralignato, col distinguere una varietà di obblighi religiosi e con il possesso di beni terreni) si riconosceva una società civile distinta dalla comunità dei perfetti. Queste erano rette da capi, nominati sempre dai perfetti, che si chiamavano vescovi, assistiti ciascuno da due vicari e dai diaconi; di un capo supremo non si ha sicuro cenno nei documenti. La propaganda attiva che conducevano i perfetti, passando di paese in paese, scagliandosi soprattutto contro la vita rilassata dei fedeli e dei chierici, i loro costumi austeri, il loro disinteresse personale, acquistarono agli albigesi largo credito. Poiché i perfetti erano necessariamente pochi, e difficilmente il loro numero poteva crescere dato il tenore di vita che erano obbligati ad osservare, ebbero cura di preparare futuri perfetti, educando bambini e bambine, tolti per lo più ai cattolici, per renderli atti alla propaganda; e poiché anche le donne ricevevano il consolamentum, affinché vi si preparassero si istituirono per loro dei luoghi di ritiro, a modo di monasteri. Furono sempre di un'intolleranza feroce contro la chiesa cattolica; con i cattolici era vietata, per quanto fosse possibile, ogni relazione, salvo che non fosse diretta a convertirli; anche la violenza si poteva usare, quando v'era speranza che riuscisse. Mentre la Francia centrale e settentrionale fu poco inquinata dall'eresia, questa si diffuse invece largamente in tutta la Francia meridionale dalle Alpi ai Pirenei, sino dal sec. XI. Ai gruppi francesi fanno riscontro, nello stesso torno di tempo, quelli italiani (catari di Bagnolo e di Concorrezzo, patarini, ecc.) e altri sparsi un poco per tutta l'Europa (bogomili, ecc.); la loro discendenza dai manichei non è del tutto chiara, benchè la somiglianza delle dottrine sia assai grande. Nella prima metà del secolo seguente, S. Bernardo lamentava i guasti che l'eresia aveva prodotti. Si può dire che in alcuni luoghi, come nell'alta Linguadoca, quasi tutta la nobiltà era favorevole all'eresia, e questa esercitava tanta influenza, che i perfetti furono talora scelti come arbitri nelle questioni dei signori. Questa influenza, e con essa il largo diffondersi della setta, sono dovute a cause molteplici. L'autorità del potere sovrano era ridotta quasi a nulla nel paese, che era diviso in grandi signorie ecclesiastiche e laiche, le quali rivaleggiavano fra loro per il predominio. Quasi dappertutto i signori laici cercavano d'ingrandirsi a danno delle signorie e dei possessi della Chiesa; e la dottrina albigese, per la quale la Chiesa non aveva alcun diritto di possedere, anzi piaceva a Dio che la si spogliasse, corrispondeva alle ambizioni della nobiltà. Anche fra le umili popolazioni dei campi e delle città l'attività molteplice dei perfetti aveva però trovato molto larga aderenza; la rilassatezza dei costumi di buona parte, almeno, del clero cattolico, aiutava naturalmente il diffondersi dell'eresia, che del resto era talvolta penetrata anche nei monasteri. Il male apparve tanto grave e l'audacia aperta degli eretici aveva raggiunto tal punto di prepotenza contro i cattolici, ch'era necessario un intervento che venisse dal di fuori per porvi rimedio; e vi pensò, dopo le condanne di Alessandro III (1179) e del concilio di Verona (1184), Innocenzo III. Nei primi anni del suo pontificato questo papa si mostrò contrario a usare mezzi violenti contro gli eretici della contea di Tolosa e delle signorie circostanti, dicendo di preferire la conversione dei peccatori al loro sterminio. Tentò perciò di ricondurli alla verità con le missioni che affidò ai monaci cisterciensi Rinieri e Guido nel 1198, a Giovanni cardinale di S. Paolo nel 1200, a Pietro di Castelnau monaco dell'abbazia di Fontfroide presso Narbona e a Raoul canonico di Narbona nel 1203; ai quali aggiunse ben presto anche Arnaldo, abate di Cîteaux, rivestito dell'autorità di legato apostolico. Il papa concesse a questi suoi inviati così ampî poteri di predicare e di punire i chierici negligenti o sospetti di connivenza con gli eretici, che sembrò trasferisse in loro la giurisdizione ecclesiastica dei prelati locali. Ma, nonostante l'attività dei missionarî, le loro predicazioni, le dispute in contraddittorio coi capi degli eretici, il risultato ottenuto non fu molto incoraggiante; essi sollecitarono il papa a provocare l'intervento di Filippo Augusto, re di Francia e alto signore del paese, che si disinteressò del tutto della cosa, e chiesero la deposizione di Berengario, arcivescovo di Narbona; ma questi, appellando a Roma, poté conservare la sua sede sino alla morte (1213). Furono invece allontanati i vescovi di Tolosa, di Viviers, Béziers, Agde (1205). Tuttavia lo stato delle cose non accennava a migliorare di molto. Allora Diego, vescovo di Osma, e Domenico di Guzman, canonico di quella cattedrale, che già nel 1203 avevano potuto rendersi ragione delle difficoltà dell'impresa e avevano aggiunto l'opera loro a quella dei messi pontifici, pensarono che, lasciando ogni lusso e comodità esteriore e vivendo e predicando con umiltà e povertà, la loro missione sarebbe stata più efficace. Ma, nonostante il buon esito di alcuni contraddittorî e le conversioni isolate, nel 1206, i signori della Linguadoca patteggiavano come prima con gli albigesi, lasciavano loro piena libertà d'azione e si facevano iniziare ai loro riti e alle loro dottrine. I cattolici erano insultati, quando si conoscevano poco favorevoli agli eretici, e si vedevano persino togliere con colpi di mano le chiese, che venivano trasformate in sale di convegno eretiche. L'ultimo fatto che fece vedere a Innocenzo III la necessità di usare mezzi energici per salvare il cattolicismo e la civiltà della Francia meridionale, fu l'uccisione di Pietro di Castelnau commessa il 5 gennaio 1208 sul Rodano, dopo un tempestoso abboccamento con Raimondo VI conte di Tolosa. Questo principe s'era mostrato sempre molto favorevole agli eretici; e poiché l'uccisore era stato un suo vassallo, fu accusato il conte stesso come complice, e perciò scomunicato e obbligato a fare pubblica penitenza, finché fu assolto il 18 giugno 1209. Frattanto Innocenzo III nel marzo 1208 fece predicare la crociata contro gli eretici in tutta la Francia da Arnaldo di Cîteaux e da altri prelati; il re Filippo Augusto non si mosse col pretesto d'inimicizie col re d'Inghilterra e con Ottone IV imperatore, ma Arnaldo riuscì a radunare nel giugno 1209 a Lione un forte esercito di cavalieri e di gente raccogliticcia, e ne fu egli stesso proclamato capo. La prima grossa impresa fu la conquista di Béziers il 22 luglio; Narbona non tentò neppure di resistere, e accettò tutte le condizioni imposte dal legato, e con essa caddero pure numerose fortezze; il 15 agosto anche Carcassona dovette capitolare, e Raimondo Ruggero, che ne era visconte, morì in prigione il 10 novembre; Raimondo di Tolosa, in grazia della sua penitenza, riescì a sfuggire ad ogni punizione. Vinte così a prezzo di molto sangue le resistenze eretiche, la crociata dovette considerarsi virtualmente finita; ma ormai i cavalieri settentrionali pensarono che fosse necessario sostituire la nobiltà del mezzogiorno, e che essi dovessero prenderne il posto nei possessi e nei feudi. Il 16 agosto fu creato visconte di Carcassona e Béziers Simone di Montfort che divenne perciò capo dei crociati. Questi era stato privato dei suoi dominî inglesi dal re Giovanni Senza Terra, allora scomunicato, e cognato di Raimondo di Tolosa. La guerra continuò quindi con alterna vicenda, specialmente contro Raimondo di Tolosa, mentre Simone distribuiva fra i suoi fedeli i feudi che si conquistavano. Anche la gerarchia ecclesiastica fu in parte rinnovata, e l'abbate Arnaldo divenne arcivescovo di Tolosa (1212); mentre Folco, l'antico trovatore diventato cisterciense, poi vescovo di Tolosa dal 1206, con sì grande fervore lottò contro l'eresia, che Innocenzo III fu persino costretto a moderare l'ardore suo e dei suoi nuovi colleghi. Anche nel campo feudale nuove costituzioni furono introdotte (costumanze di Pamiers) per regolare i rapporti fra nobiltà laica, prelati e vassalli. Simone avrebbe voluto conquistarsi anche la contea di Tolosa, ma il papa non lo secondò in questo disegno; per lui l'impresa era terminata col 1212, e, se continuò, fu contro i suoi suggerimenti. Simone vinse il 12 settembre 1213 la dura battaglia di Muret contro Raimondo, nella quale cadde Pietro d'Aragona cognato e sostenitore risoluto di Raimondo: la campagna aveva preso ormai il carattere di conquista personale. La lotta contro l'eresia invece veniva condotta innanzi con forme strettamente ecclesiastiche. Il quarto concilio lateranense del 1215 condannò gli albigesi, cioè i perfetti, che, in conseguenza della condanna canonica, dovevano essere pure puniti dall'autorità civile; in questa condanna erano anche coinvolti i loro ricettatori, difensori e fautori, cioè, con minori pene, i semplici credenti, quando non avessero sinceramente abiurato. Guido di Montfort, che rappresentava al concilio il padre Simone, e alcuni prelati avrebbero voluto che fra costoro fosse senza altro compreso Raimondo di Tolosa; ma questi difese personalmente la sua causa; e Innocenzo III obbligò Simone a farsi dare dal re di Francia l'investitura dei feudi conquistati e a riconoscere così la sua sovranità, e volle che fosse salva la potenza di Raimondo, il quale riuscì poi a prendere il sopravvento. Simone rimase ucciso il 25 giugno 1218 nell'assedio di Tolosa; il re di Francia intervenne; Raimondo VI di Tolosa morì nel 1222; e la questione dei feudi del devastato mezzodì della Francia fu definita col trattato di Meaux del 1229, a vantaggio della monarchia francese, stroncando la florida vita autonoma della regione. La lotta contro l'eresia terminava così con un atto di carattere nettamente politico.

Quando i pontefici Gregorio IX e Innocenzo IV organizzarono li tribunale dell'Inquisizione, che fu subito istituito nella Francia, la lotta contro l'eresia fu affidata ad esso e condotta secondo le forme legali con molta energia; e con questo mezzo a mano a mano l'eresia stessa fu tolta di mezzo. Molti eretici del resto preferirono emigrare soprattutto nell'Italia settentrionale, dove i loro correligionarî erano numerosi.

Bibl.: Sulle origini, anche, De Stoop, Essai sur la diffusion du manichéisme dans l'empire romain, Gand 1909; J. Guiraud, in Dictionnaire d'Histoire et de Géographie ecclés., Parigi 1912, I, col. 1619 segg.; Hefele-Leclerq, Hist. des Conciles, V, p. 1187 segg., 1260 segg.; C. Schmidt, Histoire et doctrine de la secte des Cathares ou Albigeois, Parigi 1849, voll. 2; C. Douais, Les Albigeois, Parigi 1879; F. Tocco, L'eresia nel Medioevo, Firenze 1884, p. 73 sgg.; I. Doellinger, Beiträge zur Sektengeschichte des M. A., Monaco 1890, voll. 2 (cfr. K. Müller, in Theolog. Literaturzeitung, 1890, p. 353 segg.); J. Guiraud, Cartulaire de Notre-Dame de Prouille. Recueil de textes, précédé d'une étude sur l'albigéisme, ecc., Parigi 1907; A. Luchaire, Innocent III. La croisade des Albigeois, Parigi 1905; C. Douais, L'Église et la Croisade contre les Albigeois, in Annales du Midi, 1890; II; S. Bass Mullinger, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, I, Edimburgo 1908, p. 277 segg.

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Quarto concilio lateranense

Donazione di costantino

Raimondo vi di tolosa

Giovanni senza terra

Pietro di castelnau