ALCUINO di York

Enciclopedia Italiana (1929)

ALCUINO di York (Aicwin)

Filippo ERMINI
Cesare Zamboni

Nacque d'una nobile famiglia anglosassone nel 735, nel regno di Northumbria, e ancora fanciullo fu inviato alla scuola di York, allora di gran nome per la saggia direzione dell'arcivescovo e per l'insegnamento di colti maestri. In quell'asilo di religione e di sapere trascorse la giovinezza, segnalandosi per un vivissimo amore agli studî e ai libri. La poesia dapprima lo allettò, tanto che, quando aveva appena quindici anni, gli fu rimproverato di preferire la lettura di Virgilio a quella dei Salmi. Affidato alle cure di Egberto, l'arcivescovo già alunno di Beda, che seguiva nell'insegnamento delle sette arti liberali la tradizione romana, fece rapidi progressi nella grammatica e nella retorica. Quando poi l'arcivescovo, per darsi tutto all'ufficio ecclesiastico, lasciò la scuola, gli successe Aelberto, un dotto che conosceva, per testimonianza del suo discepolo, fin le eclissi e le stelle erranti. Con lui Alcuino intraprese il primo viaggio a Roma per trovar nuovi libri da arricchirne la biblioteca di York, e nel ritorno conobbe in Francia Carlomagno. Ad Aelberto egli successe nella direzione della scuola, mentre Eanbaldo sostituiva il vecchio maestro nel seggio vescovile. Più tardi, nel 780, ecco di nuovo A. sulla via di Roma per chiedere ad Adriano I il pallio per il suo arcivescovo; e in quell'occasione in Parma s'incontrò un'altra volta col re Carlo, che l'invitò a stabilire la sua dimora in Francia. Con l'assenso del re Etelredo vi giunse sulla fine del 781 e, per non privare de' migliori maestri la scuola di York, condusse seco soltanto Sigolfo, Fridagiso e Witzone, con pochi allievi, con i quali ricostituì nel palazzo di Carlomagno la Schola palatina. Il re, che era assetato di sapere e quasi inquieto nella molteplice operosità politica, militare e intellettuale, trovò in A., spirito riflessivo ed acuto, il vero ordinatore degli studî, che dalla reggia dovevano divulgarsi fra il popolo. Ed egli fu maestro delle sette arti liberali a Carlo, ai figli e alle figlie di lui, ai nobili e ai forestieri che accorrevano alla scuola. Fu quello il vero momento della sua gloria, perché egli vi si rivelò non solamente incomparabile insegnante, ma innovatore geniale; e i discepoli numerosi ne uscirono sì colti, da occupare i più alti uffici dello stato. Alcuino non era un grammatico pedantesco, anzi da vero anglosassone congiungeva il rigore didattico, spesso d'un'inflessibilità quasi monotona, con la facezia fiorita e con l'arguzia elegante, di che rallegrava la mensa di Carlo. Ma nel 790, tornato da un breve soggiorno in Inghilterra, ove si era recato con una missione per il re Offa di Mercia, desiderò di allontanarsi dalla vita agitata della corte, e si ritirò nel monastero di Tours, di cui divenne abate. Carlo tuttavia non poteva dimenticarlo: gli spediva di continuo lettere, messi e doni; gli chiedeva consigli e gli proponeva dubbî da risolvere, e soprattutto desiderava notizie della sua vita in Tours, dove egli aveva istituito una nuova scuola, una scuola modello, simile a quella di York. Così il monaco continuò infaticabilmente nell'opera intrapresa fin dalla giovinezza, gettando con lo stesso entusiasmo, con la stessa viva energia d'un tempo i semi del sapere, fino alla vecchiezza, fino alla morte, che lo colse a mezzo del suo lavoro, il 19 maggio 804.

L'influenza spirituale di A. fu immensa: con i poemi, con i carmî, con gli epigrammi, con i trattati, con le lettere, con una copiosa serie di scritti varî e col fecondo insegnamento orale egli fu il maestro di due generazioni e impresse nella scuola e nella scienza, rispetto al metodo, un'orma incancellabile.

Dei suoi poemi il primo, sui re e sui santi di York, De regibus et sanctis Eboracensis Ecclesiae, in 157 agili esametri di dolce risonanza virgiliana, è ispirato all'amore del suo paese; e l'altro De clade Lindisfarnensis monasterii narra, a rapidi tocchi, il saccheggio della chiesa di San Gutberto per mano dei Normanni nel 793; né sono meno notevoli i carmi (come quelli che hanno per titolo De sancta Cruce, Ad Samuhelem Senonensis civitatis episcopum), le ecloghe, le favole e gli epigrammi che ci restano in numero di circa un centinaio e che spesso erano da lui prodigati agli amici senza risparmio. Importanti sono anche i trattati De grammatica, De rhetorica, De dialectica, cui vanno connessi il De orthographia, le Exceptiones super Priscianum, le Propositiones ad acuendos iuvenes e la famosa Disputatio Pipini cum Albino scholastico, manuali di lettura e di studio, che formano una mirabile collana di libri didattici, dettati con sicuro disegno e con un unico criterio. Di speciale valore sono gli scritti di musica, di matematica e d'astronomia.

Oltre ai manuali, giovò a integrare la diffusione della cultura la sua corrispondenza, con una serie copiosa di lettere, spedite così a Carlo, ad Arnone, a Leidrado e a Teodulfo, grandi banditori del sapere, come a vescovi, a monaci, a giovani lontani per chiarire, risolvere, proporre. Il grande maestro diresse con mano ferma tutta l'istituzione scolastica del vasto impero, e contribuì con l'azione e con gli scritti alla rinascita di quella letteratura latina, che era stato l'alto, mirabile disegno del suo regale discepolo.

Alcuino, che dai contemporanei fu definito poeta melodus (Theodulph., Carm. 131), ha notevole importanza anche nella storia della musica. Scrisse infatti per la Scuola palatina di Carlomagno un trattato De Musica, probabilmente frammento di opera più vasta, nel quale si dànno notizie circa l'adozione in Occidente degli otto toni musicali (4 autentici e 4 plagali: protus, deuterus, tritus e tetartus o, come egli scrive, tetrarchius), sulla lettura ritmica dei neumi e sulla composizione dei testi liturgici. Il trattato è conservato a Vienna.

Edizioni: La prima edizione completa delle opere è curata dal Froben, Ratisbona 1777; ed. più recenti sono in Migne, Patrol. lat., C-CI; in E. Dümmler, Poetae lat. aev. car., I, pp. 169-351.

Bibl.: A. Ebert, Allgemeine Gesch. der Liter. des Mittelalters im Abendlande, Lipsia 1880-1889, II, ii, pp. 12-35; M. Manitius, Gesch. der latein. Literat. des Mittelalters, I, Monaco 1911; Ambros, Gesch. d. Musik, Lipsia 1862-78, II, cap. Die Zeit der Karolinger; M. Gerbert, De Cantu et musica sacra, 1774; cfr. anche gli scritti speciali di Gevaert, P. Wagner e J. Wolf.

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