FABRIZI, Aldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

FABRIZI, Aldo

Sisto Sallusti

Nacque a Roma il 1º nov. 1905 da Giuseppe e da Angela Petrucci, fruttivendoli in Campo de' fiori. All'indomani dell'improvvisa morte del padre, rinunciò a frequentare la quinta elementare, turbato dal comportamento del maestro, insensibile al suo lutto. Esposto ai disagi di una vita di ristrettezze, ribelle alle costrizioni, ma soprattutto al soprusi, fu meccanico, decoratore, guardiano notturno; suggestionato dalla lettura dei sonetti belliani che, secondo lui, esprimevano "l'anima del popolo", scrisse monologhi e poesie in dialetto romanesco che presentò a Trilussa (C. A. Salustri) ricevendone incoraggiamento a proseguire.

Presero così forma personaggi della Roma popolare e piccolo borghese, a partire da quello del carrettiere, del vetturino, aggiornato in tranviere e in tassista, e del portiere, nobilitato in usciere, piccolo faccendiere e pettegoliere di palazzo, e maturarono le macchiette, a botta e risposta, rapide e incalzanti, in cui di norma un personaggio racconta, insiste, s'indigna perché l'interlocutore non capisce o lo prende alla leggera.Dopo le esibizioni tra amici esordì al Corso cinema nel 1931, nello spettacolo di varietà abbinato a un film, con le macchiette da lui scritte Bruneri o cannella? e Nel Duemila; il successo in coppia fissa con Beatrice Rocchi, in arte Reginella, fu quasi immediato: i due si sposarono nel 1932 e presto ella abbandonò il palcoscenico per dedicarsi ai due figli gemelli Massimo e Wilma. Gli anni Trenta lo videro vedette nei cinema-varietà rionali e di quartiere, mentre arricchiva il repertorio con sapide notazioni di costume (sempre aliene da posizioni di carattere politico) sulla famiglia italiana che sbarca il lunario sotto la guida di un padre burbero e previdente. Nel 1942 seguì il debutto cinematografico con Avanti c'è posto di M. Bonnard, su soggetto suo, di C. Zavattini e P. Tellini e sceneggiatura sua, del Bonnard e del Tellini.

L'esile trama fece affermare a G. Bevilacqua che era "nato da noi il film vernacolo" col suo mondo di personaggi semplici e schivi che nutrono affetti probi e disinteressati; D. Calcagno apprezzò la genuinità e l'argutezza dell'interprete che infuse una vena di malinconia nel personaggio del bigliettaio Cesare temperando le vivaci ma anche tenere battute comiche.

Era nato un personaggio cinematografico congeniale al pubblico del tempo di guerra che si distraeva, commuovendosi e moderatamente divertendosi, dalla tragedia incombente dell'invasione e della guerra civile. Il film che seguì, nel 1943, Campo de' Fiori, pure del Bonnard, era su adattamento suo, di F. Fellini e del Tellini: il personaggio di Peppino parve risolvere le incongruenze del racconto col sapore delle sue battute specialmente nelle scene del mercato in duetto con A. Magnani. Sempre nello stesso anno L'ultima carrozzella di M. Mattoli, su soggetto suo e sceneggiatura sua e del Fellini, fu salutata come una degna continuazione della maniera belliana e la parte del vetturino Totò come quella che imprimeva l'anima al lavoro dalla prima all'ultima sequenza (nel 1952 R. Rossellini affermerà che il neorealismo si era rivelato prima del suo Roma città aperta in certi film minori come questi tre, in cui la formula si veniva componendo attraverso le spontanee creazioni degli attori, come il F. e la Magnani che spesso improvvisavano). In Circo equestre Za Bum del Mattoli, girato durante l'occupazione tedesca di Roma, fu notato proprio l'ultimo dei quattro quadri interpretato "con delicata emotività" dal F. e da A. Valli.

A liberazione avvenuta, il 14 sett. 1944 al salone Margherita egli affrontò per la prima volta il giudizio del pubblico come autore e attore di prosa: si trattava di Volemose bene (parte del portiere Giovanni) e Hai fatto un affare (parte del camionista Cesare) con la compagnia diretta da M. Mattoli, in cui si rivelarono Ave Ninchi e N. Bruno (nella prima delle due commedie, che furono pubblicate a Roma nello stesso mese, il protagonista sul finire dell'occupazione valuta la realtà esterna sul metro delle miserie e delle paure quotidiane, indulgente e bonario, ma nella seconda, in un quadro di vita minimo-borghese, si prefigura, da osservatore scaltro e attento, un avvenire di speculatore edile).

Con qualche esagerazione il Corriere di Roma annotò che "quelli che per il teatro della rivista sono in questo momento argomento di superficiale e vieta caricatura, diventano nelle due brevi composizioni... motivi di immediata e vera suggestione drammatica"; sempre al salone Margherita e con la ribattezzata compagnia del Teatro Nostro, il 10 novembre successivo andò in scena Come si dice in inglese, che il pubblico seguì "con un interesse addirittura agonistico" nelle alterne vicende del bene e del male, acclamando "con sano spirito di solidarietà" il trionfo della virtù, vale a dire l'operato di un arricchito e moraleggiante norcino che caccia di casa i rappresentanti del corrotto mondo medio-borghese.

Il 17 genn. 1945 seguirono, sempre nello stesso teatro, gli atti unici Salvo complicazioni, Buon Natale e Poveri noi! ad opera della compagnia del Teatro Nuovo ancora mutata di denominazione (il terzo era "tutto impregnato di un immediato, aggressivo vigor plebeo"). La stessa formazione presentò al Quirino il 13 giugno Tordinona, rappresentata con l'aggiunta di un nuovo quadro e moderato concorso di pubblico fino al 1º luglio successivo ("quattr'ore di popolaresco e sano umorismo" per una storia basata sulla borsa nera). Con questa commedia si chiuse bruscamente la sua breve stagione di autore teatrale, documento linguistico di un cronachismo preciso e risoluto, degno parente del contemporaneo neoverismo. Pare che il F. non fosse del tutto convinto del successo di Tordinona; comunque la proposta del Rossellini di ricoprire la parte del protagonista in Roma città aperta lo aveva distolto fin dall'anno precedente da qualunque altro impegno, costituendo il massimo traguardo delle sue aspirazioni di attore.

Gli spiritosi rapporti con i ragazzi del quartiere, l'umana solidarietà nei confronti dei perseguitati, l'orrore di fronte alla violenza, la serenità di fronte alla morte resero celebre sugli schermi italiani, francesi, statunitensi il personaggio di don Pietro Pellegrini, ispirato a don Giuseppe Morosini e reso corposo anche dall'apporto di numerose gags di situazione inventate da F. Fellini. La prima proiezione al Quirino il 24 sett. 1945 avvenne con qualche dissenso tra il pubblico, del resto compensato dal successo personale del F. evidenziato dai lusinghieri incassi del mese successivo.

La sua attività di attore, confermata da questa prestazione esemplare, proseguì nel 1946 con Mio figlio professore di R. Castellani (parte del bidello che vede coronato il suo più grande desiderio, quello di avere un figlio insegnante), nel 1947 con Vivere in pace di L. Zampa (parte dello zio Tigna, un bonario contadino che si sacrifica per salvare il proprio paese da una rappresaglia nazista), un film calorosamente accolto dal pubblico e dalla critica internazionale e premiato col Nastro d'argento per il miglior soggetto (suo in parte) e con Ildelitto di Giovanni Episcopo di A. Lattuada in cui il F., nella parte del protagonista in titolo, risultava "raffreddato" dalla mano del regista. Nel 1948 esordì nella regia, in Argentina, con Emigrantes, su soggetto e sceneggiatura suoi: in esso indulse al patetismo imponendo situazioni e personaggi melodrammatici (a partire dal suo) senza ingraziarsi il pubblico e deludendo i critici. La vena sentimentale, sapientemente dosata nelle prime caratterizzazioni, riemerse in taluni film successivi (come Vita da cani di Steno e M. Monicelli del 1950 in cui impersonò il capocomico di una modesta compagnia d'avanspettacolo alle prese con le piccole miserie della vita quotidiana).

Il 1950, comunque, fu caratterizzato da due film di opposta cifra stilistica che lo videro turgidamente crudele in Francesco, giullare di Dio del Rossellini come tiranno Nicolaio e spiritoso arricchito in Prima comunione di A. Blasetti come Carlo CarIoni, un egoista che a poco a poco acquista una maggiore coscienza sociale umiliandosi (i passaggi psicologici furono resi con grande bravura). Nel 1951, dopo il padre di famiglia in Parigi è sempre Parigi di L. Emmer, impersonò il brigadiere Bottoni che tallona il ladro Totò in Guardie e ladri di Steno e del Monicelli, un solido personaggio non privo di originali e mordenti annotazioni di costume, e il capotreno dalla doppia vita in Signori, in carrozza! dello Zampa, esilarante nei duetti con P. De Filippo. Nello stesso anno riprese l'attività di regista con La famiglia Passaguai (di cui curò anche la sceneggiatura), con la sua compagna di lavoro più congeniale, la Ninchi, seguita, nel 1952, da La famiglia Passaguai fa fortuna: stavolta gli ingredienti del film comico prevalsero come gags, qui pro quo, lazzi, anche se con un certo controllo (la serie si esaurì con Papà diventa mamma dello stesso anno). Nell'episodio-cornice Ilcarrettino dei libri vecchi di Altri tempi di Blasetti (1953) interpretò un libraio ambulante vecchio e nostalgico con un'adesione puntuale al personaggio.

Dopo una serie di film corrivi e il coinvolgimento nel modesto La voce del silenzio di G. W. Pabst (1953), in cui l'interpretazione del F. fu giudicata negativamente, la ripresa fu segnata dall'episodio Marsina stretta da lui diretto e interpretato con rispetto dell'originale pirandelliano in Questa è la vita, un film collegiale.

I film successivi, in cui recitò con comici di successo quali A. Sordi e P. De Filippo, lo videro ripiegare su un personaggio collaudato, il grasso gioviale e brontolone in abiti di piccolo borghese o in divisa di sottufficiale, spesso ripetitivi.

L'ultima fatica del F. regista fu un prodotto di consumo destinato ai mercati minori, Ilmaestro, in cui impersonava con patetismo l'insegnante Morino (1958). Un evento che lo riportò quasi improvvisamente all'attenzione del pubblico fu la presentazione al teatro Sistina, il 15 dic. 1962, della rivista Rugantino di P. Garinei, S. Giovannini, P. Festa Campanile, M. Franciosa: in essa, nelle vesti pinelliane di Mastro Titta, dette "un'interpretazione eccellente degna del suo nome e del suo passato", contribuendo, per effetto dei dialoghi sapientemente pausati col protagonista N. Manfredi, al largo successo dello spettacolo (ripreso con E. Montesano il 17 dic. 1978 con immutata verve).

Comparve anche alla televisione quale ospite di trasmissioni di intrattenimento (come nella terza puntata dell'originale televisivo di Age e Scarpelli Quel negozio di piazza Navona il 22 maggio 1969, ma i rapporti con questo medium non furono cordiali) e in due film notevoli, La Tosca di L. Magni (1973) in cui impersonò il governatore, e, l'anno successivo, C'eravamo tanto amati di E. Scola in cui dette all'imprenditore Romolo Catenacci tevidenza corposa" e precisi riferimenti psicologici e sociali (si può pensare, come ascendenti, all'arricchito di Prima comunione e al camionista Cesare che fa scialo arrogante della sua fortuna avvenire nel campo dell'edilizia in Hai fatto un affare).

Voltosi alla poesia gastronomica, pubblicò, nel giro di qualche anno, La pastasciutta. Ricette nuove e considerazioni in versi (Milano 1970) e Nonna Minestra. Ricette e considerazioni in versi (ibid. 1974): i sonetti di un nostalgico del passato prossimo, anche politico, in cui questi si sentiva protetto da un potere forte e rassicurante, si dipanano dall'idea che l'uomo di un tempo poteva guardare tranquillamente alla famiglia, al mangiar sano, alle innocenti divagazioni della trattoria e della scampagnata, mentre quello di oggi, travolto dall'ansia di arrivare presto e primo, non sa più godere delle gioie più innocenti, a cominciare da quelle del desco domestico (un preannuncio di questo specifico interesse può essere ravvisato nei consigli di un conducente di tram di origine romana che trasmette alla figlia il suo sapere più autentico, quello occorrente per la preparazione delle tagliatelle, nel film Hanno rubato un tram da lui girato nella "grassa e vera" Bologna nel 1955).

La successiva raccolta Nonno Pane. Ricette e considerazioni in versi (Milano 1980) contiene, nella seconda parte, una specie di congedo spirituale in sonetti umorosi ma tetri in cui televisione, femminismo, politica, progresso tecnologico sono visti con disinganno, se non proprio con acredine, come nello sconsolato Ieri, oggi e domani, dove l'oggi risulta oscuro, precario, pericoloso. Nel 1981 rimase vedovo; nel suo ultimo film, il fantasioso Giovanni senzapensieri dell'esordiente Marco Colli (1986), sdoppiò il suo ultimo se stesso, ancora felicemente, nelle parti del droghiere Armando e del fratello gemello.

Nel 1988 a Villa Madama ricevette il premio David di Donatello alla carriera, insieme con M. Cecchi Gori e F. Rosi. Sofferente di insufficienza cardiaca e respiratoria, le sue condizioni peggiorarono nel 1989 per un'intossicazione da psicofarmaci; ricoverato in una casa di riposo romana, vi spirò il 2 apr. 1990.

Fonti e Bibl.: Film, 19 sett. 1942, 9 genn. 1943; Il Messaggero, 17 dic. 1943, 9 apr. 1944, 3 apr. 1990; Corriere di Roma, 15 settembre, 11 nov. 1944; Giornale del mattino, 18 gennaio, 14 giugno 1945; Sipario, gennaio 1963; Radiocorriere TV, 18-24 maggio 1969; Il Tempo, 7 sett. 1976, 3 apr. 1990; La Stampa, 3 apr. 1990; Corriere della sera, 3 apr. 1990; Il Giorno, 3 apr. 1990; Vedi inoltre F. Savio, Ma l'amore no, Milano 1975, p. 32 e passim; G. Rondolino, R. Rossellini, Torino 1989, p. 75 e passim; Enc. dello spettacolo, IV, coll. 1765 s.; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, Roma 1959, coll. 589 ss.

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