GUCCI, Aldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUCCI, Aldo

Daniela Brignone

Nacque a Firenze il 26 maggio 1905 da Guccio e da Aida Calvelli.

Il padre, distaccandosi dalla fallimentare attività di lavorazione della paglia che la famiglia svolgeva a cavallo del secolo, si era recato giovanissimo all'estero, dove era stato cameriere e facchino, per tornare in patria e infine impiegarsi presso laboratori artigianali di pelletteria. Nel 1921 ritenne che i tempi fossero maturi per avviare una sua attività, che incentrò dapprima sulla commercializzazione di prodotti in pelle di fattura altrui e quindi sulla fabbricazione in proprio e vendita di articoli da viaggio e di selle e finimenti da cavallo. Lo stile dell'equipaggiamento ippico influenzò largamente la produzione successiva e i motivi del morso e della staffa entrarono quindi nel marchio della casa fiorentina.

Il G., primo figlio maschio, dopo aver frequentato un collegio privato, ancora giovanissimo iniziò a lavorare nella ditta paterna, insieme con i fratelli e la sorella Grimalda, facendo la spola in bicicletta tra la bottega di via della Vigna, il laboratorio di via del Parione, la clientela e i fornitori. Crescendo, egli si concentrò principalmente sulla gestione economica della ditta, assumendo un ruolo via via crescente nell'amministrazione, affiancato dai fratelli, che parteciparono all'attività paterna con responsabilità e dedizione diseguali.

Il 22 ag. 1927 il G. sposò Olwen Price, ex cameriera personale di lady Francis Hope. Dal matrimonio nacque l'anno successivo Giorgio, seguito nel 1931 da Paolo e nel 1932 da Roberto.

Nonostante difficoltà transitorie dovute alle oscillazioni del mercato e alla non facile quadratura di tutte le componenti della gestione d'impresa, la ditta Gucci andò radicandosi sempre più a Firenze, consolidando la propria reputazione tra gli esponenti dell'aristocrazia locale e del turismo internazionale d'élite, tanto che, nel corso degli anni Trenta, si trasferì in locali più consoni all'ampliato giro d'affari - il nuovo negozio in via della Vigna Nuova aperto nel 1932 e lo stabilimento produttivo di via Guicciardini attivato nel 1937 -, cui si aggiunse, nel settembre 1938, un negozio a Roma, al numero 21 della centrale e prestigiosa via Condotti. Fu soprattutto il G., ormai trentenne, a premere per l'espansione dell'attività verso la capitale, in costante incremento demografico. Per seguire l'attività del nuovo negozio, il G. si trasferì a Roma con tutta la famiglia.

Nel periodo antecedente lo scoppio della seconda guerra mondiale si delinearono i caratteri fondanti la filosofia d'impresa Gucci, incentrati sull'offerta al cliente di prodotti artigianali di alta qualità e di un servizio di elevato livello. Anche nei momenti di flessione del mercato, una continuità produttiva sembra venisse assicurata alla ditta dalla fornitura di scarpe all'Esercito italiano.

Durante la guerra d'Etiopia (1935-36) l'applicazione - fino al maggio 1936 - di sanzioni economiche all'Italia, le restrizioni nella disciplina delle importazioni di materie prime e semilavorati avevano costretto la ditta Gucci a contenere l'uso del cuoio, sperimentando nel contempo la lavorazione di materiali alternativi.

L'utilizzazione di canapa, lino, iuta, bambù nella fattura di borse, valigie e accessori, fu una via obbligata trasformatasi presto in risorsa - in cui il G. credette da subito - grazie alla capacità creativa espressa nell'utilizzo dei nuovi materiali e al conseguente successo incontrato dai prodotti presso la clientela. Per quanto riguardava la fornitura di cuoio nazionale, poi, la ditta scelse una conceria situata nei pressi di S. Croce a Firenze, specializzata in una particolare lavorazione della pelle, capace di conferirle morbidezza ed elasticità eccezionali: il prodotto così trattato, definito "cuoio grasso", divenne uno degli elementi caratterizzanti la produzione Gucci.

Un anno dopo l'apertura della filiale romana, nel 1939, la ditta individuale Guccio Gucci fu trasformata in società anonima e fu sancito l'ingresso ufficiale in azienda dei fratelli del G., Aldo e Vasco, e del fratellastro Ugo, nato da Aida Calvelli prima del matrimonio con Guccio.

Durante la guerra, i negozi e lo stabilimento produttivo fiorentino risentirono della mancanza di personale, della scarsità di materie prime e del crollo della domanda. Mentre il fratello Vasco dovette assentarsi brevemente dalla sua attività di soprintendente alla produzione per effettuare il servizio militare, il G. riuscì a evitare la partenza per il fronte, presidiando il negozio romano. In effetti, dopo la caduta del fascismo, nella fase più drammatica dell'occupazione tedesca, egli aveva sospeso per un breve periodo l'attività commerciale, trasferendo la famiglia in campagna; le autorità cittadine gli imposero però di riaprire l'esercizio, ancor prima che gli Alleati entrassero a Roma, nel giugno 1944.

Nel periodo dell'occupazione tedesca, la moglie del G., Olwen Price Gucci, si era impegnata in prima persona, con la collaborazione di sacerdoti irlandesi e l'appoggio logistico e finanziario del Vaticano, in totale autonomia dal marito, nel procurare nascondigli e vie di fuga a soldati alleati; tale attività le valse un riconoscimento ufficiale di merito da parte del generale inglese H.R.L. Alexander, comandante delle forze operanti in Italia.

Dopo il giugno 1944 furono proprio i soldati dell'esercito di liberazione, con i loro copiosi acquisti di borse e accessori, a gettare le basi della ripresa della ditta; in questa difficile fase, caratterizzata da una strutturale carenza di materie prime e di liquidità, il negozio romano svolse un ruolo trainante per la ripresa dell'attività societaria. Anche a Firenze, liberata tra il 10 e l'11 ag. 1944, i primi input di rinascita furono determinati dal potere d'acquisto dei liberatori.

La ditta Gucci, riorganizzata in forma di società a responsabilità limitata nel 1945, riprese l'attività produttiva dei tempi di pace. L'uscita definitiva dalla società di Ugo, il quale scambiò il proprio pacchetto azionario con alcune proprietà immobiliari della famiglia, e l'ingresso di Rodolfo, ritiratosi dal mondo del cinema in cui era noto con lo pseudonimo di Maurizio D'Ancora, sancirono il rinsaldarsi del family business, un concetto su cui il G. fondò la propria filosofia imprenditoriale. Nel 1948 Rodolfo entrò nel consiglio d'amministrazione della società.

Il mantenimento di elevati standard qualitativi nella scelta delle materie prime e nella manifattura artigianale conferiva ai prodotti Gucci un'immagine identificativa di lusso ed eleganza che ne fece uno dei primi marchi europei portatori di status symbol.

Il motto "La qualità è ricordata molto più a lungo del prezzo" era riprodotto, per volontà del G., presso tutti i negozi Gucci; il richiamo al mondo dell'equitazione - uno sport ricco di suggestioni aristocratiche - divenne ancor più esplicito nella produzione del dopoguerra: fibbie metalliche a forma di staffa, nastri a strisce rosso e verde o rosso e blu ispirati ai sottopancia dei cavalli, doppie cuciture del tipo usato nella fabbricazione delle selle divennero elementi distintivi dei prodotti Gucci, insieme con una vasta gamma di accessori da cavallo presenti nell'arredo dei negozi.

Agli esercizi di Roma e di Firenze si aggiunsero, nel 1951, quello di Milano in via Monte Napoleone, affidato a Rodolfo, e, nel 1953, quello di New York. Con spiccato senso del marketing e della comunicazione il G. riuscì a stabilire una sorta di immediata associazione fra il nome della sua ditta e l'antica tradizione toscana della manifattura del cuoio, sempre mirando a catalizzare l'attenzione di acquirenti dei ceti più elevati.

Sembra che l'attribuzione delle origini familiari a un ceppo di sellai impiegati presso le corti toscane nel Medioevo - secondo una leggenda particolarmente accreditata presso la clientela internazionale - sia stata il frutto di un eccesso epico in tale direzione.

Accanto all'estrema cura e all'elevata qualità manifatturiera, i prodotti Gucci, come già negli anni Trenta, seppero esprimere creatività e inventiva soprattutto attraverso l'uso di materiali alternativi al cuoio.

Di tale estro furono manifeste espressioni la celebre borsa col manico di bambù, entrata in produzione nel 1947, e gli accessori in pelle di cinghiale maculata e colorata secondo un processo scoperto e seguito personalmente dal G. presso una conceria inglese.

Il salto dimensionale senza precedenti dell'attività manifatturiera e commerciale creata da Guccio trent'anni prima, e da questo ancora esercitata a Firenze, fu comunque legato all'espansione sul mercato internazionale, voluta proprio dal G., incoraggiato, all'inizio degli anni Cinquanta, dalla generale ripresa dei consumi e dei mercati in tutto il mondo occidentale, con particolare riguardo al mercato nordamericano, dove la griffe Gucci godeva di grande reputazione.

Nel viaggio compiuto nel 1953 a New York il G. era accompagnato dai fratelli Vasco e Rodolfo, ma la bibliografia è concorde nell'attribuire a lui il ruolo guida e il merito di aver allargato il mercato nei paesi d'Oltreoceano, grazie anche alla sua particolare propensione ad assumere il rischio d'impresa e la relativa esposizione finanziaria. Un importante veicolo di popolarità a livello internazionale fu, inoltre, il fatto di annoverare tra la clientela i nomi di celebri dive di Hollywood, che avevano scelto Gucci come uno dei simboli inconfutabili del made in Italy di lusso, un tipo di produzione e di mercato cui la ditta si mantenne fedele nonostante la presenza di una classe media emergente disposta ad acquistare prodotti di buona qualità.

Nel 1953, la morte improvvisa del padre del G. segnò un giro di boa nell'attività della società, il cui capitale azionario, dopo la scomparsa anche della madre nel 1955, fu suddiviso in parti uguali tra i tre fratelli maschi. Nell'approccio commerciale con gli Stati Uniti il G. ottenne supporto operativo e finanziario da un avvocato newyorkese, F. Dugan, che divenne suo socio nella ditta costituita in loco, con sede legale presso lo Sherry Netherlands hotel. Assorbito dall'impegno sul fronte americano, il G. trascorse gli anni successivi facendo la spola tra l'Italia e gli Stati Uniti - di cui nel 1972 divenne cittadino - a volte accompagnato dai figli, che entrarono operativamente in azienda e si trattennero anch'essi per lunghi periodi negli Stati Uniti.

A partire dagli anni Sessanta la crescita commerciale della società si fece impetuosa, con l'avvio di nuovi punti vendita a Londra, Parigi, Palm Beach e Beverly Hills. Intorno alla metà del decennio fu evidente che la capacità produttiva dello stabilimento fiorentino di via delle Caldaie non poteva più sostenere le richieste del mercato; nel 1971 fu pertanto avviata la nuova fabbrica di Scandicci, estesa su una superficie di 14.000 mq. Mentre i fratelli Vasco e Rodolfo presidiavano la produzione nello stabilimento fiorentino, affiancati dal figlio del G., Paolo, nel ruolo di stilista, il G. continuò la sua opera in campo internazionale, creando nuovi sbocchi commerciali, con negozi gestiti direttamente o in franchising sui mercati dell'Estremo Oriente, del Canada, del Sudafrica e dell'Australia. Nel frattempo, la produzione Gucci si estendeva dal mondo degli accessori all'abbigliamento, con la presentazione della prima collezione di abiti pratici e sportivi nel 1969. La popolarità del marchio raggiunse allora il suo apice, mantenendo il carattere di status symbol seppur calato, oramai, nella quotidianità del vivere moderno.

Presidente della società e al culmine della notorietà, il G. fu allora definito dal presidente statunitense J.F. Kennedy il "primo ambasciatore italiano presso gli USA"; il quartier generale Gucci a New York, rappresentato da tre negozi sulla Fifth Avenue, era permeato dallo stile autoritario, ma allo stesso tempo carismatico, con cui il G. usava trattare personale dipendente, clientela e fornitori.

Per tutti gli anni Sessanta e Settanta la gestione societaria, minata da crescenti tensioni tra i vari membri della famiglia, in particolare tra i rami discendenti dal G. e dal fratello Rodolfo, mantenne faticosamente un andamento unitario. Ma, nel 1972 - dopo che la proposta del G. di quotare parte della società era stata respinta dai fratelli - questi, convinto dell'importanza di una diversificazione produttiva, volle la costituzione di una nuova società per la produzione di profumi la Gucci Parfums: il conferimento di quote paritetiche di azioni di questa ai figli del G. sancì il loro ingresso ufficiale nella compagine proprietaria. Alla morte del fratello Vasco, avvenuta nel 1974, il G. conferì inoltre ai figli una quota minoritaria della società madre.

Nel 1979, la Gucci Accessories Collection, lanciata dalla Gucci Parfums, provocò un'impennata nel fatturato ma abbassò il livello qualitativo della produzione, favorendo la diffusione di contraffazioni e falsi. Inoltre il sorpasso della Gucci Parfums rispetto al fatturato della società madre provocò l'irrigidimento del fratello del G., Rodolfo, in possesso di una quota minoritaria della società emergente.

Le vicende successive alla ridistribuzione dei pesi societari videro l'emergere ai vertici dell'azienda del secondogenito del G., Paolo, vicepresidente e amministratore delegato della Gucci Shops Inc. e della Gucci Parfums americana, e la sua successiva caduta. Quest'ultimo evento diede avvio a una faida familiare senza esclusioni di colpi, finalizzata alla gestione del potere strategico e finanziario.

Nel 1982, l'operazione di consolidamento e di fusione di tutte le società del gruppo Gucci nella neonata Guccio Gucci spa, dimostrò di essere un insufficiente strumento di pacificazione e il conflitto divampò più acceso che mai. La contrapposizione tra il G. e il figlio Paolo, frustrato nelle sue aspirazioni di autonomia ed esasperato dall'isolamento in cui il resto della famiglia lo aveva confinato, assunse toni aspri con le accuse mosse al padre e allo zio Rodolfo di aver decurtato i profitti della società americana mediante distrazione di fondi.

La condanna del G. a un anno e un giorno di detenzione e al pagamento di tasse arretrate per 7 milioni di dollari, pronunciata dal tribunale di Manhattan nel settembre 1986, fu effettivamente fondata sul ritrovamento di carte e pratiche probanti, che il G. negò di aver seguito personalmente. Nel frattempo, la morte di Rodolfo, avvenuta nel 1983, diede il via libera all'ingresso nella società del figlio di questo, Maurizio. Con un'abile manovra azionaria, che lo portò a detenere la quota di maggioranza scalzando il ramo familiare del G., Maurizio sciolse nel 1984 il consiglio d'amministrazione della Guccio Gucci spa e il G. dovette così dimettersi dalla carica di presidente, che deteneva da oltre trent'anni, mantenendo quella di presidente onorario.

Nel 1985, ridimensionato il suo potere decisionale e in prossimità di complicazioni giudiziarie, il G. cedette ai figli, Giorgio e Roberto, il 40% della Guccio Gucci spa in suo possesso. Tra il 1987 e il 1989, a conclusione di una vita contraddistinta da smisurate contese familiari ma costellata di indiscutibili successi imprenditoriali - riconosciutigli con due lauree ad honorem conferite dal Collegio fiorentino di S. Marco e dalla Graduate School and University Center della New York University - egli seguì personalmente le trattative di cessione del pacchetto azionario dei figli alla finanziaria angloaraba Investcorp.

Il G. morì a Roma il 19 genn. 1990.

Fonti e Bibl.: L'Archivio dell'attuale Società Gucci, divenuta public company tra il 1995 e il 1996, è riservato a soli usi interni e non è pertanto consultabile. La bibliografia relativa alla storia familiare e aziendale consultata è la seguente: G. McKnight - E. Lambert, World of fashion. People, places, resources, New York-London 1976, p. 131; I Gucci. Una Dynasty all'italiana, Milano 1988, passim; A. Pergolini - M. Tortorella, L'ultimo dei Gucci, Milano 1997, ad ind.; Diz. della moda, a cura di G. Vergani, Milano 1999, p. 351; S.G. Forden, The house of Gucci. A sensational story of murder, madness, glamour and greed, New York 2001, ad indicem.

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