BENUCCI, Alessandra

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BENUCCI, Alessandra

Remo Ceserani

Nacque, probabilmente a Barletta, verso il 1481. Il padre, Francesco di Paolo soprannominato Zampella, era un mercante fiorentino che s'era stabilito a Barletta prima del 1464. Dalla moglie Nuta aveva avuto tre figli: Pietro (nato nel 1479), che seguì la carriera ecclesiastica, Alessandra, e Paolo (nato nel 1483), che divenne notaio. Alessandra si sposò giovanissima, a Barletta, con Tito di Leonardo Strozzi, trentenne.

Discendente da un ramo secondario dell'illustre famiglia di banchieri e mercanti fiorentini, Tito si trovava a Barletta per esercitare il commercìo. Verso il 1500Tito e Alessandra si trasferirono a Ferrara, dove risiedeva un altro ramo importante della famiglia Strozzi, e andarono ad abitare in una casa in contrada di S. Maria in Vado, poco lontano dal palazzo degli Strozzi. Nei primi tempi Tito visse nell'ombra dei potenti cugini, Bardo e Tito Vespasiano, poi avviò rapporti via via più stretti con il duca d'Este Alfonso e con il fratello cardinale Ippolito, e fu da loro usato spesso come corriere e uomo di fiducia (una volta, per esempio, si recò a Firenze per impegnare le gioie di casa d'Este presso il banco degli Strozzi; più tardi vi ritornò per il riscatto; si interessò di vendite, procure e affitti; si recò in vari luoghi su incarico del cardinale per acquistare cavalli, damaschi e altri oggetti di pregio). Nel 1514 egli ottenne un impiego stabile presso l'amministrazione estense e fu nominato "superiore della lana"; ma poco tempo dopo, nell'ottobre del 1515, morì. Risulta da alcune lettere che la B., in quel periodo, intratteneva un piccolo commercio personale con i mercanti ebrei di Ferrara, vendendo oro filato che riceveva dai parenti fiorentini, e facendosi mandare in cambio, da Firenze, all'insaputa del marito, ornamenti e altri oggetti d'abbigliamento muliebre. È molto probabile che traesse qualche profitto dall'attività di ricamatrice.

Tito e Alessandra, che erano imparentati con una delle più cospicue famiglie ferraresi, frequentavano il mondo elegante della società estense. Si ha notizia di rapporti assai stretti fra Tito e alcune nobili famiglie (tra cui quella di Rinaldo Ariosto, cugino del poeta, che nel 1506 aveva sposato la fiorentina Creusa Strozzi). Si sa che nel 1507 la B., ch'era giovane e bella, fece parte del corteggio che accompagnò Laura d'Este a Imola, ove andava sposa al conte Giovanni Sassatello; si sa che la B. interveniva spesso a feste e carnevali, e faceva parte solitamente della brigata raccolta attorno a Diana d'Este. Sia Tito sia Alessandra compivano spesso viaggi a Firenze, accompagnati a volte dai figli (ne ebbero sei: Roberto, Tito, Laura, Cornelia, Isabella e un altro di cui s'ignora il nome). Nel giugno del 1513 la B. si trovava a Firenze, mentre la città era in festa per la recente elezione di Leone X. Anche Ludovico Ariosto (che conosceva già la B., in quanto era amico di Tito e frequentava la stessa società) si trovava a Firenze per partecipare ai festeggiamenti, dopo essere stato anche a Roma, a recare omaggio al nuovo papa (dal quale sperava, ma inutilmente, di ricevere qualche incarico ragguardevole). Il giorno della festa del Battista, 24 giugno 1513, l'Ariosto incontrò la B. in casa della famiglia Vespucci, che era imparentata con gli Strozzi. Fu, come l'Ariosto stesso raccontò in una famosa canzone (Non so s'io potrò ben chiudere in rima), l'inizio di un amore che durò per tutto il resto della sua vita.

L'Ariosto cercò di circondare di molta discrezione e riserbo le notizie sui suoi amori. I molti accenni che si leggono nelle opere minori (nella canzone citata e inoltre nei sonetti Madonna, io mi pensai che '1 star absente e Miser, fuor d'ogni ben, carco di doglia, nei capitoli Meritamente ora punir mi veggio e Era candido il corvo, e fatto nero, e in altre Rime; in un passo - vv. 70 ss. - della satira III e in due passi - vv. 19 ss. e Aq ss. - della satira IV) e nello stesso Orlando Furioso (1, 2; IX, 2; XVI, 1-2; XXIV, 1-3; XXVII, 124; XXX, 3; XXXV, 1; XLII, 93-95) sono tutti volutamente vaghi e avvolti in forme di preziosa letterarietà. Si sente, in tutta l'opera, la presenza calda di un vivo sentimento d'amore, ma il poeta tiene per sé il nome della donna (o delle donne) a cui si ispira, o vi accenna solo in modo graziosamente allusivo. Inoltre, dopo la morte dell'Ariosto, i discendenti si mantennero fedeli alla consegna del riserbo e non rivelarono particolari al riguardo, sì che i primi biografi (tra cui lo stesso Fòrnari, che pure parlò con il figlio Virginio e il fratello Galasso) raccolsero solo notizie molto vaghe, e furono costretti a cercare di interpretare gli accenni autobiografici dell'opera. Nacquero così alcune leggende sugli amori dell'Ariosto, fra cui quella che rappresentava la B. come una colta donna fiorentina, che avrebbe suggerito al poeta l'idea di continuare il poema dei Boiardo; oppure l'altra leggenda, secondo la quale essa avrebbe aiutato il poeta a compiere la revisione linguistica, in senso fiorentino, del Furioso. Tutte illazioni prive di fondamento, poiché le lettere della B. pervenuteci (e si veda la riproduzione di una lettera autografa in Catalano, I, p. 423)dimostrano che la sua preparazione culturale era scarsa e approssimativa.

La morte di Tito Strozzi nel 1515 diede modo alla B. e a Ludovico Ariosto di trasformare la loro relazione amorosa prima in unione clandestina poi in matrimonio segreto. Il matrimonio fu celebrato attorno al 1528 e fu tenuto segreto per evitare che la B. perdesse la tutela dei figli e l'usufrutto del patrimonio di Tito, che era morto senza fare testamento. Dai documenti al riguardo risulta che la B. in quegli anni si preoccupò soprattutto di salvaguardare la tranquillità del suo amore, amministrando oculatamente il proprio patrimonio, e mostrandosi pronta a sacrificare a quella tranquillità anche la felicità dei figli.

Ciò risulta in particolare da alcune sue lettere ai parenti fiorentini, certune delle quali furono scritte di mano dell'Ariosto, "cancelliero" della donna amata. Così, quando le fu riferito che il monastero fiorentino presso il quale nel 1514 Tito aveva collocato due delle sue figliole, non era il più adatto per dar loro una buona educazione, e che le due giovani avevano espresso il desiderio di ritornare presso la madre a Ferrara, la B. rispose rifiutando duramente di accogliere le figlie, rimproverando la "audacia nella quale sono infistolite" e aggiungendo: "ben sono delle carceri e delli altri modi da castigarle, meglio ora che sono donne fatte che non sono state castigate da fanciulle" (Lettere di L. Ariosto, pp. 321, 323).Questa lettera ha avuto l'effetto di mettere in cattiva luce la figura della B. presso i biografi, i quali non hanno trascurato di notare anche come, in quella stessa lettera, ella cercasse di far credere ai parenti fiorentini che il patrimonio lasciato da Tito fosse molto esiguo ("E perché Goro mi ha detto ancora che voi e alcuni altri avete opinione che Tito si ritrovasse gran quantità di denari, Dio volesse che fosse stato il vero, ch'io non arei patito li disagi che ho patito e patisco tuttavia, e averei potuto locar meglio la mia brigata che io non ho fatto e non arei consumato dieci anni del fiore della mia etade, come ho fatto in viduità, subietta a mille iudicii temerarii, come spesso accade alle povere forastiere che non hanno da sé né hanno parenti a chi rivolgersi": Lettere..., p. 321), mentre in realtà risulta che in quel periodo continuava a curare i suoi piccoli commerci, e acquistava case e terreni. Resta, in favore della B., il fatto che l'Ariosto, ch'era buon conoscitore del cuore umano, trovò in lei quelle qualità che cercava in una donna e ne fece la propria compagna.

Dopo il matrimonio la B. e Ludovico continuarono a tenere domicilio separato e anzi, quando il poeta nel 1528 si trasferì nella parva domus di via Mirasole, andò ad abitare molto più lontano da Alessandra di quando stava nella casa paterna. Il poeta si recava però spesso da lei, e in casa della sua donna teneva i danari, gli oggetti preziosi e il deposito delle copie del Furioso. Quando l'Ariosto morì, la B. ereditò dal marito le gioie, i danari in contanti e alcuni mobili, mentre gli esemplari del poema e duecento scudi d'oro furono assegnati al figlio Virginio, ch'era nato all'Ariosto da un precedente, umile, amore (ma pare che fra la B. e Virginio sorgesse una lite per la divisione dell'eredità).

La B. continuò a vivere nella casa in contrada di S. Maria in Vado, ma invecchiando parve che il suo mondo si facesse sempre più chiuso e ristretto. Isterilì in pratiche religiose confinanti nel bigottismo; badò ad allargare il proprio patrimonio e, nel 1540, spentasi tutta la sua famiglia, inviò a Barletta un procuratore per raccogliere l'eredità dei genitori e del fratello prete. Diede anche danari a prestito, e non esitò a far mettere in prigione i debitori insolventi. Morti uno a uno i figli, non conservò alcun affetto per le due figlie superstiti. Morì il 12 sett. 1552, lasciando tutto il suo alle monache di S. Rocco.

Bibl.: S. Fòrnari. La Vita di Messer L. Ariosto, in La spositione... sopra l'Orlando Furioso, Firenze 1549, pp. 15-30; A. Frizzi, Memorie stor. della nobil famiglia Ariosti di Ferrara, in Raccolta di opuscoli scientif. e letterari, a cura di A. Melloni, Ferrara 1779, III, pp. 132-141 e passim;G. Baruffaldi iunior, La vita di Messer L. Ariosto, Ferrara 1807, pp. 146-160; Lettere di L. Ariosto, a cura di A. Cappelli, Milano 1887, pp. 319-338; A. Vital, Di alcuni docum. riguardanti A. B., Conegliano 1901; G. Pardi, La moglie dell'Ariosto, in Atti e Mem. d. Deput. ferrarese di storia patria, XII (1901), pp. 72-93; A. Salza, Intorno all'Ariosto minore, in Studi su L. Ariosto, Città di Castello 1914, pp. 25-98; M. Catalano, Vita di L. Ariosto, Genève 1930, I, pp. 401-425, 610-623 e passim; II, pp. 402-422 (con ricca bibl. prec. e molti doc.); G. Fatini, Le "Rime" di L. Ariosto, in Giorn. stor. d. lett. ital., Supplemento, XXV (1934), pp. 194-217; S. Santeramo, A. B. ispiratrice e moglie di L. Ariosto, Bologna 1950; C. Martini, La moglie di Ludovico,Roma 1955.

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