ABONDI, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ABONDI, Alessandro

Filippo Rossi

Figlio di Antonio, nacque intorno al 1570. Erede dell'arte di suo padre, di cui prese il posto nel favore della corte austriaca, lavorò, come modellatore in cera e come medaglista, prima a Vienna e poi a Praga al servizio dell'imperatore Rodolfo II (presso il quale compare dal 1602 al 1607), quindi ancora a Vienna al servizio del suo successore Mattia. Alla morte di questo (1619), si recò alla corte bavarese, chiamatovi dal duca Alberto VI di Leuchtenberg, fratello minore di Massimiliano I di Baviera; quest'ultimo, al cui servizio era negli anni 1630-33, lo ebbe in molta stima e lo fece lavorare soprattutto come medaglista. A Monaco l'A. sposò (15 maggio 1619) Regina, figlia del musicista Orlando di Lasso e vedova del pittore di corte Johann von Aachen; a Monaco sarebbe morto nel 1648 (o più probabilmente nel 1651).

Le sue medaglie raffigurano in prevalenza personaggi austriaci e boemi, e si notano per la giusta composizione, il senso decorativo, la piacevolezza dei rovesci e la finezza di esecuzione. Notevoli quelle di Mattia come re d'Ungheria e di Boemia (1611) e come imperatore (1612), di sua moglie Anna (1612), dell'arciduca Massimiliano (1612), di Alberto di Leuchtenberg, di Massimiliano I di Baviera, dell'arciduca Carlo, figlio di Carlo di Stiria (1636), di Ferdinando III, re di Ungheria e di Boemia (tra il 1627 e il 1636), di Ferdinando, arcivescovo di Colonia, di Alberto di Frisinga. Delle sue cere (ritratti e figurazioni sacre e profane) poco ci è rimasto: da ricordare il ritratto dell'abate Alessandro del Lago, comasco, nel convento di Kremsmünster, datato 1597, e quello di Johannes Mannlich, firmato e datato 1635 "Alexander de Abundis Anton(ii) f(ilius), Alexandri n(epos) nobilis tridentinus... Aug(ustae) Vind(elicorum), mense maio MDCXXXV"), nel Museo d'arte industriale di Vienna. Nella chiesa della Trinità di Monaco si conserva di lui una Pietà eseguita nel 1640 per la Congregazione latina, a imitazione di un dipinto di Quintino Matsys, ora nella Pinacoteca di quella città.

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