D'AMICO, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani (2014)

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d'AMICO, Alessandro

Mirella Schino

d'AMICO, Alessandro. – Ultimogenito di Silvio ed Elsa Minù, preceduto da Fedele e Marcello, nacque a Roma il 16 gennaio 1925. Detto generalmente Sandro, si firmava Alessandro per non confondere le sue iniziali con quelle del padre. Intellettuale versatile, studioso, animatore e organizzatore culturale, Sandro d'Amico scrisse relativamente poco, con l'eccezione degli innovativi studi su Pirandello e di qualche saggio sul Grande Attore ottocentesco, esercitando però una profonda influenza sugli studi teatrali, a partire dagli anni Sessanta fino alla sua morte.

La formazione e l'alveo familiare

Il padre, Silvio d'Amico, fu il più importante critico e organizzatore teatrale del suo tempo, e in più teorico, ordinatore e visionario, artefice di molti dei cambiamenti del teatro italiano a partire dagli anni Venti. Di famiglia cattolica, uomo d'ordine, simpatizzante del Partito Nazionale, non si identificò col fascismo, ma non fu mai un aperto oppositore del regime.

Dopo aver frequentato come già il padre e i fratelli l’Istituto Massimo, la più prestigiosa scuola non statale di Roma, retta dai Gesuiti, Sandro si iscrisse alla facoltà di lettere, completandone gli esami, ma senza discutere la tesi, anche per il sopraggiungere della Liberazione. In una lunga intervista radiofonica (Una domenica così, Radio 2, 29 settembre 1991: condotta da Silvia Toso) raccontò della sua giovinezza di giovane cattolico durante il Ventennio, in gran parte ignaro della realtà politica e sociale, tenuto lontano dalle diverse organizzazioni fasciste tanto dalla famiglia che dalla scuola. Negli ultimi anni di guerra si avvicinò all’antifascismo, insieme con il fratello Fedele, per il tramite di amici di famiglia come Antonello Trombadori, Maurizio Ferrara, Antonio Giolitti, che li misero in contatto con il gruppo cattolico e comunista romano di Adriano Ossicini, Franco Rodano, Paolo Zappelloni. Posizioni politiche cui rimase sempre vicino. Nel 1949 sposò Maria Luisa Aguirre, nipote di Luigi Pirandello, da cui ebbe due figli, Fabrizio e Matteo.

La famiglia d’Amico, con le sue ramificazioni e alleanze (il fratello Fedele aveva sposato Suso Cecchi, figlia di Emilio Cecchi), è fondamentale per inquadrare il lavoro e la personalità di Sandro e così pure alcuni punti fermi della sua vita, apparentemente secondari, come le vacanze estive di Castiglioncello, luogo che chiamò «della memoria e della continuità», dove un gruppo composito di intellettuali e teatranti, da Massimo Bontempelli a Sergio Tofano e a Giorgio De Chirico, si ritrovava anno dopo anno. Lì, bambino, vide Pirandello leggere alcuni dei suoi drammi, ancora incompiuti. Quando nel 2001 gli fu conferita la laurea honoris causa all’Università di Roma Tre, concluse così la sua allocuzione: «Ha scritto il mio amico Nando Taviani che la nostalgia è fisiologica ad ogni cultura teatrale. Verissimo. Tanto più vero mi appare oggi che sono al termine del mio mestiere di spettatore. Il teatro, arte che sembra vivere tutta nel presente, in realtà non si dissolve nel nulla, lascia in noi tracce, e di quelle tracce è fatta la nostra cultura teatrale, la nostra capacità d’intendere i linguaggi del teatro. Nostalgia di emozioni incancellabili. A quattro anni vidi Bonaventura sbucare dalle quinte e piombare in scena con una capriola. Come non averne nostalgia?» (Tinterri, 2010).

Lo studio del teatro fu per lui anche questo: un sorridente atto di pietas nei confronti del mondo che aveva conosciuto accompagnando il padre al teatro, e che più avanti tornò ad osservare con occhi diversi attraverso i documenti. A più riprese, ad esempio, Sandro d’Amico curò edizioni delle Cronache del padre Silvio. Non bisogna pensare a un adeguarsi rassegnato al potere di persuasione di una famiglia. Per d’Amico, il teatro fu un multiforme paese delle meraviglie, suscitatore di curiosità continua, magico. Ma la sua magia era fatta di dettagli precisi, dei quali andò a caccia fino alla morte in documenti d’archivio. Forse anche per questo riuscì sempre ad avere, nei confronti dei documenti, quello sguardo completamente limpido, svuotato da preconcetti e da teorie, ch'è qualità cui ogni storico dovrebbe tendere, ma che pochissimi riescono a raggiungere.

Dopo la sua morte, Franca Angelini lo ha definito un angelo dalla disposizione ironica, «con tratti di genialità operativa elaborati da uno sguardo lontano» (Ariel, 2011, p. 6). Per tutta la vita d’Amico, di undici e tredici anni minore dei fratelli, si mosse con garbo e leggerezza in mezzo agli scrittori, intellettuali, artisti, pittori, cineasti, musicisti che gli si affollavano in famiglia, sentendone la responsabilità, ma non il peso. Ironico, cortese, e tuttavia mai ingenuo, o soddisfatto di sé, o dell’andamento delle cose del mondo.

Lo studioso, l'intellettuale e la sua multiforme attività

Dal 1949 al 1957 fu capo-redattore dell’Enciclopedia dello spettacolo, poi, nel 1958, divenne primo addetto stampa del Festival dei Due mondi di Spoleto. Lavorò per le trasmissioni culturali della Radio italiana dal 1961 al 1995. Nel 1966 fondò, insieme con Ivo Chiesa e Luigi Squarzina, il Museo biblioteca dell’attore di Genova, che diresse per oltre vent'anni (1969-93), e di cui fu nominato nel 1971 consigliere a vita. Dal 1967 al 1970 insegnò storia del teatro all’Accademia nazionale d’arte drammatica (dove conobbe Claudio Meldolesi, allora aspirante attore) e, tra il 1969 e il 1974 fu professore incaricato di storia del teatro presso l’Università di Lecce. Dal 1998 al 2009 fu presidente dell’Istituto di studi pirandelliani. Nel 2001 venne insignito della laurea honoris causa presso l’Università di Roma Tre.

La sua formazione di studioso fu comunque fortemente influenzata dall’Enciclopedia dello spettacolo che, fondata nel 1949 da Silvio, rappresenta forse la più importante operazione di cultura teatrale del padre. Sandro, che si era appena sposato, divenne redattore-capo della sezione teatro un po’ per necessità familiari, un po’ per disamore nei confronti della tesi di laurea sull’opera amministrativa di Pio IX cui aveva iniziato a lavorare (aveva scelto come suo campo di studi la storia del risorgimento). La sua dote e le sue grandi capacità gli fecero trasformare un destino familiare in una qualità unica, riuscendo con gli anni a farsi ponte tra il mondo scomparso del teatro italiano della prima metà del secolo (vale a dire il mondo del padre, degli ultimi grandi attori e di Pirandello: mistero da indagare e insieme oggetto di nostalgia), e il nuovo ambiente nato dopo la guerra, quello dei suoi coetanei, di Luigi Squarzina o di Giorgio Strehler.

L’Enciclopedia dello spettacolo

L’Enciclopedia dello spettacolo (pubblicata tra il 1954 e il 1967) è un’opera fondamentale, con voci che riguardano la tecnica, le persone, termini gergali, il folklore, il varietà, le marionette, l’avanspettacolo, il circo, gli edifici teatrali. Crebbe per stratificazioni successive, a partire da teatro e musica, allargandosi poi alla scenografia, alla danza (che per la prima volta in Italia godette dello stesso status di altre forme spettacolari), al cinema e alla televisione. L’apparato iconografico è amplissimo e originale. Si avvalse di un’ampia redazione fissa, e di seicento collaboratori, di cui due terzi stranieri: rappresentò quindi, tra le altre cose, un'importante apertura europea. Le voci erano affidate a studiosi o a specialisti, ed erano poi riviste e ridiscusse dalla redazione, spesso con integrazioni e interventi di altri collaboratori, e con riscritture anche cospicue. Si trattò di un lavoro su basi pragmatiche, senza precedenti. Modello, se pur non del tutto riconosciuto dei migliori studi teatrali italiani, fu un'impresa pensabile probabilmente nel particolare clima del dopoguerra, e resa possibile solo grazie alla immensa capacità organizzativa di Silvio d’Amico, ma anche alle sue relazioni con tutti quei giovani intellettuali che aspiravano a divenire nuova classe dirigente culturale.

Questo ambiente peculiare di lavoro creò una relazione feconda tra i giovani teatranti del dopoguerra, formatisi in genere nell’Accademia d’arte drammatica sotto l’egida di Silvio d’Amico (da Luigi Squarzina a Gerardo Guerrieri), e intellettuali affini come Cesare Garboli, Elena Povoledo, Filippo Maria Pontani, Paolo Chiarini e altri.

Il progetto, cui collaborarono anche i giovani Andrea Camilleri e Tullio De Mauro, e, per la danza, Vittoria Ottolenghi, Gino Tani e Aurel Milloss, prevedeva la pubblicazioni di otto volumi a partire dal 1953, con una frequenza di due volumi l’anno, ma il numero e l’ampiezza delle voci, notevolmente ampliatesi, portarono nel 1957 a una rottura con l’editore. Parte della redazione (tra cui Fedele e Sandro d’Amico, Squarzina, Garboli, Povoledo) abbandonò l’opera. Il resto, per la mediazione di Francesco Savio (Francesco Pavolini) rimase, accettando tempi e dimensioni più ristrette. L'opera, completata nel 1965 in undici volumi, nonostante la differenza tra i primi quattro e gli altri, rimane un esempio unico al mondo.

Fedele d’Amico e Luigi Squarzina furono direttori di sezione (rispettivamente musica e teatro). Sandro attribuì a Squarzina il merito di aver «diffuso in noi la convinzione che l’Enciclopedia dello Spettacolo non fosse (come a noi non senza angoscia appariva) una inerte raccolta di dati eterogenei, ma una summa dell’esistente così vasta da contribuire a determinare un salto qualitativo negli studi teatrali» (A. d’Amico, La mia parte di storia, in Passione e dialettica della scena. Studi in onore di Luigi Squarzina, a cura di C. Meldolesi - A. Picchi - P. Puppa, Roma 1994, pp. 62 s.). Ma fu invece proprio Sandro (che la immaginava non solo come un progetto editoriale, ma come un istituto fondativo per studi teatrali, un po’ sul modello della Enciclopedia Italiana) a esportare in altri ambienti il germe essenziale del loro lavoro: una ricerca implacabile e sovrabbondante di dettagli da una parte, e, dall’altra, una costruzione fondata su ampie basi documentarie e condotta da studiosi – non solo eruditi o accademici – caratterizzati da considerevole apertura e intelligenza problematica. Inoltre, d’Amico assorbì e trasmise l'esigenza di una discussione corale che riuscisse a porre sullo stesso piano uomini di teatro e uomini di libro. Si deve a lui se l’Università di Lecce, all’inizio degli anni Settanta, poté acquistare il patrimonio librario dell’Enciclopedia dello spettacolo.

Altri progetti: le collaborazioni con Il Saggiatore e con la RAI

Gli anni Sessanta, in cui d’Amico dette avvio anche alla sua collaborazione con la RAI, furono contraddistinti da due iniziative importanti: il progetto per il Saggiatore e il Museo dell’Attore. Verso la metà degli anni Sessanta, d’Amico aveva proposto ad Alberto Mondadori e al Saggiatore una dettagliata ricostruzione documentaria in più volumi del teatro italiano, che doveva porsi come ideale continuazione rispetto al lavoro dell’Enciclopedia dello spettacolo. Una simile raccolta – completa di ogni fonte teatrale possibile: trattati, documenti, polemiche, critiche, tecniche – doveva costituirsi come polo opposto e complementare rispetto ai parziali sondaggi delle opere monografiche, e allo sguardo sistematorio e superficiale delle storie del teatro.

D’Amico fu molto più un ideatore che un organizzatore. Nel 1963, insieme a Ferruccio Marotti, e sulla base di un suo suggerimento, elaborò un progetto per il Saggiatore a cui lavorò in particolare un gruppo di giovani studiosi raccolti a Roma intorno all’insegnamento di Giovanni Macchia (Fabrizio Cruciani, Ferdinando Taviani, Clelia Falletti, Delia Gambelli, Hans Drumbl e altri). La redazione lavorò insieme per quattro anni, fino a che si verificò una frattura con la casa editrice, una conclusione che fu avvertita da d’Amico come un fallimento simile a quello dell’Enciclopedia. Tuttavia, attraverso questo progetto (che in parte continuò autonomamente) si consolidò un gruppo di studiosi e una abitudine a un lavoro comune che furono determinanti per la nascita della storia del teatro come nuova disciplina universitaria.

Nel frattempo d’Amico, fin dal 1961, aveva cominciato una fruttuosa collaborazione con il settore dei programmi radiofonici teatrali, alle dipendenze di Lidia Motta che retrospettivamente definì il terzetto costituito da d’Amico, Adolfo Pitti e lei stessa come il «nocciolo duro della prosa radio» (Motta, 2000, p. 116). L'impegno per la radio – aperto e sensibile a linguaggi inediti e sperimentali – permise inoltre a d’Amico forme di relazione e collaborazione con i protagonisti del nuovo teatro nascente: personalità come Giorgio Pressburger, Carmelo Bene, Carlo Quartucci.

Nel 1963, insieme con Fernaldo Di Giammatteo, curò una serie di interviste ad attori e attrici protagonisti del passaggio dal teatro degli anni del fascismo a quello del dopoguerra: da Emma Gramatica a Tino Buazzelli, e da Sergio Tofano a Luchino Visconti. Negli anni Settanta la sua presenza fu determinante per la serie delle Interviste impossibili (di Ceronetti, Eco, Manganelli, Sermonti, Calvino, Arbasino, Carlo Cecchi, Paolo Bonacelli, e altri). Con alcuni degli attori, con cui aveva lavorato per la Radio (come Cecchi o Bonacelli) conservò tutta la vita rapporti di amicizia personale. Nel 1980 propose le prime letture radiofoniche integrali di grandi romanzi, che iniziarono con le ottantadue puntate de I promessi sposi, realizzati da Orazio Costa.

Influenza di d’Amico: il Museo biblioteca dell’attore

Bisogna distinguere gli scritti di d’Amico dalla sua influenza. Il periodo storico su cui più si è esercitata tale influenza – il teatro italiano che va dal Grande Attore alla nascita della regia italiana, cioè dalla metà dell’Ottocento agli anni Cinquanta – è anche quella su cui ha scritto di meno: brevi introduzioni a mostre o a volumi altrui, qualche raro saggio. Non va però sottovalutata la sua azione teatrale in particolare attraverso quella che Meldolesi ha chiamato «la creazione più sua» (Meldolesi, 1997, p. 10), cioè il Museo dell’attore di Genova: mostre, incontri, convegni, promozione del lavoro di altri studiosi.

Il primo embrione del Museo si formò nel 1966: d’Amico cercava una sistemazione ai documenti di Tommaso Salvini che gli erano stati affidati, e, non trovandola, fu sollecitato da Squarzina e Ivo Chiesa (direttori del teatro stabile di Genova) a creare un museo-biblioteca-archivio che, minuscolo ai suoi inizi, acquistò peso fin dall’anno successivo attraverso l’acquisizione dell’archivio personale di Adelaide Ristori ('scoperto' da d’Amico mentre cercava fondi documentari per l’opera del Saggiatore). Col tempo si aggiunsero i fondi Silvio d’Amico, Tofano, Zacconi, Bosio, Valli, De Lullo e altri: un lungo lavoro per la salvezza e il recupero di patrimoni archivistici fino ad allora non riconosciuti come tali, per il quale d’Amico fu affiancato da Teresa Viziano e Alessandro Tinterri. L’esistenza stessa del Museo fu un fatto rivoluzionario, l’attestazione, niente affatto scontata, della liceità di archivi che non riguardavano solo la presenza in scena dell’attore.

Anche in questo caso d’Amico avrebbe voluto procedere per mappature complessive, per lavori ad ampio raggio, e fu parzialmente deluso dal risultato. Ma anche se il Museo non conseguì i risultati prefissi, da quell'esperienza nacquero mostre e studi importanti sull’attore o sul teatro italiano, nonché due riviste basate sullo studio documentario del teatro, il Bollettino del museo dell’attore e Teatro archivio. Il museo è stato anche luogo di formazione per nuove generazioni di studiosi (Maria Ines Aliverti, Stefano Geraci, Andrea Mancini, Mirella Schino).

Attraverso il lavoro con il Museo, d’Amico rese ineludibile l’esigenza di coniugare un tipo di comprensione estetico-passionale dei fenomeni teatrali, da spettatore, con la perfetta conoscenza di meccanismi sotterranei – economici o pubblicitari, tecnici o sociali – e delle tipologie di relazioni all’interno della società dei comici, e all’esterno, con autori o critici. Quel che gli studi teatrali devono a d’Amico, a conti fatti, è stata la restituzione del peso e della complessa stratigrafia di un mondo troppo spesso fatto coincidere con i risultati di alcuni singoli artisti.

Studi pirandelliani

D'Amico cominciò a occuparsi di Pirandello a partire dal 1961, e continuò per tutta la vita. Anche in questo caso gli scritti che ne derivarono furono esili, con due vistose eccezioni: Pirandello capocomico, scritto con Tinterri, e l’edizione dei quattro volumi delle Maschere nude, per i «Meridiani».

Pirandello capocomico (catal., Palermo 1987) affronta un momento in genere poco considerato della biografia dello scrittore: gli anni dell’attività pratica, con il Teatro Odescalchi e la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma (1925-1928). D’Amico e Tinterri stiparono le quasi cinquecento pagine del catalogo di immagini (fotografie, manifesti, bozzetti, disegni), documenti e informazioni sulla ristrutturazione del teatro, sulla formazione della compagnia (nella quale per la prima volta apparve Marta Abba come interprete pirandelliana), sul repertorio, dramma per dramma, recuperando le curatissime messinscene, il lavoro con gli attori, le scenografie, le reazioni del pubblico e della critica, le coeve formulazioni di Pirandello per un 'teatro di Stato', i drammi composti in quel periodo. L’immagine di un Pirandello scrittore puro, lontano, se non indifferente, alle vicende del teatro pratico si sgretola di fronte alla massa dei materiali proposti.

Un lavoro dello stesso tipo caratterizzò l’edizione mondadoriana delle Maschere nude (I-IV, MIlano 1986-2007; gli ultimi due curati in collab. con Tinterri). D’Amico sembra costruire un’architettura fatta di scansioni incrociate (una cronologica e una per drammi) per accumulare sempre più dettagli e documenti, ognuno prezioso a suo modo. Ma sarebbe miope considerare il suo come un lavoro di mera erudizione. Meldolesi ha parlato di una «professione di anonimato» di d’Amico (Meldolesi, 1997, p. 12). La differenza sta nella capacità di scivolare da un livello all’altro, dalla biografia al lavoro di scrittura di Pirandello, dai panorami del teatro del periodo a considerazioni letterarie o sceniche, tanto che una singola opera, anche di grande peso letterario, viene vista per una volta tutta all’interno della vita teatrale. Lo studioso si muove con leggerezza tra le innumerevoli reazioni dei critici, cogliendo qui e lì ciò che gli serve: da una breve citazione di Arnaldo Frateili a una di Piero Gobetti, tracciando, di sua mano, ma attraverso parole altrui, un quadro memorabile di Pirandello finalmente non filosofo ma poeta della filosofia.

A questo tipo di notizie – la lettura dei capocomici e le loro reazioni, il modo di cui lo scrittore li ascolta o non li ascolta, il lavoro per le prove, in cui è coinvolto, l’economia del teatro, le difficoltà della critica a giudicare solo da una singola visione testi non ancor letti e digeriti – d’Amico coniugò un capillare lavoro sulle 'varianti'. Così che lo studio del teatro appare, nel suo lavoro, come una sovrapposizione di velature di conoscenze e forme di sapere differenti, perfino divergenti: uno studio difficile, che richiede serietà, dedizione, una cultura a vasto raggio, ma anche una duttilità e una capacità combinatoria non comuni.

L’edizione di Maschere nude, lavoro di una vita, è stata una tessitura non di informazioni, ma di sapere e di cultura, un modo radicalmente nuovo di vedere Pirandello: D’Amico «ha l'arte del narratore, ma la sotterra nel genere letterario della curatela […] Contro la noia da Pirandello il lavoro per l'edizione di Maschere nude fornisce un potente contravveleno, un apice della nostra cultura teatrale» (Taviani, 1993).

Per intelligenza critica e per la sottilissima ars combinatoria, si può prendere a esempio la Notizia premessa a Il giuoco delle parti, in cui d’Amico inquadra l’opera negli anni di guerra, che è tanto la prima guerra mondiale, quanto la guerricciola delle laceranti battaglie teatrali del periodo, tra Società degli autori e agenzie private, o tra attori contro capocomici. Insegue il modo in cui il drammaturgo partecipa attivamente a queste battaglie. Disegna i conflitti che ha in quegli anni con capocomici e con attori. Delinea la diversità del rapporto con Ruggero Ruggeri (nella Notizia all’Enrico IV lo studioso fa una descrizione finissima dei rapporti e delle influenze reciproche tra l’attore e lo scrittore). Ricorda le vicende personali di Pirandello, il trasferimento da una casa all’altra, il figlio Stefano prigioniero di guerra, la speranza di riottenerlo tramite uno scambio di prigionieri, i viaggi che intraprende, per il figlio e per la pièce. Lentamente affiora un intreccio drammatico tra la composizione del nuovo dramma, di cui ci viene narrata la genesi a partire da una novella, e le delusioni continue circa il mancato ritorno di Stefano. Ci vengono offerte le reazioni degli spettatori e dei critici, e le reazioni di Pirandello alle loro reazioni, cui d’Amico aggiunge un delicato lavoro di restauro dei frammenti dell’interpretazione di Ruggeri a partire dalle recensioni. Ma emerge anche, con leggerezza, il problema (cruciale) della discontinuità delle testimonianze delle interpretazioni: il celebre finale di Ruggeri, diverso da quello immaginato da Pirandello, non è affatto testimoniato sempre allo stesso modo. Variazioni dell’attore, svista del critico, errore casuale? È uno dei molti problemi irrisolvibili degli studi teatrali.

Senza velleità letterarie, il racconto del successo di questo dramma razionale, puro gioco di intelligenza, viene affiancato da d’Amico da quello del tragico ritorno a casa di Stefano, accolto dalla notizia che gli era stata pietosamente nascosta durante la prigionia: il crollo psichico della madre, il suo ricovero in una casa di cura. Teatro e biografia non dovrebbero mai essere disgiunti. Qui, accostando le parole delle recensioni a quelle del figlio, che implora Pirandello di permettergli di rinunciare alla propria vita per prendersi cura della madre, d’Amico ne dà una dimostrazione magistrale. Infine, la Notizia si chiude con un esame delle maggiori interpretazioni successive.

Il lavoro per Maschere nude si concluse nel 2007. Nell’agosto del 2008, morì la moglie Maria Luisa Aguirre.

Sandro d’Amico morì a Roma l’8 febbraio del 2010.

Conclusioni

Delle sue numerose iniziative, d’Amico usava mettere in risalto soprattutto il fallimento. Tuttavia, ognuna di queste imprese ha lasciato un segno. Gli studi teatrali riguardano un’arte che non lascia opere e una storia che lascia ben poche tracce: l’atteggiamento, perfino la personalità dello studioso, hanno un peso forse maggiore in esse rispetto ad altre discipline. Bisogna tenerne conto per capire la portata di una influenza fatta in parte di aspetti che potrebbero sembrare inessenziali a uno sguardo superficiale: per esempio l’importanza di un atteggiamento paritario nei confronti degli attori. Il motivo per cui il suo esempio è stato tanto importante per gli studi sul Grande Attore sta tutto qui: nella sua consapevolezza ferma e spontanea, rivoluzionaria senza far chiasso, che nessuna miseria, biografica o teatrale che sia, può alterare il valore e il peso di un grande attore: un’ovvietà negli studi di forme artistiche che lasciano dietro di sé un’opera, che però è difficilissima da assimilare negli studi teatrali.

Lettore, studioso, spettatore tanto competente quanto sensibile, d’Amico ha posto, senza parere, molte richieste scomode agli studi teatrali: erudizione, documentazione a tappeto, molteplicità di competenze. E, oltre a queste, il valore della scontentezza, perché lo studio fu sentito da lui come valore esistenziale e, verrebbe infine da dire, quasi politico.

Fonti e Bibliografia

Un particolare ringraziamento va a Fabrizio e Matteo d’Amico. Le carte di Sandro d’Amico sono state donate dai figli all’Istituto di studi pirandelliani in Roma, e verranno a costituire il fondo Sandro d’Amico, per ora in corso di inventariazione e riordino. Lo stesso Sandro ha lasciato la sua biblioteca all’Università di Roma Tre (fondo d’Amico).

Un elenco completo delle opere di d’Amico (qui ne abbiamo segnalate solo alcune) è stato pubblicato, a cura di Dina Saponaro e Lucia Torsello, insieme con un ritratto biografico, in Ariel (gennaio-giugno 2011), numero dedicato a Alessandro d’Amico e Luigi Squarzina. Due maestri: La rivista raccoglie una serie di interventi fondamentali per comprendere il suo lavoro (oltre a quelli di Dina Saponaro e Lucia Torsello, ci sono, nell’ordine, interventi di Carlo Cecchi, Francesca Benedetti, Annamaria Andreoli, Ferdinando Taviani, Roberta Carlotto, Franco Ruffini, Valentina Venturini, Stefano Geraci, Alessandro Tinterri, e due testi di d’Amico). Altra fonte importante è l’articolo di A. Tinterri, A. d’A. o dell’ascolto, nei saggi in www.drammaturgia.it (http://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=4464; pubbl. su web 22/03/2010). Per i settant’anni di d’Amico è stato pubblicato il volume La passione teatrale, a cura di A. Tinterri e con un bel saggio di C. Meldolesi (Roma 1997).

Sull'attività radiofonica cfr. il volume di L. Motta, La mia radio (Roma 2000), nel corso del quale la variegata collaborazione di d’A. con la radio è ricordata con affetto e intelligenza. Sulla storia dell’Enciclopedia dello spettacolo v. Conversazione sull’Enciclopedia dello spettacolo. A. d’A. e Luigi Squarzina, a cura di A. Picchi, in Catalogo del Fondo D'Amico dell'Università di Lecce, Bari 1992, pp. XXV-XLIII. F. Taviani ha pubblicato, nella Rivista dei libri (dicembre 1993) una lunga recensione al lavoro per Maschere nude. La rivista Teatro e storia ha pubblicato la prolusione di F. Ruffini per la laurea honoris causa a d’A. (Paradosso e cultura del teatro. Elogio di A. d’A., ibid., 2002, vol. 22, pp. 365-372); nonché una intervista di V. Venturini (Colloqui con A. d’A. intorno al Museo dell’attore di Genova e alla famiglia d’arte Salvini, ibid., 2004, vol. 24, pp. 531-548), e, dopo la morte di d’A., S. Geraci, Lessico familiare: lettera per Sandro d’Amico (ibid., n.s., 2010, vol. 31, pp. 263-266).

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