PEPOLI, Alessandro Ercole

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PEPOLI, Alessandro Ercole

Sabrina Minuzzi

PEPOLI, Alessandro Ercole. – Nacque a Venezia, in contrà San Vidal, il 1° ottobre 1757 dal conte e senatore bolognese Cornelio e dalla nobile veneziana Marina di Lunardo Grimani. Fu il secondo di cinque figli: Maria Ginevra (1756, vissuta 22 giorni), Maria Ginevra (1759), Ginevra Adriana (1761-1763) e Sicinio Filippo (1765).

Fin da giovinetto mostrò un ingegno brillante e irrequieto. Fra il 1770 e il 1775 fu affidato a un precettore privato, don Benedetto Macarani, che faticò parecchio a piegarlo agli studi, rimproverandogli già «un piacere non ragionato per lo spettacolo» (Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Codd. Cicogna, 3265/2, 13 luglio 1771) che non lo avrebbe più abbandonato. Se il palco di famiglia acquistato nel 1771 al teatro S. Benetto lo iniziò alla passione teatrale, durante le villeggiature i teatri privati di Terraferma avevano sempre la meglio sulle versioni latine e gli esercizi matematici che il maestro cercava di propinargli.

Nel magnifico palazzo dei Pepoli sul Canal Grande entrò in contatto con l’alta società veneta e poté attingere alla ricchissima biblioteca paterna, dove accanto ai classici volgari figuravano romanzi e la produzione drammatica sei-settecentesca e dove era solidamente rappresentata anche la cultura scientifica.

Morto il padre nel 1777, Pepoli ereditò i titoli di senatore bolognese, patrizio veneto e nobile romano, ma nutrì sempre una genuina insofferenza per i privilegi aristocratici. Non assunse cariche pubbliche né si curò di espletare le formalità per accedere al Maggior Consiglio, preferendo concedersi frequenti viaggi in Italia e in Europa, sensibile alle inquietudini rivoluzionarie dell’epoca. A Ginevra pubblicò un Saggio di libertà (1783) in sé poco originale, ma vibrante di una forza democratica non comune nel Veneto conformista.

Il teatro restò la sua passione prima e totalizzante. Nel 1780 ricavò al secondo piano del palazzo di famiglia a San Vidal una struttura lignea adibita a rappresentazioni private. A essa affiancò l’Accademia dei Rinnovati, un circolo di amici e cultori di teatro – fra cui Francesco Albergati Capacelli e Antonio Fortunato Stella che allestivano commedie, tragedie, farse, avvalendosi dei migliori scenografi e costumisti, coinvolgendo giovani attori e cantanti e cimentandosi essi stessi nelle rappresentazioni. Pepoli fu autore di intrecci, attore, cantante e ballerino, regista. Esordì nel 1780 con la traduzione in versi della Zaira di Voltaire, cui seguì un poemetto (Zefiro e Clori) e poi una fitta produzione di drammi. Sperimentò il ballo pantomimico (Ati e Cibele, 1789), la tragedia per musica (Il Meleagro, 1789; La morte di Ercole, 1790; La Virginia, di cui curò la messa in scena nel 1793), il dramma giocoso (Il chinese in Italia, 1793) e la commedia dialettale (Quattro diavoli in una casa, rimasta inedita, «ricca di bellezze veneziane, ma così zeppa di scandalosità, che faceva orrore» secondo il drammaturgo Alessandro Zanchi, Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Codd. Cicogna, 683/I, cc. n.n.). La sperimentazione di forme ibride e un intreccio giocato tra verosimiglianza e concessioni al meraviglioso sono la caratteristica della sua «fisedia», una forma teatrale teorizzata in provocatorio antagonismo con il ben più celebre Vittorio Alfieri. Ma l’apporto al teatro di Pepoli non va cercato tanto nell’emulazione velleitaria di Alfieri, quanto nella freschezza di alcune opere scritte per la messa in scena e replicate con successo di pubblico (ad es., La Rotrude, in Gazzetta urbana veneta, 1794, n. 88; il Ladislao, ibid., 1796, nn. 7, 9, 10).

Nel 1780 conobbe la cantante e attrice Teresa Ventura, figlia di un corriere veneto ed educata al conservatorio dei Mendicanti, all’epoca già divorziata e moglie in seconde nozze del nobile e più anziano Alvise Venier. Con Teresa Pepoli intrecciò un legame intenso e turbolento che durò fino alla morte di lei, avvenuta nel 1790 a trentanove anni.

Dal 1782 in poi Pepoli comparve regolarmente nelle carte degli Inquisitori di Stato, oggetto di ‘riferte’ di confidenti tra Padova e Venezia, ora per sconsiderate gare a cavallo, ora per ingentissime scommesse di gioco, proibite dalla legge. Egli, tuttavia, non dilapidò le proprie sostanze al gioco: molte ne investì fruttuosamente in un’attività editoriale germogliata anch’essa in funzione del teatro. Nel 1791-92 comparvero due sue tragedie (Adelinda, Carlo e Isabella) nelle eleganti edizioni di Giambattista Bodoni di Parma, frutto di un progetto che avrebbe dovuto produrre quattro titoli pepoliani l’anno, ma che incomprensioni fra autore ed editore fecero naufragare anzitempo. Pepoli colse così l’occasione di cimentarsi in proprio nell’editoria. Dapprima in società con Antonio Fortunato Stella, «persona di talento e di genio nelle lettere» che evitava al conte di figurare in prima persona nella gestione di un’attività meccanica (Archivio di Stato di Venezia, Arti, Librai, b. 173, n. 28). Nel 1793 Pepoli pagò 660 ducati per iscrivere Stella all’arte dei librai e con una cifra simile finanziò l’allestimento di una libreria in campo San Polo. L’attività a nome Stella esordì in grande con una settantina di titoli nel solo primo anno. Lo stampatore di appoggio era Antonio Curti, che per essere all’altezza del modello bodoniano fu rifornito di nuovi torchi e di otto serie di caratteri bodoniani. Fino a tutto il 1793 Pepoli rimase nell’ombra come anonimo finanziatore, ma presto anche i rapporti con Stella si incrinarono. Sciolta la società in dicembre, nell’aprile 1794 decise di immatricolarsi a proprio nome all’Arte dei librai, con ulteriore esborso di 460 ducati. Nacque così la Tipografia Pepoliana, caratterizzata da una produzione editoriale frenetica (250 titoli circa fra 1794 e 1796), pubblicizzata su fogli a cadenza mensile e con frequenti annunci dalle pagine della Gazzetta urbana veneta. Oltre alla libreria di S. Polo e alla stamperia Curti, Pepoli si servì di altri due punti vendita alle Mercerie: uno presso la bottega di Giovanni Antonio Curti all’insegna della Nuova Sorte e un secondo all’insegna del Pegaso (Prospetto di varie opere nuove della Tipografia Pepoliana, marzo 1795).

Anche come editore Pepoli fu un’inesauribile fucina di idee. Rispetto alla gestione Stella potenziò alcuni settori e investì in nuovi. Esordì sul versante dell’incisione, offrendo una serie di traduzioni da opere di maestri veneti frutto del bulino del bolognese Giuseppe Rosaspina (Agli amatori delle belle arti Giuseppe Rosaspina e compagno, 1794; Gazzetta urbana veneta, 1796, n. 27, pp. 214 s.). Moltiplicò i titoli scientifici, con particolare attenzione alle nuove idee che si facevano strada nel campo della chimica, in ciò stimolato dal vivace ambiente veneziano che frequentava. Su tutti ricordiamo le opere del chimico e rivoluzionario Vincenzo Dandolo e la fortunatissima Chimica per le donne (1796) dell’amico Giuseppe Compagnoni. Incrementò la produzione per le scene (con la Biblioteca teatrale) e musicale, di poesia e di letteratura italiana e straniera.

Nel fervere di tante iniziative comparve l’annuncio che il 2 dicembre 1796 Pepoli aveva ceduto a Giustino Pasquali la Tipografia Pepoliana e le due botteghe delle Mercerie. Probabilmente era solo il primo passo di un’azione meditata, con cui desiderava spostare il baricentro delle sue imprese da Venezia a una città italiana più vivace e consona al proprio attivismo. Nel febbraio 1796 aveva infatti dato mandato di vendere il teatro privato di San Vidal e aveva ripreso a viaggiare freneticamente nell’Italia centro-settentrionale. Si recava spesso a Milano per contatti con aristocratici filorivoluzionari e perché in quella città «si gioca di summe grande di zechini» senza troppi controlli (Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, b. 631, 20 marzo 1795), suscitando i sospetti sia dei veneziani, che paventavano trattative segrete con Bonaparte, sia dei francesi per l’eccessiva spregiudicatezza con cui parlava di politica.

Pepoli morì il 12 dicembre 1796 a Firenze, stroncato da una polmonite. Lasciò un’eredità ingentissima, ma gravata da altrettanti debiti.

Sulla sua figura incombe il ritratto del memorialista Antonio Longo (1842, II, pp. 31-33) che lo inchioda a un giudizio di mediocrità per la volubilità di un genio comunque indiscutibile. Tanto che le molteplici attività che intraprese in vita – a teatro, in politica, nell’editoria – attendono ancora di essere indagate nelle loro complessive ricadute socioculturali, in grado come furono di far vibrare l’atmosfera rarefatta del Veneto di quegli anni, che non a caso Pepoli era in procinto di lasciare.

Fonti e Bibl.: Venezia, Archivio storico della Curia patriarcale, S. Angelo, Battesimi, reg. 11; S. Vidal, Battesimi, reg. 3; Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, bb. 67, 71, 308, 459, 526, 631, 1166, 1194; Notarile, Atti, b. 2212bis, febbraio 1754-55; b. 7715, 29 febbraio 1795-96; Riformatori allo Studio di Padova, f. 363 (settembre 1794); 366 (18 giugno 1794); Arti, Librai, b. 173, n. 28 (22 luglio [1793]: immatricolazione di Stella); Venezia, Bibilioteca del Museo Correr, Codd. Cicogna, 3265/2: Lettere di B. Macarani ad A. P.; 3265/5: Lettera di A. P. a B. Macarani; 683/1; Stampe P.D., 98gr: Deposito eretto a S.E. A. Pepoli nella chiesa di S. Trinita di Firenze in una delle cappelle laterali; Bologna, Biblioteca universitaria, Mss. It., 1186: Co. Cornelii Pepoli Bibliotheca (1756); Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo Casali, 32.2.2 (fogli pubblicitari di editori, numerosi di Stella e di P.); Gazzetta urbana veneta, 1794, nn. 22, 45, 68, 71, 88; 1795, nn. 17, 31, 32, 43, 65, 68, 81, 99, 101; 1796, nn. 7, 9, 10, 27, 41, 59, 79, 87, 90, 105; 1798, 2-4 agosto (testamento di P.); A. Longo, Memorie della vita, II, Este 1842, pp. 31-33, 118-120, 122; III, Este 1842, pp. 46, 81, 85-89.

E. Masi, Sulla storia del teatro italiano nel secolo XVIII. Studi, Firenze 1891, ad nomen; G. Bustico, Note per una vita di A. P., in Rivista teatrale italiana, V (1903), pp. 208-215; Id., A. P., in Nuovo archivio veneto, s. 2, XXV (1913), pp. 199-229; Id., Mattia Butturini, ibid., XXIX (1915), pp. 305-379 passim; Id., Il viaggio del conte A. P. in Sicilia nel 1784, in Archivio storico per la Sicilia orientale, XIII (1917), p. 7; G. Compagnoni, Memorie autobiografiche, Milano 1927, passim; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento. Ricerche storiche, Firenze 1963, pp. 195-201; A. Giacomelli, Carlo Grassi e le riforme bolognesi del Settecento, I, L’età Lambertiniana, in Quaderni culturali bolognesi, III (1979), 10, pp. 69 s.; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, pp. 54 s.; M. Calore, A. P., in Uomini di teatro nel Settecento in Emilia e in Romagna. Il teatro della cultura. Prospettive biografiche, Modena 1986, pp. 191-199; Ead., P., Calsabigi e le tragedie per musica, in Studi in onore di Giuseppe Vecchi, Modena 1989, pp. 103-115; M. Infelise, L’editoria veneziana nel ’700, Milano 1989, pp. 379-384; G. Romanelli, Tra gotico e neogotico: palazzo Cavalli Franchetti a San Vidal, Venezia 1990, ad ind.; W. Spaggiari, ‘Mansuete muse e ben torniti carmi’. Bodoni e gli autori, in Bodoni. L’invenzione della semplicità, Parma 1990, pp. 142-144; I carteggi delle biblioteche lombarde: censimento descrittivo, II, Province, Milano 1991, pp. 183 s.; M. Infelise, Gazzette e lettori nella Repubblica veneta dopo l’Ottantanove, in L’eredità dell’Ottantanove e l’Italia, a cura di R. Zorzi, Firenze 1992, pp. 307-350, passim; Id., Compagnoni e gli editori veneziani, in Giuseppe Compagnoni: un intellettuale tra giacobinismo e restaurazione, a cura di S. Medri, Bologna 1993, pp. 149-159, passim; M. Martini, Fedeli alla terra: scelte economiche e attività pubbliche di una famiglia nobile bolognese nell’Ottocento, Bologna 1999, pp. 250-265; C. Viola, Epistolari italiani del Settecento. Repertorio bibliografico, Verona 2004-2008, nn. 325.53, 568.4, 568.7.

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