LEOPARDI, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LEOPARDI (Leompardi, dei Leopardi, Leopardo), Alessandro

Valentina Sapienza

Del L., "architetto, scultore, fonditor di bronzi valentissimo; e uno degli incisori di zecca" (Cicogna, p. 297), non si conosce la data di nascita; ma si sa che era veneziano e figlio di un tal Leonardo. Quest'ultimo dato lo si desume dalla prima notizia documentaria che lo riguarda, un rogito risalente al 25 giugno 1482 nel quale egli si definiva "Alesander Leopardi q[uondam] Leonardi aurifex" (Paoletti, p. 263).

Cominciò a ricoprire una carica ufficiale alla Zecca di Venezia il 27 febbr. 1484, giorno in cui per le lodi ricevute dai "massari" e la virtù e la solerzia dimostrate, il Consiglio dei dieci lo nominò terzo maestro senza salario, con la promessa di subentrare al primo dei due maestri ordinari - Luca da Sesto e Antonello Griffo - che fosse deceduto (Cicogna, p. 297; Paoletti, p. 263).

Il 4 marzo 1484 i figli di Antonello, Silvestro e Pasquale, certi fino a quel momento di ereditare l'impiego paterno, inoltrarono una protesta ufficiale, sfidando il L. o qualsiasi altro artista avesse preteso superarli in abilità (Testolini, p. 247). I Griffo dovettero avere la meglio, se il 30 marzo veniva concesso loro uno stipendio di 20 ducati; mentre il L. continuava a operare senza salario (ibid.; Jestaz, p. 23). In tale situazione, il 29 settembre dello stesso anno fu incaricato di incidere, con il maestro Luca da Sesto, l'immagine di Cristo per il conio del nuovo ducato, e il 13 ottobre fu scelto per "bollar et contrasignar" le due matrici di soldi 20 e di soldi 10 eseguite da Girolamo Di Stefani (Il "Capitolar dalle Broche"…, pp. 206-208).

Dovettero passare ancora tre anni prima che gli fosse promesso il 21 marzo 1487 uno stipendio di 30 ducati annui, una volta subentrato a Luca da Sesto (ibid., pp. 219 s.). E forse proprio per le condizioni precarie in cui viveva, si macchiò di un delitto che gli costò la messa al bando da Venezia per cinque anni a partire dal 9 ag. 1487, avendo cercato insieme con Marco Loredan del fu Antonio, cavaliere e procuratore di S. Marco, di proclamarsi illecitamente erede della commissaria di tale Marino di Bernardo marinaio (Paoletti, p. 263). Riparò allora a Ferrara, dove forse si perfezionò nelle botteghe di fonditori di cannoni (Jestaz, p. 23).

In una serie di delibere successive risalenti al settembre 1488 la Repubblica gli concedeva un salvacondotto di sei mesi per far rientro in patria, avendo intenzione di affidargli un incarico prestigiosissimo: la fusione della statua equestre di Bartolomeo Colleoni su modello dell'appena defunto Andrea di Michele, detto il Verrocchio. Il 13 genn. 1490 il salvacondotto veniva esteso ad libitum, di modo che l'artista potesse "perficere equum et statuam q[uondam] illustrissimi Bartholomei de Collionibus iam cum multa laude ceptam". La fusione era già compiuta l'11 ag. 1492, quando Taddeo da Vimercate, ambasciatore di Ludovico il Moro a Venezia, riferiva al suo signore che il doge e molti altri gentiluomini si erano recati in bottega dal L. per "veder la statua del mag[nifi]co Bartholomeo Coliono col cavalo […] quale sono fornite" (Paoletti, pp. 264 s.).

Restava da definire dove collocare il monumento, per il quale il L. avrebbe ideato anche lo splendido basamento un tempo decorato da un fregio bronzeo. Secondo gli Annali di Domenico Malipiero, il 26 marzo 1494 il Senato optò per campo S. Zanipolo (in Butterfield, p. 168); e il 19 nov. 1495 una delibera del Collegio dei savi dispose la pavimentazione del campo (Paoletti, p. 265). A circoscrivere ulteriormente la cronologia, stanno la data "1495" incisa dal L. sul basamento e il passo dei Diarii di M. Sanuto (I, col. 96) in cui si racconta che il 21 marzo 1496 "de luni, a Venezia fo discoverto el cavalo eneo di Bortholamio Coglion da Bergamo […]. El qual, fin hora, era stato maestri a dorarlo". Il L., fiero della sua opera, se ne proclamava l'autore - della fusione, naturalmente - nell'iscrizione "Alexander Leopardus V. F. Opus" che corre sulla cinghia del cavallo, sotto l'addome dell'animale, mentre nella lapide sepolcrale della madre, già in uno dei chiostri della Madonna dell'Orto, si autocelebrava quale inventore del basamento (Cicogna, pp. 300 s.).

L'impresa gli valse grande notorietà, lodata come fu perfino da Luca Pacioli nella lettera dedicatoria della Summa de arithmetica (1494) a Guidubaldo da Montefeltro (ibid., p. 299). Gliene vennero anche il soprannome "Alessandro del Cavallo" - "corte del Cavallo" fu detta la corte nei pressi della sua abitazione alla Madonna dell'Orto (Moschini, p. 181) - e una serie non indifferente di vantaggi materiali. Cancellata definitivamente la pena per la truffa del 1487, il 27 genn. 1496 fu reintegrato in Zecca con un salario annuo di 100 ducati - ridotto in due occasioni successive prima a 80 poi a 40 ducati (14 marzo 1506 e 28 ott. 1510: Il "Capitolar dalle Broche"…, pp. 271 s., 278) - e gli fu promessa la commissione, che non ebbe seguito, delle ante bronzee per la porta della Carta (Paoletti, pp. 267 s.). Lo avrebbe atteso un'altra grande impresa, relativa ai lavori per la cappella Zen in S. Marco, se non fosse stato per le incomprensioni insorte in corso d'opera.

Quando, il 29 sett. 1503, si decise di dar finalmente esecuzione alle volontà testamentarie del cardinale Giovanni Battista Zen (29 apr. 1501) avviando i lavori per l'edificazione della cappella funebre in S. Marco, il L. fu il primo artista a essere coinvolto. I marmi erano già stati depositati presso la sua abitazione (23 dic. 1503) e il 19 gennaio successivo il L. firmò insieme con il socio Antonio Lombardo il contratto di commissione, percependo un acconto di 200 ducati. I lavori si bloccarono però quasi subito, a causa di incomprensioni insorte soprattutto tra il L. e i Procuratori di S. Marco de citra. Il 23 maggio 1505 si decideva pertanto di ingaggiare un'altra équipe e lo stesso giorno un contratto identico al primo veniva firmato da Antonio Lombardo e i nuovi soci Giovanni Alberghetti e Pietro Campanato (Jestaz, p. 26). Il L., escluso dall'incarico, mosse lite contro i Procuratori perché fosse almeno ricompensato per il lavoro svolto (Paoletti, p. 245). Decise quindi di conservare presso la propria abitazione i marmi, dei quali il 3 dic. 1505 la Repubblica intimò la restituzione (Jestaz, p. 26), eseguita a più riprese a vantaggio del nuovo "proto" Tullio Lombardo - l'ultima ricevuta è datata 27 genn. 1507 (Paoletti, p. 245). Faccenda, quella della consegna dei marmi, per cui si è ipotizzato che il ruolo del L. nell'impresa non fosse di semplice fonditore ma di proto della cappella. A ogni modo, il nome del L. riappare solo nel 1521, quando fu consultato in qualità di esperto per la stima del portale bronzeo (Jestaz, p. 26).

L'intricata vicenda gli permise di conoscere Leonardo Loredan, procuratore decitra nell'affare Zen e doge dal 1501, cui dovette probabilmente la commissione dei tre reggistendardi bronzei di piazza S. Marco (ibid.): quello centrale, firmato e datato, con il ritratto del doge ripetuto in tre medaglioni circolari, fu messo in opera il 15 ag. 1505; mentre gli altri erano ancora in lavorazione l'anno seguente (Sanuto, VI, col. 214). Gli splendidi rilievi raffiguranti personificazioni allegoriche, divinità e creature marine in corteo, descritti e interpretati nel poema Argoa voluptas di Pietro Contarini (Venezia, Bernardino Viani, 1541), furono forse realizzati su disegno di Antonio Lombardo (Wolters).

In due occasioni ancora il L. perdette o non riuscì ad aggiudicarsi importanti commissioni. Un modello di sua mano per l'edificazione della nuova sede della Scuola della Misericordia, della quale era confratello dal 18 marzo 1498, fu accettato con riserva dal capitolo il 5 ag. 1507, ma a distanza di poche settimane (21 agosto) fu sostituito con quello di tale Zuane Fontana, considerato meno dispendioso (Paoletti, p. 247). Nel 1514 partecipò al concorso per la ricostruzione delle fabbriche di Rialto distrutte nell'incendio del 10 gennaio; ma al suo progetto, presentato il 22 maggio, si preferì di nuovo quello di un altro rivale, Antonio Abbondi, detto lo Scarpagnino, e si ebbero le lamentele del L. che accusò la commissione di risentimenti personali (Paoletti, pp. 284 s.; Jestaz, p. 27).

Operò anche in Terraferma in numerose occasioni. In qualità di "ingeniarius" fu convocato a Padova (novembre 1509) e a Treviso (agosto 1511), per soprintendere alle fortificazioni (Paoletti, p. 269), ma la commissione più prestigiosa lo attendeva il 25 febbr. 1521, quando, su incarico dell'abate Vincenzo Risio da Napoli, assunse le funzioni di proto del convento di S. Giustina a Padova (Sartori; Kilian).

Il 1° luglio il proto non aveva ancora consegnato il modello promesso nel contratto di commissione, modello per il quale aveva ricevuto due acconti. Poiché nulla era cambiato, in dicembre i monaci inoltrarono una protesta scritta cui il L. rispose dalla sua abitazione di S. Giovanni Nuovo in Venezia: "s'el modello fin hora non sta' compito, ha mancato per essi signori frati ex eo che non hanno exborsato el compimento del danaro li bisogna" (Sartori, pp. 133 s.). Il 30 dicembre il proto precisò che l'accordo iniziale prevedeva infatti che il modello era da farsi "a tutte spese del dicto monasterio"; ma che in seguito gli era stato fatto intendere che avrebbe dovuto compierlo a proprio carico (ibid.). A ciò si affiancarono nuovi disaccordi: il 25 febbr. 1522 (1521 m.v.) i monaci si lamentavano della scarsa attenzione riservata dal proto alla fabbrica, avendo deciso costui di modificare l'orientamento dell'altare maggiore e delle cappelle fino ad allora approvato come "cossa ben fata et optime principiata" (ibid.); nello stesso giorno il L. intimava al muratore Francesco Zolletti di interrompere qualsiasi lavoro, obbligandolo in giugno ad attenersi strettamente ai suoi ordini (Kilian, p. 143). Per risolvere la lite fu necessario l'intervento del podestà di Padova Pietro Marcello: l'8 luglio i monaci di S. Giustina, che pretendevano la revoca dell'ordine impartito dal L. al muratore, potendo disporre solo loro del personale a servizio della Fabbrica, vinsero la causa.

Non si conosce con precisione la data di morte del L., che tuttavia deve collocarsi tra il luglio 1522, quando cessarono le sue funzioni in S. Giustina (Kilian, p. 144), e il marzo 1523, comparendo il suo nome nella lista dei confratelli della Scuola della Misericordia deceduti nel 1522 more veneto (Paoletti, p. 273).

Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii…, Venezia 1879-87, I coll. 96 s.; III, coll. 413 s.; VI, coll. 214 s.; X, coll. 26, 596; XII, coll. 365, 496; XVIII, coll. 10, 374, 401, 428; T. Temanza, Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani che fiorirono nel secolo decimosesto, Venezia 1778, pp. 110-116; G. Moschini, Guida per la città di Venezia…, Venezia 1815, I, pp. 175, 180 s., 348, 517; II, p. 529; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane…, II, Venezia 1827, pp. 222, 297-301; M. Testolini, Ricerche intorno ad A. L., in Archivio veneto, III (1872), pp. 246-250; P. Paoletti, L'architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia, II, Venezia 1893, ad ind.; W. Stedman Sheard, Note on the proportions of the base of the Colleoni monument, in C. Seymour, The sculpture of Verrocchio, London 1971, pp. 182-184; A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, a cura di C. Fillarini, Vicenza 1976, pp. 133 s.; B. Jestaz, Requiempour A. L., in Revue de l'art, 1982, n. 55, pp. 23-34; Il "Capitolar dalle Broche" della Zecca di Venezia (1358-1556), a cura di G. Bonfiglio Dosio, Padova 1984, ad ind.; W. Wolters, L. oder Lombardi? Zur Autorschaft der Modelle für die Sockel der Fahnenmasten auf der Piazza S. Marco in Venedig, in Correspondances. Festschriften für Margret Stuffmann zum 24. November 1996, a cura di H. Bauereisen - M. Sonnabend, Mainz 1996, pp. 51-67; B. Kilian, S. Giustina in Padua. Benediktinische Sakralarchitektur zwischen Tradition und Anspruch, Frankfurt a.M. 1997, pp. 137-155; A. Butterfield, The sculptures of Andrea del Verrocchio, New Haven 1997, pp. 166-168, 171-176, 183, 234-236; A.M. Stahl, Mint and medal in the Renaissance, in Perspectives on the Renaissance medal, a cura di S.K. Scher, New York 2000, p. 139; S. Blake McHam, The role of Pliny's Natural history in the sixteenth-century redecoration of the Piazza S. Marco, Venice, in Wege zum Mythos, a cura di L. Freedman - G. Huber-Rebenich, Berlin 2001, pp. 92-94; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, pp. 91 s.; The Dictionary of art, XIX, pp. 207 s.

CATEGORIE
TAG

Andrea del verrocchio

Giovanni battista zen

Bartolomeo colleoni

Consiglio dei dieci

Ludovico il moro