MINUZIANO, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MINUZIANO, Alessandro

Paolo Pellegrini

– Nacque a San Severo (oggi in provincia di Foggia) intorno alla metà del Quattrocento. Ignoti sono i nomi dei genitori e scarsissime le notizie sulla sua giovinezza.

Da una lettera scritta in tarda età (1521; per tutte le lettere citate cfr. Dionisotti, ad annum) si apprende che il padre lasciò la città natale dopo la cacciata degli Angioini, forse nel 1462. Un’altra lettera (1519) rivela che frequentò la scuola del giurista Giovanni Bertacchini, a Fermo, quasi certamente dopo il 1469. I documenti sono meno radi dopo l’arrivo a Milano, dove nel 1484 il M. fu assunto in qualità di precettore in casa di Bartolomeo Calco. Il 22 genn. 1490 ottenne la nomina a insegnante di eloquenza nelle Scuole palatine, sostituendo Francesco Dal Pozzo (Puteolano); nel 1492, a causa di una infermità di Giorgio Merula, gli subentrò nella cattedra e nel 1497 gli fu aumentata la provvisione. Dopo la caduta del duca Ludovico Sforza il Moro, il 23 sett. 1501 fu confermato con decreto del cardinale Georges d’Amboise, luogotenente del re di Francia, conservando l’incarico fino al 1519; il 27 maggio 1502 ottenne la cittadinanza milanese (ibid., pp. 113-115).

Da un documento del 1506 risulta che tre anni prima aveva preso in affitto una casa in parrocchia S. Eusebio dallo stampatore Giovanni Antonio Onate. Ma i rapporti con l’ambiente tipografico cittadino, come editore e come tipografo, risalgono già agli anni precedenti. Nel 1486 aveva curato l’edizione di Orazio stampata da Antonio Zarotto (Rogledi Manni, n. 509); nel 1495 fu la volta di Livio, impresso da Ulrich Scinzenzeler (ibid., n. 574). Al 1498 risale la sua prima iniziativa editoriale di rilievo: in collaborazione con i fratelli Le Signerre diede avvio alla pubblicazione degli Opera omnia di Cicerone, in quattro volumi in folio, impresa conclusa da solo l’anno successivo; con Guillaume Le Signerre pubblicò anche il De antiquitate Vicecomitum di Giorgio Merula (forse del dicembre 1499). Al 1498 i repertori assegnano, dubitativamente, un’edizione delle Satyrae di Giovenale e a quello stesso anno fa capo la collaborazione con il tipografo Ambrogio da Caponago. Con quest’ultimo il M. risulta aver firmato sei edizioni: oltre alle due lettere regie di Luigi XII (Litterae erectionis Senatus Mediolanensis, dopo il 14 dic. 1499, e Litterae ordinum servandorum pro expediendis litteris causis et negotiis, dopo il 15 dic. 1500; Rogledi Manni, nn. 596 s.), gli Statuta civilia reformata a Ludovico Maria Sforzia duce (1498; ibid., n. 640), il Rationale caeremoniarum missae Ambrosianae di Pietro Casola (1498; ibid., n. 255), le Heroides di Ovidio con i commenti di Ubertino Clerico, Antonio Volsco e Giorgio Merula (1499; ibid., n. 734). I repertori censiscono poi il De prologis seu proemiis materna lingua conscriptis di Luchino d’Arezzo (novembre 1500; ibid., n. 581) e un’edizione del De oratore di Cicerone (dopo il 1500; ibid., n. 325). Un Virgilio fu stampato nel 1500, forse in collaborazione con l’editore veneziano Antonio Moreto (ibid., n. 1101) e, di nuovo nel 1504, con Niccolò Gorgonzola (Sandal, 1978, n. 175).

Nel 1499 giunse a Milano Aulo Giano Parrasio (Giovan Paolo Parisio) e si dedicò all’insegnamento e all’attività filologica. Accolto in casa del M., collaborò con lui, ma non tardò ad affrancarsi e il distacco degenerò in aperto contrasto: nel 1505 il M. diede alle stampe le Historiae di Livio (ibid., n. 177) con annotazioni filologiche tratte dalle recollectae di Parrasio. Questi fece denunciare il plagio dall’allievo Teofilo Calcondila, figlio di Demetrio, nella premessa all’edizione di Valerio Massimo da lui curata (Milano s.a., ma 1506). Il M. replicò, riproponendo nel 1508 il Valerio Massimo, epurato dalle notazioni polemiche nei suoi riguardi (ibid., n. 191). Lo scontro fu aspro e mise a dura prova i due contendenti, tanto che Parrasio preferì cedere il campo al rivale e già nel 1506 si trasferì nella più quieta e accogliente Vicenza.

Il primo decennio del secolo coincise con una fase di intensa attività editoriale da parte del Minuziano. Oltre a Livio, uscirono Sallustio nel 1501, Senofonte (in traduzione latina, nel 1501 o inizio 1502; ibid., n. 164), Floro e Orazio (1502; ibid., nn. 165, 170), le Institutiones di Prisciano di Cesarea (1503; ibid., n. 172), le Epistolae di Plinio il Giovane con il commento di Giovanni Maria Cattaneo (1506; ibid., n. 180). Il già ricordato Valerio Massimo del 1508 fu frutto della collaborazione con il libraio-editore Niccolò Gorgonzola, con il quale il M. lavorò a lungo anche in seguito. Del 1514 sono un’edizione di Terenzio, curata dal figlio del M., Vincenzo, e corredata dai commenti di Guy Jouennaux e Josse Bade (ibid., n. 201), e le Satyre di Giovenale (con le annotationes di Giovanni Britannico, Angelo Ambrogini detto il Poliziano, Filippo Beroaldo senior e Giovanni Battista Cipelli [Egnazio]; ibid., n. 202; Sander, n. 3736). Forse dell’anno successivo è il Persio, con i commenti di Bartolomeo Della Fonte e di Britannico (Sandal, 1978, n. 204); del 1519 è invece il Viaggio del sepulchro con le sue antiche oratione de loco in loco di Santo Brasca (ibid., n. 235).

Altro tipografo a giovarsi della collaborazione del M. fu Leonardo Vegio, che si legò a lui sposandone la figlia. Il sodalizio si colloca tra il 1507 e il 1513 e sembra coincidere con un certo disimpegno da parte del M., forse seguito all’epilogo della polemica con Parrasio. Molte edizioni di Vegio presentano nel colophon la formula sfumata «apud Alexandrum Minutianum», rispetto alle sottoscrizioni più eloquenti degli anni addietro: così nella Defensio astronomiae di Gabriele Pirovano (1507; ibid., n. 186) e nel Tolentinum di Battista Spagnoli (1509; ibid., p. 195).

Nel catalogo (si citano i titoli seguendo il repertorio di Sandal) non mancano, accanto ai classici, opere, religiose e profane, di larga divulgazione, certo per garantire un impegno costante dei torchi e per far fruttare gli investimenti di capitali. Si ricordano almeno il Lamento di Roma, poemetto in ottave sulla calata di Carlo VIII (circa 1501; ibid., n. 160), un Pronosticum di Girolamo Arluno per l’anno 1502 (ibid., n. 158), la Legenda de sancta Clara da Montefalcho (1504; ibid., n. 174), e Vitae beatae Osannae Andreasiae del domenicano Francesco Silvestri (1507; ibid., n. 179), mentre resta dubbia l’Orazione di Sant’Ambrogio forse del 1500 (Rogledi Manni, n. 65; Sandal, 1978, n. 155; Sander, n. 315). Per questo genere di produzione il M. utilizzò materiale xilografico di proprietà di altri stampatori, come nel Lamento, che contiene una illustrazione delle Auctoritates de Antichristo edita da Scinzenzeler nel 1496.

Non mancarono opere di maggiore impegno, come la Historia di Milano di B. Corio (1503; Sandal, 1978, n. 171) o testi umanistici, come il poemetto Sirmio di Stefano Dolcino e gli Epigrammata di Piattino Piatti (entrambi del 1502; ibid., pp. 168 s.), gli Opuscula di Filippo Beroaldo senior (circa 1505; ibid., n. 176), le Epistolae et commentarii di Iacopo Ammannati Piccolomini (1506; ibid., n. 181), gli Hymni heroici tres di Giovan Francesco Pico (1507; ibid., n. 187), con il quale il M. ebbe in seguito anche un breve scambio epistolare.

Dopo il 1516 si può collocare la seconda fase dell’attività del M., caratterizzata dall’amicizia con il filologo e giurista Andrea Alciato. Il M. gli aveva affidato l’istruzione del figlio Vincenzo, nato dal matrimonio con Apollonia Birago, e nel 1518 Vincenzo seguì Alciato ad Avignone, dove aveva ottenuto la cattedra universitaria. Di Alciato il M. pubblicò, in quello stesso anno, gli Opuscula (ibid., n. 218), ma già nel 1517 aveva dato alle stampe le Annotationes filologiche in calce all’edizione del Tacito (ibid., n. 215). Fu, quest’ultima, un’operazione editoriale spregiudicata: i P. Cornelii Taciti libri quinque noviter inventi atque cum reliquis eius operibus editi erano appena stati stampati a Roma, con privilegio pontificio, a cura di Filippo Beroaldo iunior (1515). Ancora in fase di tiratura il M. era riuscito a farsi spedire a Milano i fogli di stampa e aveva cominciato a ricomporli per una nuova edizione; incorso nella scomunica per violazione della privativa di stampa, dovette attendere il 1516 per essere assolto e riprendere la stampa.

A questo periodo risale la stampa di due importanti opere in volgare: il Petrarca in corsivo del 1516 (ibid., n. 212), quasi un calco dell’aldina del 1514, e le Regole grammaticali di Giovanni Francesco Fortunio nel 1517 (ibid., n. 216). In collaborazione con Giovanni Giacomo da Legnano furono pubblicate invece soprattutto opere di carattere popolare: la Trabisonda historiata e il Guerin Meschino (entrambe del 1518; ibid., nn. 221, 225; Sander, nn. 7339, 345); la Spagna, cantare cavalleresco, e le Metamorfosi di Ovidio volgarizzate e istoriate (entrambe del 1519; Sandal, 1978, rispettivamente nn. 229 e 230; Sander, rispettivamente nn. 7028 e 5334). Non vanno dimenticati i rapporti con i fratelli Calvo, Francesco e Andrea, per il quale ultimo il M. stampò un’edizione dell’Ameto di G. Boccaccio (1520; Sandal, 1978, n. 241).

I contatti con l’ambiente umanistico cittadino in questi anni emergono da una lettera del 1519: il M. si ritrae in compagnia dei docenti dello Studio Stefano Negri, allievo di Demetrio Calcondila, e Celio Rodigino. Tra i corrispondenti del M. fu Jean Grolier, tesoriere del re di Francia e noto bibliofilo (sette lettere sono indirizzate a lui); sembra anzi che il potente funzionario si sia valso dell’aiuto del M. per rispondere convenientemente a una lettera di Erasmo da Rotterdam.

La data di morte del M. resta incerta. Malato di paresi almeno dal 1523, da una lettera di Alciato a Francesco Giulio Calvo del 5 genn. 1532 sembra risultare la sua recente dipartita («forte ad plures transivit», in Dionisotti, p. 153); il suo nome non compare nello spoglio dei Registri dei morti compiuto da Motta (1891), ma i Registri risultano lacunosi proprio per quell’anno.

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P. Pellegrini

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