PERTINI, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PERTINI, Alessandro

Umberto Gentiloni Silveri

PERTINI, Alessandro (Sandro). – Nacque a San Giovanni, frazione del Comune di Stella (Savona), il 25 settembre 1896 da Alberto (1853-1908) e da Maria Muzio (1854-1945). Ebbe tre fratelli e una sorella, quelli che con lui, su tredici figli, giunsero all’età adulta: Luigi Giuseppe (1882-1975), il primogenito, scultore; Giuseppe (1890-1930), che aderì al fascismo; Eugenio (1894-1945), morto nel campo di concentramento di Flossenbürg, e Maria Adelaide (1898-1981), sposata con il diplomatico Aldo Tonna.

Legatissimo alla madre, Pertini crebbe in un ambiente familiare benestante. Dopo i primi tre anni di scuola elementare a Stella, proseguì gli studi presso l’Istituto don Bosco di Varazze. Frequentò il liceo classico Gabriello Chiabrera di Savona, che abbandonò nel 1914. Lesse i classici del pensiero marxista, avvicinandosi alla corrente riformista del Partito socialista italiano (PSI); Adelchi Baratono, docente di filosofia, contribuì a indirizzarlo verso i circoli del movimento operaio e socialista ligure.

Partecipò alla prima guerra mondiale distinguendosi per una serie di azioni di prima linea. Proposto per la medaglia d’argento al valor militare, ricevette l’onorificenza soltanto nel 1985, essendo stato segnalato, nel 1915, come simpatizzante socialista su posizioni neutraliste. L’esperienza bellica rafforzò in Pertini l’idea di un socialismo coerente con la causa nazionale e la fedeltà alle istituzioni, in linea con la tradizione risorgimentale e con il pensiero riformista di Filippo Turati. Nella Grande Guerra maturò una profonda avversione verso la violenza che lo caratterizzò nelle fasi successive della sua vita.

Prima di essere collocato in congedo riprese gli studi e, contemporaneamente, si dedicò all’attività politica. Nel 1919 ottenne la maturità classica da privatista e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova.

L’anno successivo venne eletto consigliere comunale a Stella, nelle liste dell'associazione democratica liberale rimanendo in carica fino al 1922. Dopo la scissione del Partito Comunista d’Italia scelse di aderire al Partito socialista unitario (PSU).

Lasciò l’ateneo ligure e completò la propria formazione all’Università di Modena, laureandosi in giurisprudenza con una tesi sulla siderurgia italiana (1923). Si trasferì quindi a Firenze per iscriversi all’Istituto Cesare Alfieri. Nel dicembre del 1924 conseguì la laurea in scienze sociali, discutendo una tesi dal titolo La cooperazione, nella quale propose una lettura antimarxista, riformista e antispeculativa del movimento cooperativo.

Nel capoluogo toscano entrò in contatto con il mondo dell’interventismo democratico e socialista, in particolare con Gaetano Salvemini, i fratelli Carlo e Nello Rosselli ed Ernesto Rossi. Aderì al movimento antifascista Italia libera. All’indomani del delitto Matteotti (1924), rese nota la decisione di iscriversi al PSU.

Rientrato in Liguria, esercitò per un breve periodo le professioni di avvocato e giornalista. Nel maggio del 1925 venne arrestato per aver redatto e distribuito il foglio clandestino Sotto il barbaro dominio fascista. Condannato a otto mesi di reclusione, beneficiò di un’amnistia e divenne bersaglio di ripetute violenze squadriste. A seguito della promulgazione delle leggi eccezionali fu raggiunto da un provvedimento di assegnazione al confino di polizia della durata di cinque anni. Entrò in clandestinità trovando asilo presso l’abitazione milanese di Carlo Rosselli. Conobbe Turati e fu uno degli organizzatori del clamoroso espatrio del capo socialista: l’impresa gli valse la condanna in contumacia a dieci mesi di prigione.

Visse in esilio a Parigi e poi a Nizza, adattandosi ai mestieri più disparati. Strinse contatti con antifascisti italiani di punta e partecipò al congresso della Lega dei diritti dell’uomo. Nel 1928, con il denaro ricavato dalla vendita di una masseria ligure che aveva ereditato, mise in funzione, sotto il falso nome di Jean Gauvin, una radio trasmittente a Eze (Nizza), strumento di propaganda antifascista. Scoperto e arrestato dalla polizia francese, fu processato (gennaio 1929) e condannato a un mese di reclusione (sospeso per la condizionale) e al pagamento di un’ammenda.

Insofferente alla vita dell’esule, iniziò a predisporre un piano per far rientro in Italia. Il 26 marzo 1929, utilizzando un passaporto falso intestato al cittadino svizzero Luigi Roncaglia, Pertini riuscì a rientrare in patria da Chiasso. Si mise all’opera per riannodare i fili della rete clandestina antifascista in varie città del Nord; si recò a Pisa per incontrare Ernesto Rossi. Venne riconosciuto, denunciato alla polizia e arrestato il 14 aprile 1929. Deferito al Tribunale speciale, rivendicò la propria fede politica e i propri sentimenti antifascisti. Il 30 novembre 1929 fu condannato a dieci anni e nove mesi di reclusione e a tre anni di vigilanza. All’annuncio della condanna reagì inneggiando al socialismo e inveendo contro il fascismo. In risposta a tale atteggiamento di sfida venne recluso nel carcere romano di Regina Coeli e successivamente trasferito in una cella di isolamento nel penitenziario di Santo Stefano. Il suo nome fu associato a quello dei principali capi antifascisti: un simbolo dell’opposizione che il regime doveva controllare e recludere.

Le condizioni di salute di Pertini iniziarono a deteriorarsi mentre cominciava il suo itinerario attraverso luoghi di reclusione e di pena. Nel 1931 venne trasferito nel carcere di Turi, dove strinse amicizia con Antonio Gramsci. Nell'ottobre dello stesso anno fu assegnato al sanatorio giudiziario di Pianosa. Qui ricevette la notizia della domanda di grazia inoltrata da sua madre, che rifiutò categoricamente. Subì ulteriori sanzioni per atti di generosità nei confronti di alcuni detenuti che, sommate alla condanna per l’aiuto dato alla fuga di Turati, prolungarono la sua permanenza sull’isola toscana fino al settembre del 1935. Venne quindi inviato al confino a Ponza per espiare la pena comminata nel 1926 e da lì alle isole Tremiti. Dopo aver minacciato lo sciopero della fame, Pertini venne trasferito a Ventotene. Riacquistò la libertà nell’agosto del 1943, un mese dopo la caduta del fascismo: era pronto a partecipare alla fase decisiva della lotta di liberazione.

Pertini divenne uno dei protagonisti della Resistenza e delle sue strutture di comando. Inizialmente impegnato nella fondazione del Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP) e nella costituzione di un comitato militare congiunto con il Partito d’azione e il Partito comunista italiano (PCI), il 10 settembre 1943 combatté in difesa di Roma, a Porta San Paolo. Continuò la sua febbrile attività fino alla metà di ottobre, allorché, insieme a Giuseppe Saragat, venne arrestato, tradotto a Regina Coeli e condannato a morte. Riuscì a evadere il 24 gennaio 1944 e riprese il suo posto nell’apparato del Partito e nella giunta militare centrale del Comitato di liberazione nazionale (CLN). A fine maggio 1944 si spostò nell’Italia settentrionale. Assunse la guida del PSIUP in qualità di segretario. Organizzò e coordinò la lotta armata nelle regioni del Nord.

Richiamato da Nenni a Roma all’inizio dell’estate, Pertini attraversò le linee del fronte e prese parte alla battaglia per la liberazione di Firenze. Nell’ottobre 1944 decise di tornare nell’Italia settentrionale. Con l’aiuto degli Alleati e di alcuni militanti della Resistenza francese, attraversò le Alpi e raggiunse Milano. Fu tra i membri della giunta rivoluzionaria del CLN nell’insurrezione del 25 aprile 1945. Il giorno successivo, in piazza Duomo, tenne il suo primo comizio, annunciando alla radio l’avvenuta liberazione del capoluogo lombardo.

Insignito della medaglia d’oro al valor militare per meriti partigiani (1953), identificò nella Resistenza l’elemento fondante dell’identità repubblicana: analoga al Risorgimento nella sua spinta ideale, ma distinta per il carattere popolare e collettivo e per il patrimonio di aspettative di libertà, pace e giustizia sociale. Convinto antimonarchico, rimase contrario alle ipotesi di amnistia per i fascisti e rappresentò uno dei simboli più in vista della nuova Italia nata dalla cesura del secondo conflitto mondiale.

La sua parabola politica attraversò le fasi della rinascita postbellica. Segretario del PSIUP dall’estate al dicembre del 1945, fece parte della direzione del PSI dal 1947 al 1955, anno in cui fu designato vicesegretario. Membro della Consulta nazionale, il 2 giugno del 1946 venne eletto all’Assemblea costituente. Sei giorni più tardi, in Campidoglio, sposò, con rito civile, la giovane staffetta partigiana Carla Voltolina (1921-2005).

Senatore di diritto nella I legislatura, nella II fu eletto alla Camera dei deputati, per essere confermato senza interruzioni fino al 1976. Nei primi anni del dopoguerra riprese l’attività giornalistica; diresse l’Avanti! (1946-47, 1949-51) e il Lavoro nuovo di Genova (1947-68).

Strenuo sostenitore dell’unità socialista, al congresso di Firenze (aprile 1946) si schierò a favore dell’autonomia dal PCI. Nel gennaio del 1947 Pertini si prodigò per impedire la scissione dei socialdemocratici guidati da Saragat e fu l’unico tra i dirigenti di punta del Partito a recarsi a palazzo Barberini per esortare gli scissionisti a desistere.

Contrario alle liste unificate del Fronte democratico popolare con il PCI, dopo la sconfitta elettorale del 1948 accentuò la posizione autonomista: impostazione anticomunista associata alla rivendicazione di uno spazio autonomo per la tradizione socialista. In occasione dell’attentato a Palmiro Togliatti (1948), denunciò in Parlamento l’atmosfera di ostilità nei confronti della sinistra e si adoperò affinché la situazione non sfociasse in un tragico scontro tra opposte visioni politiche. Nel 1953 fu tra coloro che si opposero alla cosiddetta ‘legge truffa’ per la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario.

Dalle aule parlamentari e dalle colonne di diversi quotidiani richiamò costantemente l’attenzione al rispetto delle regole democratiche. Avversò qualunque provocazione reazionaria, scagliandosi contro i metodi illiberali di repressione delle manifestazioni di piazza. Attaccò i provvedimenti arbitrari a danno di politici, sindacalisti e studenti. Il 30 giugno 1960 fu tra i protagonisti della mobilitazione collettiva contro la decisione del Movimento sociale italiano (MSI) di tenere il proprio congresso a Genova, città medaglia d’oro per la Resistenza, fatto che portò alle manifestazioni antifasciste e alla loro violenta repressione. Fece da tramite con una nuova generazione di antifascisti formatasi nei primi anni del dopoguerra.

All’interno del PSI evitò di porsi a capo di una corrente, preferendo il profilo di un riferimento ideale e di un esempio per i militanti più giovani. Nel Comitato centrale del 15 maggio 1964 sostenne che «la segreteria del partito avrebbe dovuto vigilare attentamente affinché nessuna forma di affarismo penetrasse all’interno del Psi» (Gandolfo, 2013b, p. 531).

Fautore della pace e della distensione tra i blocchi, nel clima della guerra fredda condivise l’orientamento prevalente nella sinistra italiana secondo il quale l’Urss, vincitrice contro il nazismo e il fascismo, era garante degli equilibri seguiti alla fine del secondo conflitto mondiale. Si oppose al Piano Marshall e fu ugualmente contrario all’adesione italiana al Patto atlantico. Non condivise né accompagnò le scelte fondamentali della collocazione internazionale della nuova Repubblica. D’altro canto, dopo gli avvenimenti del 1956, pur non venendo meno la fiducia nell’esperienza scaturita dalla rivoluzione d’ottobre, Pertini riaffermò i principi della legalità democratica, del diritto all’autodeterminazione e alla sovranità nazionale, palesemente violati dai carri armati sovietici.

Dopo la nascita dei governi di centro-sinistra, che accolse favorevolmente come il segnale di un significativo passo avanti nella rappresentanza della classe operaia, Pertini si aprì all’atlantismo, condividendone la funzione difensiva e stabilizzatrice. Partecipò alle prime stagioni dell’europeismo richiamandosi al disegno di un’Europa unita aperta al resto del mondo, fondata sul protagonismo dei popoli e non dei capitali.

La sua intensa partecipazione alla vita pubblica si tradusse in una presenza crescente all’interno del quadro istituzionale. A partire dalla II legislatura prese parte, con vari incarichi, ai lavori di diverse Commissioni parlamentari. Fu vicepresidente della Camera nella IV legislatura. Il 5 giugno 1968 venne chiamato a presiedere l’assemblea di Montecitorio con 364 voti su 583.

Primo presidente non democristiano dal 1948, la sua elezione si inserì nel clima di stallo della politica di centro-sinistra, che condusse in avvio della V legislatura alla nascita del secondo governo Leone (monocolore democristiano), in attesa di un nuovo accordo tra democristiani e socialisti che potesse ridare slancio all’apertura a sinistra.

Durante il mandato di presidente dell’aula si tennero dibattiti impegnativi, su tematiche di grande impatto sociale (l’approvazione della legge sul divorzio e dello statuto dei lavoratori), e di attuazione del dettato costituzionale (l’istituzione delle regioni, la riforma previdenziale e quella tributaria, la disciplina dell’istituto referendario). Sotto la presidenza Pertini, nel febbraio 1971, si giunse all’approvazione del nuovo regolamento della Camera dei deputati che rafforzò i poteri dei gruppi parlamentari e le attività delle Commissioni. Il suo stile diretto ed energico incontrò grande consenso tra i cittadini: si rese protagonista e garante di un canale di comunicazione diretto con le istituzioni. Denunciò i fenomeni degenerativi del sistema politico.

All’indomani dello scandalo del petrolio, il 10 marzo 1974, scelse La Domenica del Corriere per socializzare il suo punto di vista: «Amici miei, io non resto un minuto di più su questa sedia se la mia coscienza si ribella. Non accetterò mai di diventare il complice di coloro che stanno affossando la democrazia e la giustizia in una valanga di corruzione» (2012, p. 7). Negli anni trascorsi sullo scranno più alto di Montecitorio inaugurò l’abitudine di ricevere delegazioni di giovani e studenti, per discutere con le nuove generazioni i problemi e le prospettive del Paese.

Il 25 maggio 1972, con 519 voti su 615, Pertini fu confermato presidente della Camera, dove rimase fino alla fine della VI legislatura.

Nel 1978, in seguito alle tormentate dimissioni di Giovanni Leone, nella difficile ricerca di un’intesa tra le forze politiche, emerse la candidatura di Pertini per la massima magistratura dello Stato. In un clima politico fortemente segnato dal peso della questione morale e dall’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse (9 maggio 1978), l’8 luglio, al sedicesimo scrutinio, Pertini venne eletto settimo presidente della Repubblica. Sostenuto da uno schieramento che escludeva l’estrema destra, ottenne una maggioranza larghissima e senza precedenti: 832 voti su 995. Nel suo discorso di insediamento dichiarò di voler essere il presidente di tutti gli italiani e presentò l’ossatura ideale di un mandato ispirato alle eredità feconde della stagione costituente: richiamo alla pace («si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame»), alla libertà («bene prezioso e inalienabile») e alla giustizia sociale, centralità del processo d’integrazione nel vecchio continente, unità delle forze democratiche contro la minaccia terroristica, superamento degli antagonismi ideologici, lotta alla corruzione. Con energia rivendicò la necessità di una spinta riformatrice incentrata sui cardini del dettato costituzionale: occupazione, con particolare attenzione a quella giovanile, politiche per la casa, diritto alla salute e all’istruzione, promozione della cultura e della ricerca scientifica. La Carta del 1948 rimase il suo orizzonte di riferimento valoriale e la sua ispirazione costante. Come primo atto scelse di rendere omaggio alla tomba di Moro a Torrita Tiberina (10 luglio 1978).

A differenza dei predecessori, Pertini improntò la sua azione a un notevole dinamismo, dando un’interpretazione più attiva della carica e delle funzioni di presidente della Repubblica. Dotato di grande slancio comunicativo e di un linguaggio semplice ed efficace, riscosse, in anni difficili e in circostanze spesso drammatiche, l’ampio consenso di chi vedeva in lui il rappresentante di un’Italia diversa, non toccata dagli scandali. Il Diario tenuto dal Segretario generale al Quirinale, Antonio Maccanico, riflette «il senso della straordinaria trasformazione della presidenza» e di un cammino finalizzato alla «possibilità di ridare prestigio alla suprema magistratura» (Maccanico, 2014, pp. 45 e 49). I suoi interventi politici furono condotti secondo uno stile schietto e talvolta duro e irruento, come avvenne il 26 novembre 1980, dopo il terremoto in Irpinia, quando, in un messaggio televisivo alla Nazione, si scagliò contro la lentezza dei soccorsi e l’inefficienza dell’intervento.

Nella crisi di governo del gennaio 1979 affidò per la prima volta l’incarico a un laico, il repubblicano Ugo La Malfa, che non riuscì nel suo intento per i veti incrociati della Democrazia cristiana (DC) e del PCI. Fu ancora Pertini ad affidare il compito a un altro repubblicano, Giovanni Spadolini, nel giugno 1981, e, dopo di lui, al leader del PSI Bettino Craxi, nell’agosto del 1983.

In campo internazionale Pertini si mosse con le contraddizioni e le debolezze di un pacifista coerente, esprimendosi a favore di un disarmo totale e controllato (aprile 1983), o dichiarando che il contingente italiano di stanza in Libano andava richiamato in caso di guerra (Messaggio di fine anno, 31 dicembre 1984).

L’autorevolezza con cui seppe interpretare il ruolo di presidente, insieme al prestigio che lo circondava come intransigente alfiere dell’antifascismo, contribuirono in misura determinante a stabilizzare le sorti della democrazia italiana in uno dei suoi momenti più travagliati.

Erano gli anni dell’attacco terrorista, della stagnazione economica, nel contesto della tormentata fase politica seguita all’esaurimento della solidarietà nazionale e all’assassinio di Moro. La Presidenza della Repubblica si rivelò una risorsa preziosa, fondamentale per tentare di uscire dalla strettoia della crisi italiana pur rischiando di svolgere una funzione di supplenza rispetto al deficit di credibilità delle classi dirigenti e del ‘sistema Paese’ nel suo complesso. Le parole consegnate al Diario da Maccanico sono emblematiche: «Ormai Pertini è un grande illusionista: fa credere agli stranieri che esista un’Italia seria e affidabile» (Maccanico, 2014, p. 120).

Durante il settennato emersero con forza la fermezza e lo spessore umano del suo carattere; Pertini riuscì a riaccendere la fiducia degli italiani nelle istituzioni pur misurandosi con le premesse di una crisi di sistema che si rivelerà irreversibile. Fu definito ‘il Presidente più amato dagli italiani’ o quello ‘dei funerali di Stato’ in occasione delle vittime di mafia dei primi anni Ottanta. Il suo volto sofferente accompagnò la prima diretta televisiva su un fatto di cronaca a fianco della mamma di Alfredino Rampi sul bordo del pozzo di Vermicino dove il bimbo era precipitato (giugno 1981) e dove poi morì, mentre la gioia incontenibile per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 1982 in Spagna lo fece esultare in tribuna rompendo ogni vincolo di protocollo.

Viaggiò molto in Italia e all’estero: un totale di 203 interventi, più di 40 i viaggi, 75 gli incontri con capi di Stato esteri. Fu il primo presidente a compiere una visita in Cina, nel 1980, unica occasione ufficiale con la presenza della moglie, quasi dieci anni dopo l’apertura delle relazioni diplomatiche bilaterali. Fu anche il primo capo di Stato italiano a recarsi in Giappone dall’imperatore Hirohito, nel marzo 1982. Negli anni di presidenza, manifestò più volte il suo impegno nella lotta per la difesa dei diritti umani: contro l’apartheid in Sudafrica, le dittature sudamericane e l’intervento sovietico in Afghanistan.

Grande comunicatore, mise in evidenza, anche in occasioni ufficiali, una straordinaria schiettezza e, al tempo stesso, un respiro consapevole e misurato, che conferivano alle sue parole il carattere di un messaggio non episodico o incidentale.

Nessun capo di Stato o uomo politico italiano ha conosciuto all’estero una popolarità paragonabile a quella di Pertini. Ricevette lauree honoris causa in università prestigiose (Columbia University, Università di Oxford e di Madrid), divenne Accademico di Francia.

Da capo dello Stato conferì l’incarico a sei presidenti del Consiglio: Giulio Andreotti (del quale aveva respinto le dimissioni di cortesia presentate nel 1978), Francesco Cossiga (1979 e 1980), Arnaldo Forlani (1980), Giovanni Spadolini (1981 e 1982), Amintore Fanfani (1982) e Bettino Craxi (1983). Nominò tre giudici della Corte costituzionale: Virgilio Andrioli (1978), Giuseppe Ferrari (1980), Giovanni Conso (1982), e cinque senatori a vita: Leo Valiani (1980), Eduardo De Filippo (1981), Camilla Ravera (1982, prima donna senatrice a vita), Carlo Bo e Norberto Bobbio (1984). Non risiedette al Quirinale, preferendo mantenere la residenza nel proprio appartamento a piazza Fontana di Trevi.

Il 29 giugno 1985 rassegnò le dimissioni e divenne, di diritto, senatore a vita. Nell’ultima fase della sua vita l’unico incarico che decise di accogliere fu la presidenza della Fondazione di studi storici Filippo Turati di Firenze.

Morì a Roma, all’età di novantatré anni, il 24 febbraio 1990.

Opere. Per un esaustivo e aggiornato repertorio, comprensivo degli articoli a stampa, degli interventi pubblici e delle lettere, è consultabile on-line la completa Bibliografia degli scritti e discorsi di Sandro Pertini (1924-2007), a cura di A. Gandolfo, http://www.fondazione pertini.it/asp/leggi.asp?IdSez=3&idcontenuto =745&IdSottoSez=55.

Si segnalano: S. P.: sei condanne, due evasioni, a cura di V. Faggi, Milano 1970; La mia Repubblica, a cura di G. Spadolini, Manduria-Bari-Roma 1990; Scritti e discorsi di S. P., a cura di S. Neri Serneri - A. Casali - G. Errera, Roma 1991; Carteggio: 1924-1930, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma 2005; Lettere dal carcere: 1931-1935, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma 2006; Discorsi parlamentari 1945-1976, a cura di M. Arnofi, Roma 2006; Dal confino alla Resistenza. Lettere: 1935-1945, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma 2007; Dal delitto Matteotti alla Costituente. Scritti e discorsi: 1924-1946, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma 2008; Discorsi e messaggi del presidente della Repubblica A. P., Roma 2009; Anni di guerra fredda. Scritti e discorsi 1947-1949, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma 2010; La cooperazione. Tesi di laurea discussa nell’anno 1924 presso l’Istituto di Scienze sociali Cesare Alfieri di Firenze, a cura di S. Tringali, Genova 2012; Gli uomini per essere liberi, a cura di P. Pierri, Torino 2012.

Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, Ufficio dipendenti dalla Sezione Prima, Ufficio confino di polizia, Fascicoli personali (1926-1943), b. 781; ibid., Divisione Polizia Politica, Fascicoli personali, pacco 997, f. 33; Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, b. 3881; ibid., Categoria A1, Informazioni politiche personali, anno 1927, b. 20; Tribunale speciale per la difesa dello Stato, anno 1929, b. 219, f. 01636; Documentazione diffusa su Pertini si trova presso l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, Ufficio per gli Affari giuridici e le relazioni costituzionali, Ufficio per gli affari dell’amministrazione della giustizia, Ufficio per la stampa e la comunicazione; per un puntuale resoconto dell’attività parlamentare di Pertini è possibile consultare i portali istituzionali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, a partire dalle seguenti pagine web: http:// storia. camera.it/deputato/alessandro-pertini-18960925#nav, http://storia.camera.it/presidenti/ pertini-alessandro#nav, http://www.senato.it/ leg/01/BGT/Schede/Attsen/00001844.htm

Sul settennato al Quirinale, http://www. quirinale.it/qrnw/statico/ex-presidenti/Pertini/per-biografia.htm.

R. Uboldi, Il cittadino S. P., Milano 1982; G. Bisiach, P. racconta: gli anni 1915-1945, Milano 1983; D. Lajolo, P. e i giovani, Roma 1983; R. Uboldi, P. soldato. Il dramma della prima guerra mondiale nei ricordi di un italiano, Milano 1984; M. Guidotti, S. P.: una vita per la libertà, Roma 1987; V. Balzamo, S. P.: il Presidente di tutti gli italiani, Roma 1990; Il ‘sovversivo’ P. (1925-1943), a cura di S. Carbone, Cosenza 1991; Z. Ciuffoletti - M. Degl’Innocenti - G. Sabbatucci, Storia del Psi dal dopoguerra ad oggi, Roma-Bari 1993; S. P., combattente per la libertà, a cura di S. Caretti - M. Degl’Innocenti, Manduria-Bari-Roma 1996; S. P. nella storia d’Italia, Manduria-Bari-Roma 1997; P. giornalista a Genova, a cura di A. Maiello - U. Merani, Genova 1997; A. Gandolfo, Il giovane P.: da Stella a Nizza 1896-1929, Genova 2002; R. Di Stefano, “Mia cara Marion…” 1926-1949. Dal carcere alla Repubblica: gli anni bui di S. P. nelle lettere alla sorella, Genova 2004; L. Compagnino, P. Presidente per sempre, Genova 2005; I presidenti: da Enrico De Nicola a Carlo Azeglio Ciampi, a cura di S. Colarizi - G. Sabbatucci, Novara 2006, pp. 163-175; G. Galli, Storia del socialismo italiano: da Turati al dopo Craxi, Milano 2007; G. Scroccu, La passione di un socialista. S. P. e il Psi dalla Liberazione agli anni del centro-sinistra, Manduria-Bari-Roma 2008; A. Pertini, La politica delle mani pulite, a cura di M. Almerighi, Milano 2012; Visite dei Presidenti della Repubblica in Italia (1948-2006), a cura di M. Cacioli, Roma 2012, pp.72-85; Guida ai fondi dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, a cura di P. Carucci - M. Cacioli - L. Curti, Roma 2013; Viaggi all’estero dei Presidenti della Repubblica Italiana e visite in Italia di capi di Stato esteri (1948-2006), a cura di M. Cacioli - L. Curti, Roma 2013, pp. 59-62, 117-122; A. Gandolfo, S. P.: dalla nascita alla Resistenza 1896-1945, Roma 2013a; Id., S. P.: dalla Liberazione alla solidarietà nazionale 1945-1978, Roma 2013b; A. Maccanico, Con P. al Quirinale. Diari 1978-1985, a cura di P. Soddu, Bologna 2014.

Altre risorse disponibili in rete: Fondazione Sandro Pertini (Firenze), www.fondazionepertini.it; Museo Virtuale e Centro Espositivo Sandro Pertini (CESP, Firenze), www.pertini.it; Associazione Sandro Pertini (Stella), www.assopertini.it; Centro socio-culturale Sandro Pertini (Zola Predosa, BO), www.centropertinizola.it; Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona, www.isrecsavona.it.

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