VELLUTELLO, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VELLUTELLO, Alessandro

Donato Pirovano

– Nacque a Lucca nel novembre del 1473, come si ricava dall’atto di battesimo conservato all’Archivio arcivescovile di Lucca (S. Giovanni, Bacchetta battezzati, n. 2, c. 104r), che alla data del 13 novembre 1473 registra «Alexandrum Mactei de Veglutellis parrochiani nostri».

La famiglia Vellutelli o Veglutelli, probabilmente di origine artigiana o comunque vicina al mondo mercantile, risiedeva nella parrocchia dei Ss. Giovanni e Reparata. Lo stemma era costituito da un mezzo leone rosso in campo argento soprastante una sezione inferiore a scacchi di color argento e rosso. Il padre di Alessandro, Matteo, fu anziano della Repubblica tredici volte dal 1457 al 1483, e risulta già morto nel 1486 (Archivio di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, 766, c. 287); ebbe altri tre figli maschi (Guglielmo, battezzato il 22 marzo 1464; Giovanni, battezzato il 23 maggio 1466 e Paolino) e almeno due femmine (Margherita, battezzata il 14 luglio 1468, e Angela, battezzata il 17 luglio 1470). I fratelli di Alessandro ricoprirono per alcuni periodi la carica di anziano della Repubblica, mentre non sembra che lui ne sia mai stato investito.

È molto probabile che Vellutello abbia ricevuto una buona educazione umanistica: i suoi commenti a Petrarca e a Dante rivelano conoscenze storiche e letterarie ma, visto che si tratta di opere composte in età avanzata, non è facile ricostruire i tempi della sua formazione e delle sue letture.

Secondo Emmanuele Antonio Cicogna (Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 99), sposò Margherita Gonella, dalla quale nel 1516 nacque il primogenito Labieno. L’informazione si ricava indirettamente, dal momento che egli morì di febbre il 2 luglio 1576 all’età di sessant’anni (Archivio di Stato di Venezia, Provveditori della Sanità, Registro dei morti, 809). Non si conoscono invece le date di nascita e di morte dell’altro figlio, Pilade, nome riportato nei due alberi genealogici della famiglia Vellutelli (per i quali Archivio di Stato di Lucca, Archivio Arnolfini, 8, c. 267; Biblioteca manoscritti, 22, c. 248). I nomi dei figli, entrambi di matrice classica, non rispettano la tradizione familiare e sono un ulteriore indizio degli interessi letterari di Alessandro, che nelle sue pubblicazioni usò sempre il cognome Vellutello e mai Vellutelli o Veglutelli.

Sulla base delle indicazioni fornite dai due alberi genealogici citati, Pilade non ebbe discendenza. Qualcosa di più si sa di Labieno, che fu discepolo di Stefano Piazzone, il quale nel Praexercitamentorum libellus del 1526 sprona l’allievo esaltando il recente commento petrarchesco del padre. Labieno ricoprì a Venezia uffici di grande importanza per un forestiero: secondo Cicogna fu avvocato fiscale della Repubblica. Il suo testamento – che porta la data del 26 marzo 1573 e fu depositato direttamente presso il cancelliere Cesare Ziliol (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 1259, n. 599) – rivela che riuscì ad accumulare una certa ricchezza, probabilmente guadagnata in età matura, se la prima moglie Felicita Pegolotto, che testò e morì giovane, lamenta nel proprio testamento di non aver ricevuto nulla dal marito e dunque dispone di non lasciargli niente (ibid., b. 79, n. 393, rogato davanti al notaio Carlo Bianco il 5 agosto 1537). Labieno si sposò poi con Francesca Cavazza, da cui ebbe un figlio che chiamò Alessandro, il quale divenne vicario generale di tutte le miniere dello Stato veneto.

Nel 1516 Vellutello lasciò Lucca. La cura delle sue cose fu affidata al cugino Girolamo, di cui si sa che era stato battezzato il 4 marzo 1468 e che nel 1515 era stato nominato anziano della Repubblica. La procura è del 19 febbraio 1516 e fu depositata presso il notaio Giuseppe Priscilla (Archivio di Stato di Lucca, Archivio Arnolfini, 8, c. 267). Probabilmente fu prima a Milano e poi a Venezia, raggiunta intorno al 1522-23. La residenza milanese, pur non dimostrata da documenti d’archivio conosciuti, è riferita dallo stesso Vellutello che, nella dedica al lucchese Martino Bernardini del suo commento a Petrarca, dice di aver lasciato la città lombarda a causa della guerra conclusa con la battaglia di Pavia. La notizia è poi ribadita anche in un punto della Nova esposizione a Dante, quando, parlando del Tresor di Brunetto Latini, afferma di averlo posseduto e di averlo lasciato a Milano con altre cose a causa della guerra. Si potrebbe ragionevolmente far risalire l’allontanamento di Vellutello da Milano alla sanguinosa battaglia della Bicocca che, combattuta il 27 aprile 1522, fu il preludio alla finale battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525 (Stroppa, in corso di stampa). Negli anni milanesi Vellutello raggiunse almeno due volte la Provenza e Avignone, per condurre ricerche utili alla ricostruzione della vita di Francesco Petrarca.

La scelta di trasferirsi da Milano a Venezia – dove, secondo quanto riferisce Giuseppe Tassini nelle Curiosità veneziane (Venezia 1886, p. 379), abitava vicino a Corte Malatina a San Maurizio – fu ben ponderata: la città era un luogo privilegiato dagli emigranti lucchesi, i quali nell’agosto del 1359 avevano fondato la Scuola del Santo Volto, confraternita di riferimento della comunità in laguna. Grazie alla Storia della vita e fatti di Castruccio Antelminelli signore di Lucca di Agostino Ricchi, un parente di Vellutello che rimase a Venezia per alcuni anni attorno al 1530, è rimasta testimonianza della situazione della confraternita nel periodo che qui interessa e soprattutto della presenza in essa di Vellutello. Il legame tra i due conterranei è confermato dalla prefazione della commedia I tre tiranni (Venezia, Bernardino Vitali, 1533) dello stesso Ricchi, nella quale Vellutello scrisse una breve presentazione con alcuni rimandi alla commedia antica. È questo uno dei pochi indizi che rimangono – allo stato attuale delle ricerche – di Vellutello a Venezia, insieme a una lettera di Pietro Lauro, che accenna a un ragionamento avuto con lui, in cui pare che Vellutello biasimasse l’agricoltura (P. Lauro, De le lettere di m. Pietro Lauro modonese. Il primo libro, Venezia, s.n.t., ma Michele Tramezzino, 1553, pp. 132-135). Francamente è poco se si considera il contemporaneo e ininterrotto successo tipografico del commento petrarchesco, tanto più che Vellutello, a suo dire letterato non di professione e che comunque si era avvicinato ai torchi oltre i cinquant’anni, era stato introdotto nell’ambiente veneto da Nicolò Dolfin, curatore nel 1516 del Decameron stampato da Gregorio de’ Gregori e buon amico di Pietro Bembo. Fu proprio Dolfin, infatti, che incoraggiò Vellutello, il quale a Milano pare avesse già scritto il commento al Canzoniere, a estendere il suo lavoro esegetico ai Trionfi: questa genesi sembra confermata dalle date dei tre privilegi di stampa della princeps veneziana del 1525, visto che due di essi rimandano al 1523, anno in cui si può presumere che il commento fosse già sostanzialmente pronto per la pubblicazione, almeno per la parte relativa ai Rerum vulgarium fragmenta, elaborata dunque non a contatto con Bembo e l’ambiente veneziano, ma nella città lombarda (Stroppa, in corso di stampa).

Le volgari opere del Petrarca furono inizialmente edite a Venezia, per i tipi di Giovanni Antonio Nicolini da Sabbio e fratelli, nel 1525 e già nel 1528 uscì una seconda edizione ampliata presso Bernardino Vitali. L’aspetto più rilevante riguarda il macrotesto dei Rerum vulgarium fragmenta che segue un ordine tripartito: non riconoscendo l’autorialità dell’ordine presente nei manoscritti – e dunque contestando anche quello dell’Aldina del 1501, curata da Bembo e fondata sull’originale Vat. lat. 3195 – Vellutello presenta una prima parte che raccoglie testi scritti in vita di Laura, una seconda con quelli in morte della donna e una terza comprendente testi di argomento politico, morale o indirizzati ad altri destinatari. Il testo del Canzoniere viene, dunque, proposto non seguendo i codici (Vellutello ritiene che Petrarca non abbia lasciato un originale ordinato ma solo diversi separati fogli aggregati a posteriori), ma sulla base di tutti i possibili rimandi interni ed esterni che costituirebbero una biografia lirica di Francesco e Laura. L’aspetto biografico è ulteriormente messo in luce dalla mappa di Valchiusa inserita nel paratesto delle edizioni, anche se questa cartina – comprendente il luogo natio di Laura, individuato in Cabrières, e il fiumicello Lumergue lungo il quale sono collocati i fragmenta d’acqua non coincidenti con la Sorga (o il Po o il Rodano) – sulla quale è possibile seguire gran parte delle vicende biografiche dell’«opera», non è l’unica guida alla ricomposizione dell’ordinamento (Stroppa, in corso di stampa). Una parte delle notizie sulle origini di Laura fornite dal commentatore lucchese, come la sua appartenenza all’antica e nobile casata avignonese dei Sade, così come la stessa inedita struttura bifronte della sua biografia petrarchesca (Vita di Petrarca - Origini di Laura) provengono dalla conoscenza del Libro del mercante Luigi Peruzzi (Firenze 1410-Avignone 1484), edito da Gennaro Ferrante (Il libro di Luigi Peruzzi. Saggio introduttivo, testo critico e commento, Bologna 2016). Rilevanti sono anche la stretta aderenza al testo e la spiegazione letterale, che non eccede in inserti allotri, perché il commento a giudizio del suo autore vuole essere il più possibile funzionale alla lettura e alla comprensione del testo. Questo metodo, che può affondare le sue radici nella formazione lucchese di Vellutello aliena dal contemporaneo neoplatonismo fiorentino, risente anche dell’ambiente milanese, dal quale derivano pure la sottile polemica con Francesco Filelfo e l’uso di certe fonti, come per esempio la Patria historia di Bernardino Corio; curioso e suggestivo è anche un riferimento a «Leonardo Vinci» (così la forma autoriale e autografa), messo in luce da Stroppa nel commento a In qual parte del ciel, in quale idea (Canzoniere, n. 159), in cui il cenno alla «imagine di Maria» è da intendersi alla Vergine delle Rocce, eseguita in due versioni su committenza milanese; e a Milano Vellutello potrebbe aver visto il cosiddetto Codice Sforza, che recava i testi del Paragone delle arti (Stroppa, in corso di stampa).

Per quanto riguarda i Trionfi, composti verosimilmente a Venezia, Vellutello si attenne al modello del precedente commento di Bernardo Ilicino, come dimostra il frequente riuso di nomi e fonti, ma rifiutò l’amplificatio del senese, preferendo una parafrasi più puntuale e più aderente al testo, senza derive enciclopediche.

Il mercato premiò a lungo il commento di Vellutello, come confermano le circa venti edizioni cinquecentesche, ma la già rilevata assenza di tracce dell’autore a Venezia è un segno eloquente dell’emarginazione che egli subì, messo da parte dall’ambiente colto e dall’élite di letterati che s’era formata intorno a Bembo. Tale esclusione è sancita dalle parole ironiche, se non sprezzanti, con le quali Cola Bruno, in una lettera del 23 maggio 1539 a Ludovico Beccadelli (Parma, Biblioteca Palatina, Parm. Pal. 1019/2, cc. 33r-34v) parlava del commento, scrivendo di desiderare «un commento sopra il Petrarca non di vellutello, ma di finissimo velluto, anzi di finissimo oro» e aggiungendo «Et questa riprensione non è mia, ma è di messer Triphone», cioè quel Trifone Gabriel autore delle lezioni orali su Dante tanto apprezzate dall’ambiente veneto. Ciò nonostante, forte del suo successo editoriale, Vellutello nel 1534 pubblicò un’edizione delle opere di Virgilio corredata dai commenti di Servio e Probo e, nel 1544, per i tipi di Francesco Marcolini, la Nova esposizione alla «Comedia» di Dante. Se entrambi i lavori furono editi con partecipazione alle spese da parte del commentatore, questi investimenti, distribuiti nel tempo, non consentono di ritenere l’attività esegetica finalizzata al mercato come unica o fondamentale fonte di guadagno.

La struttura della Nova esposizione, stampata in quarto, è molto chiara: dopo la dedica a papa Paolo III, segue una premessa del commentatore ai lettori, poi una sezione dedicata alla vita di Dante sostanzialmente fondata sulla biografia dantesca di Leonardo Bruni. Ogni cantica è preceduta da una descrizione topografica, con una ricostruzione minuziosa del viaggio dedotta dai versi della Commedia. Il commento vero e proprio è svolto canto per canto, a porzioni selezionate di testo. Il volume è corredato da ottantasette xilografie, tre grandi a piena pagina premesse a ciascuna cantica e ottantaquattro più piccole, opera probabilmente del tedesco Johannes Brit o Breit (italianizzato Giovanni Britto), legato a Tiziano e all’Aretino, e che lavorò anche per Marcolini (Rossi, 2007, pp. 127 s.). Nel suo complesso l’apparato iconografico della Nova esposizione – al quale Vellutello partecipò direttamente come ideatore – intese rappresentare nella sua interezza il viaggio di Dante con attenzione costante alla topografia e alla cosmografia oltremondane.

Nella premessa Ai lettori Vellutello spiega le finalità e le caratteristiche dell’edizione, affermando con forza che la migliore interpretazione era la spiegazione precisa del significato letterale e poi, eventualmente, allegorico del testo. Questo metodo di privilegiata aderenza agli aspetti testuali richiedeva la stretta interrelazione tra esegesi e filologia. Secondo Vellutello, infatti, senza un testo rigorosamente accertato era impossibile esercitare una corretta esegesi. Egli mostrò la sua totale insoddisfazione per il testo aldino curato da Bembo, che da anni costituiva la vulgata dantesca cinquecentesca (1ª ed. 1502; 2ª ed. 1515), e contro la filologia bembiana del codex antiquissimus e dunque optimus (Bembo si basò principalmente sul Vat. lat. 3199), il lucchese propose un nuovo testo della Commedia fondato sulla collazione di diversi testi manoscritti e a stampa, le cui lezioni vennero scelte soprattutto in funzione dell’esegesi.

Sul piano propriamente esegetico Cristoforo Landino era l’antagonista dichiarato, ma la sua presenza aleggiava su tutta la Nova esposizione e in molti punti la chiosa del commentatore fiorentino era letteralmente ripresa. Un’altra presenza ragguardevole è quella di Martino Paolo Nibia (detto Nidobeato), mai esplicitamente nominato ma costantemente utilizzato: più che dalle glosse della trecentesca esegesi al poema – com’è noto la nidobeatina aderisce alquanto al commento di Iacomo della Lana –, Vellutello sembra attratto dalle numerosissime citazioni classiche, bibliche e patristiche introdotte da Nidobeato. Un’altra presenza rilevante nella Nova esposizione, accanto a Landino e Nibia, è costituita dalle Chiose Ambrosiane, tradite dal codice C.198 inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, che, dunque, era posseduto da Vellutello.

Vellutello si spense non molti anni dopo il 1544, anno di uscita del commento dantesco, ma il luogo e la data della sua morte sono ancora sconosciuti.

Opere. La produzione di Vellutello consiste solo in edizioni di testi: Le volgari opere del Petrarcha con la espositione di Alessandro Vellutello da Lucca, Venezia, G.A. Nicolini da Sabbio e fratelli, 1525; Publii Vergilii Maronis Bucolica, Georgica, Aeneis cum Servii Probique commentariis ac omnibus lectionum variationibus in antiquis codicibus repertis, in Venetiis, per Alexandrum Vellutellum accuratissime revisi, et emendati, et propriis expensis in aedibus Petri de Nicolinis de Sabbio impressi, 1534 mense Septembri; La Comedia di Dante Aligieri con la nova espositione di Alessandro Vellutello, Venezia, Francesco Marcolini, 1544. Il commento dantesco di Vellutello fu poi riedito, insieme a quello di Cristoforo Landino, a cura di Francesco Sansovino, Venezia, Melchiorre Sessa, 1564 (poi ristampato nel 1578 e nel 1596). L’edizione critica e commentata della Nova esposizione è compresa nella Edizione nazionale dei Commenti danteschi, n. 31: A. Vellutello, La “Comedia” di Dante Aligieri con la nova esposizione, a cura di D. Pirovano, Roma 2006. È in corso di stampa l’edizione anastatica della princeps del commento petrarchesco a cura di S. Stroppa nell’ambito del progetto di pubblicazione dei Commenti antichi dei “Rerum vulgarium fragmenta” e dei “Triumphi”, diretto da Gino Belloni, Giuseppe Frasso, Manlio Pastore Stocchi e Francesco Piovan, sotto il patrocinio dell’Ente nazionale Francesco Petrarca.

Fonti e Bibl.: Sul commento di Petrarca soprattutto G. Belloni, Laura tra Petrarca e Bembo. Studi sul commento umanistico-rinascimentale al “Canzoniere”, Padova 1992, pp. 58-95; H.W. Storey, The economies of authority: Bembo, V., and the reconstruction of “Authentic Petrarch”, in «Accessus ad auctores». Studies in honor of Christopher Kleinhenz, a cura di F. Alfie - A. Dini, Tempe 2011, pp. 493-506; S. Albonico, Osservazioni sul commento di Vellutello a Petrarca, in Il poeta e il suo pubblico. Lettura e commento dei testi lirici nel Cinquecento, a cura di M. Danzi - R. Leporatti, Genève 2012, pp. 63-100; C. Busjan, Petrarca-Hermeneutik. Die Kommentare von A. V. und Giovan Andrea Gesualdo m epochalen Kontext, Berlin 2013; S. Stroppa, Oltre la questione dell’«ordine mutato»: sul commento di A. V. al Petrarca volgare, in corso di stampa. Sul commento di Dante, oltre all’edizione critica citata, C. Dionisotti, V., A., in Enciclopedia dantesca, V, Roma 1984, pp. 905 s.; P. Procaccioli, La Nova espositione di A. V. Un Dante per il Cinquecento, in L’Alighieri, XLVII (2006), pp. 41-70; D. Pirovano, A. V. esegeta e filologo della “Commedia”, in Rivista di studi danteschi, VII (2007), pp. 104-140; P. Guérin, Pour une exégèse des «sentiments»: la tâche du bon interprète selon A. V., commentateur de Dante, in Autour du livre italien ancien en Normandie, a cura di S. Fabrizio-Costa et al., Bern 2011, pp. 195-218; D. Pirovano, A. V., in Censimento dei Commenti danteschi, II, I Commenti di tradizione a stampa (dal 1477 al 2000) e altri di tradizione manoscritta posteriori al 1480, a cura di E. Malato - A. Mazzucchi, Roma 2014, pp. 24-31. Sull’apparato grafico della Nova esposizione cfr. M. Rossi, A. V. e Giovanni Britto che «per sé fuoro». Sul corredo grafico della “Nova esposizione”, in Studi rinascimentali, V (2007), pp. 127-144; M. Collins, The forgotten Morgan Dante drawings, their influence on the Marcolini “Commedia” of 1544, and their place within a visually-driven discourse on Dante’s poem, in Dante Studies, CXXXVI (2018), pp. 93-132; R. Eitel-Porter, Drawings for the Woodcut Illustrations to A. V.’s 1544 Commentary on Dante’s “Comedia”, in Print Quarterly, XXXVI (2019), pp. 3-16.

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