Kojeve, Alexandre

Dizionario di filosofia (2009)

Kojeve, Alexandre


Kojève, Alexandre

Filosofo russo, naturalizzato francese (Mosca 1902 - Bruxelles 1968). Figlio di un’agiata famiglia borghese, nipote di Vassilij Kandinskij, nel 1920 fuggì dalla Russia bolscevica. Segnato dal nichilismo fin dagli anni precedenti all’esilio, nei quali sviluppò un’originale filosofia della «in-esistenza», dopo un periodo di studio a Heidelberg con Jaspers, si stabilì a Parigi nel 1926. Decisivo fu qui l’incontro con Koyré, che lo introdusse nell’ambiente intellettuale parigino e al quale successe nell’incarico di insegnamento di filosofia della religione. Fu in quest’occasione che, fra il 1933 e il 1939, K. tenne quei corsi sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel (pubblicati solo nel 1948, col titolo di Introduction à la lecture de Hegel, a cura di R. Queneau; trad. it. Introduzione a Hegel) che avrebbero lasciato un’impronta profonda e duratura su tutta la cultura, soprattutto filosofica, francese; infatti, buona parte dell’intellettualità parigina – fra cui Lacan, Merleau-Ponty, Breton, Bataille e anche Benjamin, allora esule a Parigi – frequentò con più o meno assiduità le lezioni di Kojève. La lettura, originalissima e creativa, che egli fa del testo di Hegel è soprattutto concentrata sulla famosa sezione di esso in cui si tratta della dialettica fra il servo e il signore. Inserendo, nell’interpretazione del testo, riferimenti a Marx, a Nietzsche, a Heidegger e a Husserl («fenomenologia» assume per K. un significato ben più ampio e attuale di quello che ha nel capolavoro hegeliano), egli sottolinea come il desiderio infinito, che caratterizza l’uomo e lo distingue dall’animale, non può essere soddisfatto che dal riconoscimento di un altro uomo; ma ciò non può che dar luogo a una lotta a morte, poiché solo affrontando il rischio della morte, uccidendo o venendo ucciso, l’uomo è veramente uomo. Morte, violenza, nulla sono dunque l’altra faccia della libertà dell’uomo, che deve esercitarle sia contro sé stesso, reprimendo autoritariamente la sua individualità e i suoi istinti, che nei confronti degli altri: solo la ferrea disciplina sociale, culminante nel lavoro forzato e nel Terrore (trasparente è il riferimento al Terrore staliniano degli anni Trenta), può portare al completo soggiogamento della natura. Una volta raggiunto questo stadio, con il pieno sviluppo delle forze produttive, anche tutte le disuguaglianze potranno essere tolte e, in un mondo in cui il lavoro è stato ormai completamente sostituito dalle macchine, gli uomini potranno tornare a una condizione preculturale, conducendo una vita pressoché animale: è la prospettiva della fine della storia, che grande influenza avrà nelle discussioni successive alla Seconda guerra mondiale e che è stata ripresa, con un indirizzo politico assai differente, dai tardi seguaci di K. negli Stati Uniti (A. Bloom, F. Fukuyama), dimostrando il persistere della sua influenza ancora ai nostri giorni.

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