Alfabetizzazione

Dizionario di Storia (2010)

alfabetizzazione


La scrittura alfabetica è già attestata a metà del 2° millennio a.C. (alfabeto ugaritico, poi alfabeto protocananaico), e fu diffusa dai fenici (a partire dal sec. 11° a.C.) nel Mediterraneo, in particolare nella Grecia arcaica (sec. 9°-8°). Molto più semplice dei precedenti sistemi logo-sillabici, usabili solo da scribi specializzati, l’alfabeto si diffuse in ampi strati della popolazione e portò tra 8° e 6° sec. a.C. a un incremento sia del numero di individui capaci di scrivere e per lo più anche di leggere (in ogni tempo le due operazioni non coincidono sempre e comunque), sia della quantità di prodotti scritti. Un aumento di scritte esposte alla pubblica lettura si ebbe con l’istituzione della democrazia ateniese. A Roma un più ampio uso della scrittura rispetto all’epoca arcaica si deve ammettere già tra il 5° e il 3° sec. a.C. (a cui risalgono anche le più antiche tracce di scrittura alfabetica in India) e ancor più nei secoli successivi. Ma è l’impero che si mostra come l’epoca di maggiore diffusione dell’a. in tutto il corso della civiltà greca e romana. Il cristianesimo si affermò così in una società con un’ampia diffusione di prodotti scritti, ma la tarda antichità, in particolare il periodo tra i secc. 4°-6°, segnò una progressiva contrazione dell’alfabetizzazione. In seguito, il crollo delle strutture urbane determinò la scomparsa delle scuole di antica tradizione a qualsiasi livello. A mantenere in vita un certo grado di a. era, in sostanza, solo l’insegnamento impartito all’interno di cerchie burocratiche o delle istituzioni religiose, vescovili o monastiche. Nell’alto Medioevo si giunse all’equivalenza tra clericus e litteratus  (chi è dotato della capacità di leggere e scrivere) e tra laicus e illitteratus (chi manca di quella capacità). Nel mondo arabo-islamico, la trasmissione del sapere era, a tutti i livelli, prevalentemente orale, condizione sancita autorevolmente dall’essere lo stesso Maometto analfabeta. Tuttavia, la fissazione del testo coranico (8° sec.) e in seguito quella della tradizione profetica e l’avvento contemporaneo dell’arabo come lingua ufficiale della cancelleria califfale crearono un duplice monopolio dell’uso della lingua scritta, detenuto dagli uomini di religione da un lato (➔ ‛ulama), dagli scribi di corte dall’altro. Tra il 12° e il 13° sec. l’intera Europa e l’Italia in particolare conobbero una sempre più larga diffusione dell’a. e di usi dello scritto. Nuovi e consistenti strati della popolazione laica si dimostrarono in grado di leggere e scrivere, si diffusero nuove pratiche di scrittura anche per quanto concerne le lingue volgari, si rinnovarono e si moltiplicarono le maniere di scrivere. L’epoca moderna, a partire dal tardo 15° sec. fino alla Rivoluzione francese, è segnata dall’invenzione della stampa, la quale venne a modificare profondamente gli usi dello scritto, così come le procedure e le politiche dell’alfabetizzazione. Anche la rivoluzione industriale determinò trasformazioni profonde nei modi del comunicare favorendo considerevolmente il moto di alfabetizzazione. Se questa aveva progredito nel Settecento negli strati medi della società, nell’Ottocento fu estesa alle classi inferiori, giacché nella città industriale gli usi dello scritto a un qualche livello diventavano sempre più indispensabili. La disponibilità di un numero crescente di alfabeti accompagna le trasformazioni nel modo di lavorare e di produrre, incide sulla crescita dell’industria della parola scritta e stampata e introduce all’età della politica di massa. A partire dalla seconda metà del 20° sec., saper leggere e scrivere rappresenta il principale elemento di erosione delle diseguaglianze ereditate di ricchezza, prestigio e potere e pertanto l’a. costituisce un importante terreno di azione politica in paesi in cui la percentuale degli analfabeti è ancora alta.

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