ALFANO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALFANO

Anselmo Lentini

Personaggio di primo piano nella storia salernitana e cassinese del sec. XI, come pure nel quadro della vita letteraria, che segnò in quel tempo una mirabile fioritura. Nato a Salerno (probabilmente tra il 1015 e il 1020) da nobilissima famiglia legata a quella dello stesso principe, venne educato nelle arti liberali, nel canto, ed anche, in quella sede della celeberrima scuola, nell'arte medica. S'era pure avviato allo stato clericale, quando s'incontrò con Desiderio, futuro abate di Montecassino, venuto a Salerno per curarsi di alcune sue infermità. L'amicizia fraterna contratta con lui non si ruppe più; e quando Desiderio lo persuase a farsi monaco, egli pose solo la condizione d'un pellegrinaggio da compiere a Gerusalemme. Sentendosi poi poco sicuro in Salerno per pericoli che ci restano oscuri (forse connessi con la complicità dei suoi fratelli nell'uccisione del principe Guaimaro V), chiamò in aiuto da Benevento l'amico e, vestito dell'abito monastico, poté uscire da Salerno. Indebolitosi anche il proposito del pellegrinaggio, egli visse qualche tempo nel monastero beneventano di S. Sofia con Desiderio. Alla notizia che Vittore II stava per scendere dalla Germania con l'imperatore Enrico III per vendicare la morte di Guaimaro, A., preoccupato dell'accennata complicità dei fratelli, volle prevenire il papa e, accompagnato da Desiderio, gli andò incontro a Firenze, portandogli codici e medicinali (1055). Entrato subito nelle grazie del papa, fu trattenuto alla sua corte, ma, dopo qualche tempo, ormai tranquillizzatosi sulle sue intenzioni, chiese e ottenne, con l'amico, di aggregarsi a due monaci cassinesi, ivi andati per chiedere la conferma del loro nuovo abate Pietro, e passò così all'abbazia di Montecassino. Nella nuova comunità i due furono accolti con grande onore e piacere, specialmente da Federico di Lorena, col quale condivisero certamente le ansie per la riforma della Chiesa, che allora travagliava le menti degli uomini più pensosi e spirituali.

Ma A., pur legatosi già così intimamente al monastero cassinese, dove perfezionò la sua cultura, poco dopo, per desiderio del principe Gisulfo, dové tornare a Salerno, ove fu costituito abate del cenobio di S. Benedetto; nel 1058 poi, dal confratello Federico diventato papa Stefano IX, fu eletto arcivescovo della città natale, e da lui stesso consacrato a Roma. In quel seggio così illustre, egli occupò degnamente il posto che i gravissimi avvenimenti religiosi e politici dei suoi tempi gli assegnarono. Ottenne il riconoscimento, da parte della S. Sede e della potestà civile, dei diritti e dei privilegi della sua diocesi. Nel 1059 intervenne al celebre concilio romano dell'aprile, e quindi a quelli di Melfi e di Benevento. Nel 1062 partì, con Bernardo vescovo di Palestrina, per accompagnare Gisulfo che, fingendo un pellegrinaggio in Terra Santa, pensava invece di recarsi a Costantinopoli per trattare con quell'imperatore un'alleanza contro la minacciante potenza dei Normanni. A. era lieto di poter sciogliere l'antico voto; e quando il principe, giunto a Bisanzio, non volle più proseguire, egli e Bernardo continuarono il viaggio fino a Gerusalemme. Al ritorno, però, ebbero la sorpresa di vedersi proposti da Gisulfo come ostaggi all'imperatore per i patti già stretti. A., ben conoscendo la crudeltà del suo principe, non ardì opporsi, ma dichiarò d'esser disposto a sottomettersi al suo desiderio se anche Bernardo avesse accettato. Quando però, questi che si era mostrato apertamente contrario, poco dopo morì, A. fu costretto, a quanto sembra, a rimanere come ostaggio. È questo un altro punto della sua vita che riesce ancora un po' oscuro; certo è che egli, non sappiamo se rilasciato o evaso, più tardi poté tornare nella sua sede, dove riprese col solito ardore la sua funzione pastorale. Anche le relazioni con Gisulfo divennero dopo qualche tempo amichevoli, forse in seguito alla nuova direttiva della politica papale contro i Normanni. Partecipò a importanti concili del tempo, come a quello di Melfi del 1067 e a quello romano del marzo 1074; nel 1068 ebbe poi l'onore di averne uno nella sua stessa sede, sotto la presidenza del papa Alessandro II. Nel 1071 intervenne alla celebre dedica della basilica cassinese, che il suo amico Desiderio, dal 1058 abate di quel cenobio, aveva elevata con mirabile sontuosità.

Intanto per la sua Salerno s'avvicinavano giorni tristissimi. Nel 1076 i Normanni assediarono la città e, nella spaventosa carestia che seguì, l'arcivescovo con paterna e instancabile sollecitudine cercò di alleviarne ai suoi figli le sofferenze. Certo egli dovette, come Gregorio VII e Desiderio, consigliare Gisulfo a venire a patti col Guiscardo; ma il principe si mantenne duro. Costretto perciò dalle circostanze stesse ad uscire dalla città e a rifugiarsi nell'accampamento nemico, A. si servì del suo prestigio per continuare ancora ad aiutare i suoi chierici e fedeli. Ma nel 1077 la città cadde e l'arcivescovo, che da giovane aveva visto lo splendore raggiunto dal principato longobardo sotto Guaimaro V, ora dovette assistere al suo definitivo tramonto. Rientrò anche lui nella sua sede e se, nei primi anni, i rapporti con Roberto non poterono essere amichevoli per la tensione che il Normanno ebbe col papa, dopo l'accordo di Ceprano si fecero cordiali. A. si valse subito della sua autorità, riconosciuta sempre dall'intelligente Guiscardo, per ottenere di nuovo la conferma dei diritti della sua Chiesa e per restituire ad essa l'ordinato assetto dopo lo sconvolgimento della guerra. Essendosi ritrovate le ossa di s. Matteo, portate già un secolo prima a Salerno, A. fece erigere dal Guiscardo, in onore dell'apostolo, la stupenda basilica che, modificata, ancora esiste, valendosi certo del modello di quella cassinese.

Animoso propugnatore della riforma a cui da tanti anni attendeva l'intrepido Ildebrando, che egli affiancò come altri illustri cassinesi del suo tempo, A. dovette essere senza dubbio, insieme con Desiderio, un efficacissimo fattore di quell'unione tra il papa e il Normanno, che giovò ad ambedue. È facile pensare poi quanto dovette soffrire per le vicende ultime che portarono il papa a fuggire per sempre da Roma; ma certo godette di potergli dar ricetto proprio nella sua Salerno quando Roberto ve lo condusse nel luglio del 1084. Con cuore di fedele, di monaco, di amico, A. consolò i giorni d'esilio del grande Gregorio. Da lui fece consacrare il nuovo tempio di S. Matteo nel 1085 e, poco dopo, lo accompagnò alla badia di Cava per la consacrazione di quella basilica; nel maggio dello stesso anno assisteva alla sua morte e lo faceva seppellire nel duomo, ove ancora riposa.

Dopo due mesi si spegneva anche il Guiscardo, e il 9 ottobre successivo A. seguiva nella tomba i due amici, così insigni attori della storia di quel tempo, e veniva sepolto nella cattedrale da lui elevata. La pia tradizione (trasmessa da Pietro Diacono nel De ortu et obitu iustorum Casinensium, 55) di una visione relativa alla felice morte di un Alfano, cassinese, pare debba riferirsi non al nostro, ma ad un altro monaco omonimo, attestato pure dai necrologi. A. attende ancora un biografo che ne esamini compiutamente la vita e gli scritti e ne inquadri degnamente la figura nelle grandi vicende della sua età.

Il nome di A., oltre che nella storia religiosa e politica, spicca, e forse ancora di più, in quella letteraria. Anzitutto per la sua produzione poetica. Ai numerosi componimenti enumerati da Pietro Diacono bisogna certo aggiungerne parecchi altri; ma purtroppo manca ancora uno studio che li abbia pienamente vagliati tutti per stabilire con una certa sicurezza quali siano autentici. La più sincera e integrale vena dell'ispirazione di A. è forse l'amicizia; ma anche quando canta la gloria e gli eroismi dei vari santi o quando l'anima sua si effonde nella preghiera, il cuore e la fantasia gli dettano espressioni ed accenti di vera poesia. Nei suoi inni sacri "corre un soffio leggero d'antica bellezza, che ci richiama ai primi lirici cristiani: a Prudenzio, ad Ilario, ad Ambrogio" (Novati); e tale accostamento non è piccola lode. Le odi personali poi, specialmente quelle dirette ad alti personaggi del suo tempo, hanno anche evidentemente un grande valore storico.

Le poesie che vanno in qualunque modo sotto il nome di A. sono una sessantina; molte conservate in codici ancora esistenti, tra cui principalissidio il Cassin. 280; altre trasmesse da codici perduti. La maggioranza è costituita da canti in vario metro in onore di santi, quasi sempre destinati all'officio liturgico delle loro feste (ss. Sabina, Cristina, Pietro, Benedetto, Mauro, Matteo, ecc.), ovvero in esaltazione delle loro gesta (come l'esteso poemetto sui ss. Dodici Fratelli). Un altro folto gruppo raccoglie odi indirizzate a vescovi e monaci (quasi tutti suoi confratelli cassinesi: Attone, Trasmondo, Guglielmo, Pandolfo, Teodino, ecc.); tra esse, di particolare rilievo quella ad Hildebrandum archidiaconum. Per il suo Montecassino A. ha poi, oltre una lunga entusiastica poesia di celebrazione, anche una serie di esametri illustrativi di quadri musivi che ornavano la basilica di Desiderio. Pochi sono i carmi di carattere spiccatamente politico (a Gisulfo, a Guido). Infine sette epitafi per amici defunti e alcune iscrizioni pel duomo di Salerno. I versi sono sempre di nobile fattura classica e di metri molto variati; ma sembra che A., in qualche rarissimo caso, non abbia sdegnato comporre anche versi ritmici.

A. scrisse anche in prosa. Leone Marsicano (Chronicon Casinense, Prol.) ci informa che per scrivere la storia del cenobio Desiderio s'era prima rivolto ad A., che riuscì ad esimersi. Di materia sacra Pietro Diacono ci attesta una passio di s. Cristina, che con buona ragione può ritenersi quella pubblicata dall'Ughelli. Pare indubbio che lo stesso A., nel carme a Pandolfo, parli anche di un'opera in prosa per s. Sabina: verosimilmente una Vita per le lezioni liturgiche dei notturni; ma non ci è giunta. Il sermone su s. Matteo, dato come suo dall' Ughelli, è invece tra quelli di Pier Damiani (Migne, Patr. Lat., CXLIV, col. 505. Il Mari, nelle note al De viris illustribus di Pietro Diacono (c. 19), elenca altri scritti di A., indicando perfino il posto preciso della biblioteca cassinese 0v'essi si conservavano, ma aggiungendo d'ignorarne la presenza al suo tempo. Nulla può dirsi della consistenza di tale notizia; certo quei mss. oggi non ci sono. La prima di tali opere sarebbe stata teologica: De unione Verbi Dei et hominis; non ne sappiamo nulla. Un altro scritto, De unione corporis et animae, che parrebbe di materia filosofica, sarebbe invece, secondo il Capparoni, l'omonimo capitolo del Prem-non (v. oltre): ciò che è molto verosimile. Il Mari infine cita il De quattuor humoribus. Qui notiamo solo che l'appartenenza vera degli ultimi due scritti ad A. rende probabile anche quella del primo, quantunque perduto.

Altro campo dell'attività letteraria di A., che dimostra la felice versatilità del suo ingegno, è quello della medicina. Versato in essa, come s'è detto, fin dalla giovinezza, egli vi si sarà perfezionato anche a Montecassino. Tale competenza avrà suggerito al grande Costantino Africano di dedicargli la sua opera De stomachi affectionibus.

L'opera Premnon physicon seu Stipes naturalium risulta ormai con sufficiente sicurezza una traduzione del trattato Περὶ ϕύσεως ἀνϑρώπου di Nemesio di Emesa (Migne, Patr. Graeca,XL, coll. 503-818), che nel Medioevo fu spesso attribuito a Gregorio di Nissa e che in parte si trova ancora oggi tra le sue opere (Migne, Patr. Graeca, XLV, coll. 187-222). Il buon numero di mss. che hanno conservato la versione di A. dimostra che essa ebbe una notevole diffusione. Come spesso si osserva nei trattati medievali, le dottrine fisiologiche sono intrecciate a considerazioni filosofiche. Un altro scritto è il De quattuor humoribus corporis humani, di cui il testo pubblicato dal Capparoni non rappresenta quello originale di A., ma un rifacimento compiuto molto tempo dopo (sec. XIII ex.-XIV in.); un frammento, invece, ripubblicato dal Creutz, è stato attribuito ad A. solo per errore, riconosciuto poi dallo stesso Creutz. Un terzo trattato è il De pulsibus, che forse deve anch'esso considerarsi come un'opera posteriore costruita sull'originale di A., ma che costituisce sempre un importante documento della primitiva scuola medica di Salerno.

Edizioni.Una prima raccolta dei carmi fu pubblicata da P. Martinengo, Pia quaedam poemata..., Romae 1590. Questi e molti altri, tratti da altri editori e dai mss., furono poi stampati nella 2 ediz. dell'Italia Sacra dell'Ughelli, X, Appendice, coll. 47 ss., ma con molti errori. Da qui passarono, con gli stessi errori, nella Patr. Lat.,CXLVII, coll. 1219 ss., con l'aggiunta di alcune poesie pubblicate dall'Ozanam. Questi, il Giesebrecht, lo Schipa, il Falco ed altri studiosi, nel corso dei loro lavori su A., pubblicarono chi l'una chi l'altra poesia che era o che ritenevano inedita, o la restituirono alla vera lezione. Parecchie di quelle sacre trovarono sede anche negli Analecta Hymnica (Dreves-Blume), specialmente nei voll. XXII e L. Il poemetto sui ss. Dodici Fratelli in Acta Sanctorum Septembris, I, Antverpiae 1746, pp. 144 ss.; la parte che tratta della traslazione anche in Monumenta Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, pp. 574 ss. (a cura di O.Waitz). I versi sulla chiesa di Montecassino in A. Amelli, La basilica di Montecassino e la Lateranense nel sec. XI, in Miscell. Cassinese, I (1897), p. 18. L'acrostico in onore dell'abate Desiderio, in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, X (1884), pp. 356 ss. I sette inni saffici per s.Benedetto, che il Traube propose di attribuire ad A. anziché a Bertario, in Wion, Lignum Vitae, II, 1595 pp. 85 ss. L'elenco compilato dal Lentini indica di ogni carme la fonte e l'edizione: Passio S. Christinae, in Ughelli, cit., X, coll. 80 ss.; e in Patr. Lat., vol. cit., coll. 1269 ss.; E. Holzinger, Nemesii e mesii libri Περὶ ϕύσεως ἀνϑρώπου versio latina, Leipzig und Prag 1887; C. Burkhard, Nemesii episcopi Premnon physicon sive Περὶ ϕύσεως ἀνϑρώπου liber a N. Alphano archiepiscopo Salerni translatus, Leipzig 1917; P. Capparoni, Il De quattuor humoribus corporis humani di A. I, arcivescovo di Salerno, Roma 1928; Id., Il trattato "De pulsibus", di A. I., arcivescovo di Salerno, Roma 1936.

Fonti e Bibl.: Leonis Marsicani Chronicon Casnense, Prolog., II, 96; III, 7-8, 29, 35, in Monumenta Germ. Hist., Scriptore:, VII, Hannoverae 1846, pp. 575, 694, 701 s., 719, 728 s.; Petri Diaconi De viris illustribus Casinensis coenobii, 19, in Migne, Patr. Lat., CLXXIII, col. 1030; Necrologio del  "Liber Confratrum" di S. Matteo di Salerno, a cura di C. A. Garufi, Roma 1922, in Fonti per la Storia d'Italia, LVI, p. 156; Amati Historia Normannorum, IV, 38-39, 43; VIII, 17, a cura di V. De Bartholomaeis, Roma 1935, ibid., LXXVI, pp. 208 ss., 215, 357; Gregorii VII Registrum, VIII, 8, a cura di E. Caspar, Berlin 1923, p. 526; Petri Damiani Epistolae, VIII, 5, in Migne, Patr. Lat., CXLIV, col. 471; Annales Beneventani, ad annos 1084-1085, a cura di O. Bertolini, in Bullett. d. Ist. stor. ital. per il M. E., XLII (1923), p. 146; alcuni documenti in F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, VII, Venetiis 1721, coll. 382ss., 387 ss.; tra le fonti possono computarsi anche parecchie sue poesie.

Tutte le opere di carattere generale sulla letteratura del sec. XI e sulla storia locale del tempo si fermano a parlare della vita e degli scritti di Alfano. Della copiosissima bibliografia qui basti citare: F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, VII, Venetiis 1721, coll. 380 ss.; M. Schipa, Storia del principato longobardo di Salerno, in Arch. stor. per le prov. napol., XII (1887), specialmente pp. 513 ss.; con l'Appendice Versi di Alfano (silloge di alcuni carmi), pp. 767 ss.; U. Ronca, Cultura medievale e poesia latina nei secc. XI e XII, II, Roma 1892, pp. 14 ss.; M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalter:, II, München 1923, pp. 618 ss.; F. Novati-A. Monteverdi, Le Origini, Milano 1926, pp. 401 ss., 446 ss., 612 ss., ecc.; F. J. E. Raby, A History of Christian Latin Poetry, Oxford 1934, pp. 376 ss.; A.Viscardi, Le Origini, Milano 1939, pp. 109 ss. Tra gli studi particolarmente dedicati ad A. o che ne pubblicano qualche scritto: F. Ozanam, Documents inédits pour servir à l'histoire littéraire de l'Italie, Paris 1850, pp. 259 ss.; A. Caravita, I codici e le arti a Montecassino, I, Monte Cassino 1869, pp. 263 ss.; M. Schipa, A. I arcivescovo di Salerno, Salerno 1880; W. Giesebrecht, De litterarum studiis apud Italos..., Berolini 1895 (trad. ital. di C. Pascal, L'istruzione in Italia nei primi secoli del Medio Evo, Firenze 1895, pp. 65 ss.); G. Falco, Sull'autenticità delle opere di A., in Bullett. d. Ist. stor. ital. per il M. E., XXXII (1912), pp.1 ss.; Id., Un vescovo poeta del sec. XI, in Arch. d. R. Soc. romana di storia patria, XXXV (1912), pp. 439 ss.; A. Capone, Il duomo di Salerno, I, Salerno 1927, pp. 30 ss.; N. Acocella, La traslazione di S. Matteo, Salerno 1954, pp. 60 ss.; A. Lentini, Rassegna delle poesie di A. da Salerno, in Bullett. d. Ist. stor. ital. per il M. E., LXIX (1957), pp. 213-242; Id., Le odi di A. ai principi Gisulfo e Guido di Salerno, in Aevum, XXXI (1957),pp.230 ss.; N. Acocella, La figura e l'opera di A. I di Salerno, I, Profilo biografico,in Rass. stor. salern., XIX (1958), pp. 1-7s; Id., Sul viaggio costantinopolitano di Gisulfo di Salerno con l'arciv. A., in Atti del III congresso intern. di studi sull'alto Medioevo, Spoleto 1959, pp. 437 ss.

Per questioni particolari dell'attività di A. come scrittore di medicina cfr.: C. Baeumker, Die Uebersetzung des A. von Nemesius Περὶ ϕύσεως ἀνϑρώπου, in Wochenschrift für klass. Philologie , XIII (1896), pp. 1095 ss.; L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, I, New York 1929, p. 753; P. Capparoni, Magistri salernitani nondum cogniti, in Bollett. d. Ist. stor. ital. d. arte sanitaria, IV (1924), pp. 9 e 75;Id., Il trattato "De quattuor humoribus", di A. I., in Casinensia I, (1929), pp. 151 ss.; R. Creutz, Erzbischof A. I., ein frühsalern. Arzt, in Studien und Mitteilungen zur Geschichte des bened., Ordens, XLVII (1929), pp. 413 ss.; Id., Nachtrag zu "Erzbischof A. I., ein frühsalern. Arzt" ibid., XLVIII (1930), pp. 205 ss.; E. Wickersheimer, Notes sur les oeuvres médicales d'A., in Atti dell'VIII Congr. internazionale di Storia della Medicina,1930, Pisa 1931, pp. 108 ss.; R. Creutz, Der frühsalern. A. und sein ... Liber de pulsibus, in Sudhoffs Archiv, XXIX (1937), pp. 57 ss.; P. O. Kristeller, The school of Salerno, in Bulletin of the History of Medicine, XVII (gennaio-maggio 1945), pp. 149 ss.

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