GATTO, Alfonso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GATTO, Alfonso

Angiolo Bandinelli

Nacque a Salerno il 27 luglio 1909, da Giuseppe e Erminia Albirosa. La sua era una famiglia di marinai e piccoli armatori, di origine calabrese. Frequentate le scuole a Salerno e iscrittosi nel 1926 all'Università di Napoli, dovette abbandonare gli studi non ancora ventenne per difficoltà economiche familiari. Seguì un periodo irrequieto, segnato da spostamenti continui, durante il quale il G. esercitò varie attività (commesso di libreria ma anche giornalista e insegnante).

Nel 1932 pubblicava a Napoli il suo primo libro, Isola, e nel 1934 poteva infine stabilirsi a Milano, dove entrò in contatto con gli ambienti letterari del caffè Craja ma soprattutto con E. Persico, figura di punta nel rinnovamento della cultura artistica milanese. Sono da segnalare di questi anni, a testimonianza del fervido intreccio di interessi culturali cui il G. si venne dedicando, la collaborazione alla rivista Campografico di A. Rossi e saggi di critica d'arte, tra i quali Atanasio Soldati pittore (Milano 1934).

Recensendo l'esordio del giovane, S. Penna poteva salutare una voce poetica "raffinatissima, parnassiana", che "ci viene dal Sud" carica di "espertissimi giochi" scaturiti da "sensi meravigliosi". Nel maggio dello stesso anno, E. Montale segnalava la presenza in quei versi di una "sensualità" non esente tuttavia da una "esasperazione intellettuale", "metafisica"; ma avvertiva anche, nella pagina del giovane poeta, il peso di "reminescenze" che la rendevano a volte diseguale. In questi due giudizi erano già presenti le coordinate utili a tracciare un primo profilo del poeta; vennero infatti, in buona misura, confermati dalla successiva critica.

La buona accoglienza riscossa all'esordio si rinnovava con il secondo volume di versi, Morto ai paesi (Modena 1937). Quali componenti essenziali di queste prime prove del G. si venivano via via individuando la rigorosa ricerca formale, un problematicismo di ascendenza vociana e intriso di diffidenza verso il canto dispiegato della tradizione ottocentesca, ma anche influssi provenienti dalla poesia dialettale meridionale (S. Di Giacomo, F. Gaeta) e magari un tono, o timbro di fondo, tale da accomunarlo ai tanti scrittori (tra i quali, per es., S. Quasimodo) saliti dal Sud a Milano nello stesso giro di anni. Le due smilze raccolte divenivano, assieme alle opere del Quasimodo, di L. Sinisgalli, M. Luzi, P. Bigongiari, ecc., punto di riferimento e quasi bandiera del rinnovamento della poesia e della connessa poetica.

La produzione di questi poeti e dei loro maestri G. Ungaretti e Montale, subito accomunati nella fortunatissima definizione di "ermetici" (F. Flora, La poesia ermetica, Bari 1936), era infatti accompagnata da una forte tensione teorica, nello sforzo di mettere a fuoco quella poetica "della parola", o anche, secondo una definizione che è proprio del G., della "assolutezza naturale", di cui la loro lirica voleva nutrirsi. La sua prima elaborazione era fatta risalire, storicamente, ai grandi parnassiani e simbolisti francesi, da P. Verlaine a S. Mallarmé e a P. Valéry, ma se ne rintracciavano anche in Italia validi precursori nel Pascoli delle Myricae o nel D'Annunzio del Notturno. Secondo questa poetica, la poesia moderna doveva programmaticamente mirare, come si disse anche, all'essenziale, alla sillabazione netta della parola, scandita e isolata nell'alone polisemantico che la rende insieme vaga e magicamente espressiva. Subito divampò, aspra, lunga e complicata, una polemica tra entusiasti fautori e avversari.

C. Bo, che di quella poetica fu difensore strenuo, ha scritto che il termine di "ermetica" venne escogitato a condanna di "un modo di poesia oscuro o piuttosto in contrasto con quella che era la tradizione ultima dei poeti dell'ordine" (Bo, p. 416). Prendendo di petto la poesia ermetica in realtà si polemizzava non tanto, o non solo, contro poeti dalla voce inconsueta e portatori di una concezione misticheggiante dell'arte e del suo rapporto con l'Assoluto, quanto piuttosto contro una tendenza, una atmosfera che caratterizzava e definiva, nel suo complesso, la più vivace cultura artistica di quegli anni. Ci si rendeva conto di uno sforzo consapevole dei giovani intellettuali e letterati per confrontarsi da una parte con i modelli avanzati della cultura europea contemporanea, ma dall'altra anche, in un gioco di simpatie e assonanze a volte puntuali a volte ingenue e forse velleitarie, con le problematiche sociali e politiche del tempo, in dialogo serrato ed esigente con l'ideologia del regime, le sue pretese totalizzanti ed egemoniche sulla cultura e sull'arte.

A queste polemiche il G. partecipò in posizione di primo piano, dalle colonne delle riviste fiorentine Il Bargello e soprattutto Campo di Marte, "quindicinale di azione letteraria e artistica" da lui retto dal 1938 al 1939 insieme con V. Pratolini, sotto la nominale direzione di E. Vallecchi. Grazie a questa rivista, il centro di irradiazione delle tematiche dell'ermetismo si trasferiva da Milano a Firenze. Nella sua breve vita (12 numeri, dall'agosto 1938 all'agosto 1939) il battagliero foglio si sforzò di individuare i modi di un raccordo tra la poesia d'avanguardia, ermetica, e quegli aspetti della tradizione che si pensava fossero pronti e maturi per un salto rivoluzionario.

La polemica diveniva anche politica o almeno ideologica, aprendo spaccature profonde che videro i nuovi poeti, peraltro affiancati sulla trincea ermetica da un drappello di critici e poeti cattolici (come i già ricordati Bo e Luzi), contrapporsi a letterati e a critici vicini alle concezioni crociane e quindi portatori, a loro avviso, di una ideologia della separazione dell'arte dalla vita di significato borghese.

L'epoca di Campo di Marte segnò una maturazione critica dell'intellettuale che, nel clima della crisi incombente e già avvertibile in Italia e in Europa, veniva scoprendo le ragioni di un nuovo e più articolato impegno ideale e civile, anche se ancora nell'alone di quel fascismo detto di sinistra che a Firenze aveva uno dei suoi punti di forza. Per comprendere l'evolversi della sua esperienza non va dimenticato che il G., il quale ancora nel 1935 aveva con successo preso parte (presentato come "scrittore, redattore del Giornale del mattino, poeta") ai Littoriali del GUF (Gruppi dei fascisti universatari) nella sezione "Narrativa", nel 1936 fu arrestato per antifascismo e, pur senza processo, dovette trascorrere sei mesi in carcere.

Nei versi composti dopo il 1937 - quelli di La memoria felice (in Poesie, Milano 1939) come i successivi Arie e ricordi e Ultimi versi (che troveranno posto nella 2ª ed. di Poesie, Firenze 1941) - non è tuttavia agevole riscontrare un accrescimento, tematico o timbrico, parallelo allo sviluppo teorico. Oltre alle poesie di L'allodola (Milano 1943), anche le assai belle liriche di Amore della vita (ibid. 1944), che ci portano ben entro l'esperienza di guerra, possono essere ancora ricondotte pienamente ai moduli precedenti, anche se con una limpidità di accento che le distanzia alquanto dalle tensioni dell'ermetismo più ortodosso.

Semmai, vibra qui con più sicura e aerea felicità tutto l'impressionismo già individuato come parte del bagaglio più intimo del G. ("Si spensero i fanali / restò la luna sui davanzali / Grigia e rosa come un duomo / ove cantano le vocali": La luna) ed è ancora percepibile la figuratività di tanta pittura novecentesca. Anche il tema della morte, che pur si affaccia con maggior insistenza, può esser fatto risalire a una dimensione culturale antropologica più che storica o ideologica.

Ottenuta nel 1941 la nomina, per "chiara fama", a ordinario di letteratura italiana al liceo artistico di Bologna, il G. conosceva finalmente qualche tranquillità economica. Oltre che a La Ruota di M.A. Meschini iniziava anche una collaborazione alla rivista di G. Bottai, Primato, sulla quale venne pubblicando con continuità poesie e recensioni letterarie. A questo periodo risale anche l'atto unico Il duello (Milano 1944).

Al 1943 va fatta risalire la sua partecipazione attiva alla Resistenza. Iscrittosi al partito comunista, dal 1944 al 1945 collaborò a Rinascita di P. Togliatti, mentre nel 1945, subito dopo la liberazione della città, lo troviamo assieme con E. Vittorini, R. De Grada, G. Ferrata, nella redazione milanese dell'Unità, di cui fu anche inviato speciale. Nel dopoguerra, pur partecipando all'esperienza milanese de IlPolitecnico, si trasferiva definitivamente a Roma, giornalista e pubblicista presso varie testate.

L'iscrizione del G. al partito comunista, come quella di altri intellettuali dell'epoca, non era stata casuale e formale. Nell'adesione al comunismo egli portava quasi integralmente le ragioni di una riflessione maturata negli ambienti del fascismo di sinistra, in particolare nei suoi più scoperti filoni fiorentini. Questo impasto ideale o ideologico di stampo populistico venne a incontrarsi con l'ambizione togliattiana di costruire, grazie al collante del gramscianesimo, un nuovo "blocco" intellettuale alternativo. Il G. sarebbe tuttavia uscito dal partito comunista già nel 1951.

La fine della guerra, il disastro civile e la svolta politica portarono una sofferta rottura nella poesia del Gatto. Appartiene a questi anni, del resto, la dichiarazione di morte dell'ermetismo, decretata da Bo in un intervento a Parma nel 1942, ma già in realtà consumata nella crisi storica del paese. La svolta fu del resto comune a molti altri poeti (si pensi, per es., a Quasimodo). Possiamo riscontrare tutta l'ampiezza del distacco nelle composizioni di Il capo sulla neve (Milano 1949, poesie dal 1943 al 1947) dove è pienamente avvertibile lo sforzo drammatico di aderire alla materia incandescente della guerra e soprattutto della Resistenza. Sotto l'urgenza del tema d'occasione - la diretta esperienza dell'orrore e della violenza - il verso si scioglie dalla sillabazione e dallo stato di aura sospesa che aveva caratterizzato le prove precedenti e si fa più narrativo, prosastico, sovente intriso d'alta retorica. Ciò, almeno, nell'intenzione, nello sforzo tutto programmatico del poeta: perché la misura letteraria, la fedeltà a un insistito modulo interiore finiscono poi spesso per condizionare la scansione e la resa timbrica.

Le opere successive furono pubblicate, a riconoscimento di un'autorevolezza indiscussa, presso Mondadori (Milano). Nelle due più importanti raccolte del dopoguerra, La forza degli occhi (poesie degli anni 1950-53, pubblicate nel 1954) e Osteria flegrea (poesie del 1954-61, pubblicate nel 1962), la carica ideologica trasfiguratrice delle esperienze di guerra appare esaurita e il verso si articola in forme e ritmi più congeniali, nemmeno più ristretti nella ricerca delle fulminanti analogie della stagione ermetica (che del resto non furono mai davvero centrali nella sua opera). L'endecasillabo - un endecasillabo dalle tonalità crepuscolari - si giustappone a forme meliche e idilliache, a cadenze cantabili adagiate finalmente con naturalezza, senza più i timori delle prime raccolte, nella grande tradizione di P. Metastasio e P. Rolli.

E sempre più frequentemente, seguendo una sua profonda vena, il poeta scenderà alla riscoperta del Sud, il Meridione colto, attraverso una appassionata memoria, come fonte orfica del suo rapporto con gli altri e con la stessa natura. Qui egli scaverà sempre più spesso - in una sorta di ripiegamento doloroso, mitizzante - la materia degli affetti familiari, umani più che direttamente sociali; una ispirazione cui obbediscono le liriche dell'"umanissimo gruppo" (Contini) di La madre e la morte (Galatina 1959).

Ancora nel 1961 il G. poteva dichiararsi contrario a una letteratura "europea" e invece partecipe di una cultura schiettamente italiana, che si appellasse alle tradizioni più segrete e profonde.

Nella raccolta La storia delle vittime (Milano 1966), oltre alle poesie degli anni 1962-65 e Giornale di due inverni (1943-44 e 1964-65), confluirono le già ricordate liriche di Amore per la vita (1944) e di Il capo sulla neve (1949). Con un'edizione ulteriormente rimaneggiata di Poesie, nel 1960 G. iniziò presso Mondadori la pubblicazione di tutta la sua opera poetica: alla riedizione di La forza degli occhi (1967) e Osteria flegrea (1970) seguirono le Poesie d'amore (1973), inglobanti anche le precedenti Nuove poesie (scritte negli anni 1941-49).

Del G. vanno ancora ricordati la "fiaba populistica" (Contini) Il sigaro di fuoco (Milano 1945) e Il vaporetto (Milano 1963): sono versi scritti per l'infanzia, ma che hanno sovente la stessa intensità e qualità delle opera maggiori. Accanto al G. poeta esiste poi anche, non occasionalmente, il prosatore: gli articoli, i ricordi, i raccontini, ecc., raccolti in La sposa bambina (Firenze 1943), con la presentazione impressionistica del piccolo mondo provinciale o infantile che il poeta sente suo e che sa tratteggiare con partecipe tenerezza (si legga per es. il brano Ritratti di mia madre), richiamano in qualche modo le atmosfere della produzione poetica coeva, collocandosi nella misura della prosa d'arte. Dopo i volumi La spiaggia dei poveri (Milano 1944) e La coda di paglia (ibid. 1949), sviluppano invece una più insistita ricerca narrativa le prose di Carlomagno nella grotta (Milano 1962), nelle quali le tematiche meridionalistiche vengono affrontate con piglio quasi saggistico, tanto che a volte la scrittura, nel tentativo di cogliere gli aspetti propriamente problematici delle questioni, si avvolge in un andamento concettoso e oscuro, che richiama le matrici ermetiche dell'autore. Oltre alla traduzione da R.E. Raspe, Avventure del barone di Münchhausen (Milano 1950) e alle prose di Napoli N. N. (Firenze 1974), va fatto accenno, infine, all'apprezzata attività di acquerellista e pittore, cui il G. si dedicò negli ultimi anni, che ispira le Rime di viaggio per la terra dipinta (Milano 1969) e che è connessa con la sua ininterrotta operosità di critico d'arte, testimoniata dai volumi: Disegni di Ottone Rosai (Venezia 1939), L. Broggini scultore (Milano 1940), Ottone Rosai (Firenze 1941), 12 opere di Virgilio Guidi (Milano 1943), Virgilio Guidi (ibid. 1947), 25 nuove opere di D. Caponi (Firenze 1959); Cagli (Parma 1967); Testimonianza per Omiccioli (Roma 1967).

Il G. morì, in un incidente automobilistico, a Capalbio, nella Maremma toscana, l'8 marzo 1976.

Postumi sono stati pubblicati: i volumi di versi Lapide 1975 (Genova 1976) e Desinenze: 1974-76, a cura di R. Jacobbi e P.M. Minucci (Milano 1977); le prose de Il sogno del poeta, a cura di F. D'Episcopo (Salerno 1990), di Modelli d'arte, a cura dello stesso (ibid. 1996) e de Il pallone rosso di Golia, a cura di C. Nesi, Milano 1997; Gli anni tra parentesi. Lettere ad A.M. Mazzucchelli (1936-39), a cura di A. Astarita, Cava dei Tirreni 1996; Poesie, a cura di F. Napoli, Milano 1998.

Fonti e Bibl.: S. Penna, Isola, di G., in Italia letteraria, 12 febbr. 1933, p. 8; E. Montale, Isola, di A.G., in Pegaso, maggio 1933, p. 634; G. Ferrata, A. G.,Morto ai paesi, in Letteratura, luglio 1937, p. 162; O. Macrì, Commenti ad A. G., Domodossola 1938; G. De Robertis, A. G., in Id., Scrittori del Novecento, Firenze 1940, p. 355; G. Ferrata, La poesia di G., in La Ruota, ottobre 1941, p. 230; C. Muscetta, A. G. poeta, in Primato, gennaio 1942, pp. 15-17; F. Casnati, Cinque poeti, Milano 1945, pp. 59-67; G. Petroni, A. G., in La Fiera letteraria, 25 giugno 1950, p. 5; La Fiera letteraria, 25 dic. 1955 (n. dedicato ad A. G.); Lirica del Novecento, a cura di L. Anceschi - S. Antonielli, Firenze 1961, pp. XCII, 545, 827; M. Grillandi, A. G. Inquietudini e surrealtà, in Id. Poeti, Milano 1963, pp. 149-177; G. Pampaloni, Prefazione, a Un poeta e la sua città. Omaggio del Comune di Salerno ad A. G., Salerno 1964, pp. 13-30; G. Pozzi, La poesia italiana del Novecento, Torino 1965, pp. 222-232; G. Manacorda, Storia della letteratura ital. contemporanea(1940-1965), Roma 1967, pp. 165-170; C. Bo, La nuova poesia, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), IX, Il Novecento, Milano 1969, p. 416; B. Pento, A. G., Firenze 1972; G. Contini, La letteratura italiana. Ottocento e Novecento, Firenze 1974, pp. 377-379; E. Mazzali, A. G., in I contemporanei, II, Milano 1977, pp. 1575-1586 (con bibl.); A. G., in Poeti italiani del Novecento, a cura di P.V. Mengaldo, Milano 1978, pp. 607-620 (con antol.); C. Muscetta, Inizi di G., in I contemporanei, VI, Milano 1979, pp. 5774-5783; Riscontri, ottobre-dicembre 1979, n. 4 (n. dedicato al G., a cura di F. D'Episcopo); Stratigrafie di un poeta: A. Gatti. Atti del Convegno naz. di studi, Salerno1978, a cura di P. Borraro - F. D'Episcopo, Galatina 1980; E. Gioanola, A. G., in Letteratura italiana contemporanea (Lucarini), II, Roma 1980, pp. 343-348; A. G.: oltre la letteratura. Poesia e arti figurative, a cura di F. D'Episcopo, Salerno 1983; Università di Salerno, La cultura italiana negli anni 1930-1945. Omaggio ad A. G., Napoli 1984; S. Ramat, G., A., in Diz. critico della letteratura italiana, II, Torino 1986, pp. 328-331; S. Guarnieri, A. G. Sotto il segno della contraddizione, in Il Ponte, XLIII (1987), pp. 99-112 (interessante anche sul piano biografico); A. G., in Poesia ital. del Novecento, a cura di P. Gelli - G. Lagorio, II, Milano 1989, pp. 580-588; Salerno rima d'eterno: A. Gatto. Immagini, documenti, manoscritti, dipinti, testimonianze (catal., con saggi di G. Pampaloni, G.C. Sciolla, G. Duccilli, A. Modena), Salerno 1994; La rosa dei graniti. Saggi e testimonianze su A. G., a cura di G. Tortora, Cava dei Tirreni 1996; P. Perilli, A. G.: un trobadore del Novecento, in Poesia, XII ( 1999), 127, pp. 41-43.

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