NICCOLAI, Alfonso

Dizionario Biografico degli Italiani (2013)

NICCOLAI, Alfonso

Sabina Pavone

NICCOLAI (o Nicolai), Alfonso. – Nacque il 31 dicembre 1706 a Lucca. Il fratello maggiore Giambattista fu anch’egli gesuita e teologo presso il collegio di Arezzo, dove insegnò teologia morale, e fu esaminatore per il clero per il granduca di Toscana.

Entrò nella Compagnia di Gesù a soli 17 anni, il 14 febbraio 1723. La sua formazione avvenne a Roma presso il Collegio Romano, dove frequentò i corsi di filosofia (1726-28) e di teologia (1734-38). Tra i due corsi insegnò per cinque anni nei collegi di Sezze, Orvieto e Firenze.

Completato il corso di teologia, che per i gesuiti rappresentava la condizione imprescindibile per divenire professi dei quattro voti, ricevette l’ordinazione sacerdotale (1738) e quindi, due anni dopo, il 15 agosto 1740, fece la sua professione solenne a Firenze nella chiesa di S. Giovanni apostolo ed evangelista (Archivum Romanum Societatis Iesu, Ital. 28, cc. 445, 446rv).

Dopo l’ordinazione si stabilì a Firenze, dove insegnò retorica (1738-42), fu prefetto degli studi (1742-51) e iniziò a tenere lezioni di sacra scrittura nella chiesa del collegio. Nel periodo fiorentino ebbe modo di frequentare anche il celebre latinista gesuita Girolamo Lagomarsini.

Dal 1751 al 1754 tornò a Roma chiamato come prefetto di studi e direttore spirituale presso il Collegio Scozzese, per stabilirsi poi definitivamente a Firenze in seguito alla nomina a 'teologo di S.M. Cesarea' da parte dell’imperatore Francesco Stefano I, marito di Maria Teresa d’Austria e granduca di Toscana dal 1737 al 1765 (la data della nomina si ricava dall’intestazione del volume Panegiriche orazioni e prose toscane d'Alfonso Niccolai della Compagnia di Gesù teologo di Sua Maestà Cesarea, Venezia 1754; nella prima edizione [Roma 1753] è infatti indicato unicamente come membro della Compagnia di Gesù; sono quindi da rigettare le indicazioni di Diosdato Caballero [1814, I, p. 207] che data la nomina al 1761 e di Charles Sommervogel [1894, t. V, col. 1703] che parla del 1756). Alla morte dell’imperatore, fu confermato nel titolo dal nuovo granduca Pietro Leopoldo.

Le Memorie istoriche di San Biagio vescovo e martire, protettore della Repubblica di Ragusa (Roma 1752) – divise in due parti (I: Dissertazione critica in difesa degli Atti; II: Memorie storiche del Santo) – furono la sua prima opera in prosa. Composte durante il suo soggiorno romano e commissionategli dalla Repubblica di Ragusa di cui s. Biagio era il santo patrono, gli diedero una certa nomea nel mondo letterario (cfr. Lettera del Sig. Ab. Girolamo Tartarotti al molto Rev. P. Francescantonio Zaccaria della Compagnia di Gesù intorno agli Atti di S. Biagio ... illustrati dal P. Alfonso  Niccolai, in Storia letteraria d’Italia, VIII, pp. 544 s., IX, pp. 529 s.).

L’opera che però gli regalò fama di oratore facendolo lodare dal barnabita Salvatore Corticelli come un’«autorità di lingua» (Regole e osservazioni della lingua toscana, 1754, p. 254) furono le Panegiriche orazioni e prose toscane.

Costruite secondo un modello ciceroniano, ebbero numerose edizioni. L’edizione completa – dedicata ad Angiolo Gabrielli – fu pubblicata a Firenze tra il 1772 e il 1773 in tre tomi (I: Prose oratorie; II: Prose scientifiche; III: Prose storiche). Il primo tomo, già apparso in Roma nel 1753, comprendeva una serie di orazioni di tema religioso tra le quali una per la beatificazione di s. Camillo de Lellis (pp. 1-24); una in lode di s. Maria Maddalena de’ Pazzi (pp. 85-108), una in lode di s. Ignazio di Loyola (pp. 134-153) nella quale elogiava soprattutto lo slancio missionario promosso dal fondatore della Compagnia. Il secondo tomo – il cui titolo non dà conto del reale contenuto del volume – raccoglieva invece opuscoli di argomento vario. Nell’Orazione per la solenne Coronazione del Serenissimo Marcello Durazzo Doge della Repubblica di Genova (pp. 1-24, pronunziata nella chiesa del principe genovese il 28 giugno 1767 ed edita a Genova nello stesso anno) Niccolai elogiava gli ordinamenti istituzionali nei quali il patriziato cittadino ricopriva incarichi di governo: «piace l’ubbidire a chi s’ama; e il trovare ogni giorno un nuovo piacere nell’ubbidire. Sono queste le più solide basi d’un libero imperio» (p. 16). In ultima istanza però il potere discendeva da Dio ed egli – come molti gesuiti della sua generazione – si scagliava contro le nuove idee illuministe: «si ritorni agl’immutabili principi: non si dia luogo alle false idee d’una nuova scienza politica» (p. 21). Più avanti accusava quegli «spiriti forti sulla leggerezza dei loro ammiratori, fieri d’una superba e tenebrosa filosofia [che] soli pretendono all’onor di pensare. Hanno per loro idolo la ragione umana, che coronano di non suoi splendori, e tolgon di mezzo non pure rivelazione, misteri, culto, morale, ma se ragionar si vuole direttamente, e le leggi della società, e i civili uffici, e la natura medesima razionale dell’uomo. Difendete, Serenissimo, dallo stranier veleno le intatte viscere della patria. Sostenete siccome fate, colla gran qualità del vostro cuore l’antica e sola verace religione, nella quale novità ed errore sono una stessa voce» (p. 23). Nei Ragionamenti su Dio e sull’anima (pp. 38-191) si scagliava contro il materialismo in difesa dell’immortalità dell’anima: i deisti «confondono le idee di virtù e di vizio, e fan passare la legge moral di natura nella fisica de’sensi. [...] Virtù, nome vasto, che comprende l’estensione de’ legami di tutto l’uomo, del razional creato al suo autore, del sociale a’ suoi somiglianti, del solitario a sé. Questa, non altra, è la prima legge della natura umana. Questa, non altra la religion naturale» (Ragionamento VII. Legge di natura verso sé, p. 191). Gli altri opuscoli riprendevano ancora tematiche religiose: ne La Morte di S. Francesco Saverio (pp. 218-246) giustificava l’universalità del cristianesimo e la necessaria evangelizzazione di tutto il globo («La verità congiunta con l’idea del primo Essere è essenzialmente una, non può esser divisa né moltiplicata: è una stessa nell’Europa e nell’Asia. [...] Vestita di legittima autorità stende i suoi titoli sopra l’intero globo, ed esige gli omaggi di tutto ‘l genere umano. Tutti per lei siam fatti: e chi men la conosce, implora anche tacendo l’aiuto de’ più veggenti. La virtuosa sensibilità, l’amore che ci dobbiamo, là ci chiamano speditamente, dove sappiamo grandissime nazioni nella funesta caligine degli errori. Faremo il loro bene, faremo il nostro. Gli Indiani avran da noi la salute; noi da loro il vantaggio d’una raddoppiata eterna felicità» [pp. 228 s.]). Nell’elogio del martirio di s. Francesco Saverio coglieva ancora una volta l’eterna contrapposizione con la «terrena filosofia [che] è vanità ed errore, e che la santa morte è della vita il più degno atto e più illustre. Mortali, abbiate virtù, avrete onore, gloria, felicità» (p. 246). Nello stesso tomo vi erano anche due orazioni legate alla sua esperienza nell’Arcadia (era membro dell’Accademia con il nome di Saliceste Telpusiano): il Ragionamento alla romana Arcadia (pp. 284-293) – in difesa della lingua italiana, contro l’Accademia delle scienze e l’uso del francese nelle questioni scientifiche – e il Ragionamento ne’ giuochi olimpici del 1753 celebrati in Roma ad onore de’ morti arcadi illustri (pp. 294-303). Il terzo tomo riprendeva invece le Memorie storiche sulla s. Scrittura e le Memorie storiche di S. Biagio.

Altrettanto importanti furono le Dissertazioni e Lezioni di Sacra Scrittura pubblicate per la prima volta a Firenze (1762) in tredici tomi, quindi a Venezia (1764-66; la seconda edizione veneziana del 1781-82 non è completa). L’edizione fiorentina comprendeva sette tomi sulla Genesi, uno sull’Esodo (entrambi dedicati a Francesco I), due su Daniele (dedicati al cardinal Giuseppe Maria Ferroni), uno su Esther (dedicato alla marchesa Angela Durazzo), uno su Judith e uno su Tobia (dedicato al marchese Pietro Gabrielli). Una sinossi dell’opera fu pubblicata a Genova in due tomi con il titolo Dichiarazione letterale del s. Testo ossia la Storia santa estratta dalla sua grand’opera biblica (1770). Della fama delle Lezioni è testimone il confratello Giambattista Roberti, il quale scriveva che «Chi ama citazioni sacre e profane provegga per sua istruzione quelle del dottissimo P. Alfonso Niccolai, ridondanti di notizia antiche e moderne, fisiche e teologiche oltramarine, e oltramontane, Orientali ed Occidentali, Settentrionali e Meridionali» (Ragionamento sopra la divozione al sacro cuor di Gesù..., 1787, p. 29). Giovanni Marchetti, arcivescovo di Ancyra, continuò l’opera  aggiungendovi dodici volumi su Josué, Giudici, Samuele e Re (Roma 1803-07) .

Negli ultimi anni della sua vita Niccolai si pronunciò contro la riforma della Chiesa invocata dal vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci. Si schierò per esempio su posizioni filoromane allorché in seguito a uno scandalo che aveva coinvolto alcune monache di Prato e Pistoia – accusate di comportamento licenziosi e di quietismo (1781) – il papa ne chiese la consegna all’inquisitore. Il gesto pontificio venne interpretato dal granduca come un espediente inteso a rimandare la riforma dei monasteri. Il papa dovette infine cedere e sottrarre la giurisdizione dei conventi delle monache ai domenicani per affidarla al granduca. In questo frangente Pietro Leopoldo confermò Niccolai come teologo di corte, ma lo invitò formalmente ad astenersi «assolutamente fino a nuovo ordine da qualunque relazione e corrispondenza non tanto col medesimo Nunzio, quanto ancora con qualunque Ministro della Nunziatura, sì in voce come in carta, direttamente o indirettamente, sotto pena di perdere immediatamente le pensioni delle quali gode come Teologo, e come ex-gesuita, e di dover subito uscire di Firenze» (S. Bertolini ad A. Niccolai, 3 agosto 1781, cit. in  Zobi, 1850, II, t. 2, p. 120).

Morì nel 1784 a Firenze nel convento dei cistercensi, dove si era trasferito dopo la soppressione della Compagnia di Gesù (1773).

Opere: Oratio panegirico de Beato Alexandro Sauli (in italiano), in Raccolta di Orazioni in lode del Beato Alessandro Sauli, Lucca 1743, pp. 157-178 (anche nelle Prose toscane, 1772, I, pp. 25-50); Orazione in lode di S. Filippo Neri, in Prose toscane, I, 1772, pp. 109-133; Ragionamenti sopra la religione del P. Alfonso Niccolai della Compagnia di Gesù Teologo di S.A.R. l’Arciduca gran Duca di Toscana, Venezia 1770-71; Orazione in lode di Sant’Ignazio di Loyola, in B. Gamba, Raccolta di prose e lettere scritte nel secolo XVIII, vol. I: Elogi, Milano 1829, pp. 268-289. Le sue Elegie Catulliane vennero pubblicate assieme alle Poesie del confratello gesuita Carlo Rota (C. Rota, Carmina et orationes, Padova 1741, pp. 77-85); altre poesie in Selecta PP. Societatis Jesu Carmina, Genova 1747; gli Epigrammata in Carmina Arcadum, II, Roma 1756, pp. 251-259; Carmina recentiorum poetarum VII e Societate Jesu ..., Cremona 1772.

Fonti e bibl.: S. Corticelli, Regole e osservazioni della lingua toscana, Bologna 1754 [I ed. 1745], p. 254; F.A. Zaccaria, Storia letteraria d’Italia,  V, Venezia 1753, pp. 620-626; VIII, Modena 1753, pp. 357, 544; IX, ibid. 1756, p. 529; Annali letterari d’Italia, I,2, Modena 1756, p. 6; II, ibid. 1757, p. 350; G. Roberti, Ragionamento sopra la divozione al sacro cuor di Gesù con una Lettera intorno all’eloquenza del pulpito, Bassano 1787, p. 29; Nuovo Dizionario storico ovvero storia in compendio…composto da una società di letterati in Francia, XIII, Bassano 1796, pp. 116 s.; D. Caballero, Bibliothecæ scriptorum Societatis Iesu supplemento, Roma 1814, I, pp. 207 s.; II, p. 77; G.M. Cardella, Compendio della storia della bella letteratura greca, latina e italiana, III, Milano 1827, pp. 219-221; F. Inghirami, Storia della Toscana compilata ed in sette epoche distribuita, XIII, Fiesole 1844, p. 461; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXII al MDCCCXLVIII, II,1, Firenze 1850, p. 294; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, V, Bruxelles-Paris 1894, coll. 1702-05; H. Hurter, Nomenclator literarius theologiæ catholicæ,  V, Innsbruck 1911, p. 359; M. Zanfredini, N., A., in Diccionario Histórico de la Compañía de Jesús, III, Roma-Madrid 2001, p. 2817; L. Hervás y Panduro, Biblioteca Jesuítico-Española (1759.1799), ed. critica a cura di A. Astorgano Abajo, Madrid 2007, p. 311.