DREYFUS, Alfred

Enciclopedia Italiana (1932)

DREYFUS, Alfred

Gabriele Gabbrielli

Ufficiale, nato a Mulhouse (Alsazia) il 9 ottobre 1859. Il padre, facoltoso industriale israelita, aveva optato nel 1870 per la nazionalità francese e si era trasferito a Parigi. Laureatosi al Politecnico, il D. iniziò la carriera militare nel 1880. Nel 1892 entrò alla scuola di guerra, ove ottenne il brevetto di ufficiale di Stato maggiore. Nel 1893 fu addetto al Comando del corpo di Stato maggiore. Prese parte alla guerra mondiale, e fu promosso tenente-colonnello.

L'affare Dreyfus. - Nell'autunno 1894 il comando del corpo di Stato maggiore francese veniva in possesso di un documento costituito da una lettera anonima e senza data, nella quale un ignoto ufficiale francese dichiarava d'inviare al destinatario cinque documenti militari interessanti la sicurezza nazionale. Tale foglio (il bordereau) sarebbe stato rinvenuto, in pezzi, tra i residui della carta straccia dell'Ambasciata germanica a Parigi. Il fatto che in quell'epoca si verificavano inesplicabili sparizioni di documenti negli uffici del Comando suddetto e alcune rassomiglianze che l'anonima calligrafia sembrava presentare con quella del capitano Alfredo Dreyfus del 14° reggimento di artiglieria, addetto al corpo di S. M. presso il ministero, determinarono il deferimento di questo ufficiale al Consiglio di guerra sotto l'imputazione di alto tradimento. Nonostante gli ottimi precedenti dell'accusato, le sue proteste d'innocenza, la mancanza di testimonianze, il disaccordo delle perizie calligrafiche e le dichiarazioni del governo germanico, per il tramite dell'ambasciatore Münster, di non aver avuto mai relazioni col D., il Consiglio di guerra, il 22 dicembre 1894, dichiarava il D. colpevole "di avere consegnato a una potenza estera o ai suoi agenti documenti interessanti la difesa nazionale e avere avuto intelligenze con questa potenza, al fine d'impegnarla a commettere ostilità contro la Francia o a procurargliene i mezzi"; condannava pertanto l'ufficiale alla degradazione e alla deportazione perpetua all'Isola del Diavolo.

Il processo sollevò viva commozione in Francia e all'estero. In un primo tempo nessuno sembrò dubitare della colpevolezza del D., né sospettare della legalità dei procedimenti seguiti. Sennonché l'azione intrapresa dalla moglie e dal fratello del D., Matteo, per ottenere la continuazione delle indagini; le dimissioni del presidente della repubblica, Casimir Périer, sopraggiunte dieci giorni dopo e seguite da quelle del governo (Dupuy), i dubbî sollevati da qualche giornale su talune circostanze, cominciarono ad alimentare la convinzione di un errore giudiziario. Il fatto che il D. era l'unico ufficiale di S. M. di religione israelitica valse a scatenare tra i nazionalisti un'ondata di violento antisemitismo, mentre le simpatie per il condannato si manifestavano fra gli elementi di sinistra.

Nel maggio 1896 la scoperta di un nuovo documento sopraggiungeva a rimettere in causa l'"affare Dreyfus". Si trattava di una lettera-telegramma in carta azzurra delle poste francesi (petitbleu), indirizzata al maggiore di fanteria Walsin-Esterhazy. La lettera, proveniente anch'essa dagli uffici dell'ambasciata di Germania, si riferiva a una "questione in sospeso" non meglio precisata, e appariva lacerata senza essere stata spedita. Il tenente colonnello Picquart, capo dell'ufficio informazioni dello S. M. e già rappresentante del Ministero della guerra nel processo D., ravvisava la stranissima identità calligrafica di alcuni manoscritti dell'Esterhazy col famoso bordereau; ma il suo parere circa la necessità di procedere nei riguardi di questo ufficiale (oriundo ungherese, di pessimi precedenti) non fu però condiviso dalle autorità superiori. Le insistenze del Picquart determinarono anzi il suo trasferimento in Tunisia; ma ciò non impedì che il 16 novembre 1897 il maggiore Esterhazy fosse denunciato quale autore del bordereau dal fratello del deportato. L'inchiesta che ne seguì determinò la costituzione di un Consiglio di guerra; il relativo procedimento, iniziatosi il 10 gennaio successivo, si chiudeva però con una scandalosa sentenza d'assoluzione. Emilio Zola, guadagnato alla causa revisionista insieme col vice-presidente del Senato Scheurer-Kestner, col deputato socialista Jaurès, con l'ex-ministro Trarieux, con Albert e Georges Clemenceau, ecc., pubblicava allora sul quotidiano l'Aurore la sua famosa lettera aperta al presidente della repubblica, Félix Faure, sotto il titolo J'accuse, in cui egli denunciava, documentandola, la lunga serie d'illegalità commesse sia nell'esperimento dell'inchiesta sia nel processo D., fino all'assoluzione dell'Esterhazy; veniva altresì chiamato in causa il Consiglio di guerra che aveva giudicato il D., per avere sentenziato in base a documenti segreti, presentati all'ultimo momento dal Ministero della guerra in camera di consiglio e rimasti ignoti anche alla difesa. La reazione del governo e del Ministero della guerra si manifestò col deferimento di Zola e di Perreux, gerente dell'Aurore, alla Corte d'assise per il reato di diffamazione e con gli arresti in fortezza inflitti al Picquart, più tardi imputato e processato per divulgazione di segreti d'ufficio.

Il presidente del consiglio Méline, violentemente attaccato dal Jaurès alla Camera dei deputati, dichiarò, malgrado il voto di 150 revisionisti, di rifiutare la discussione sulla materia attinente al processo D. Dimostrazioni e comizî ebbero luogo ovunque e le campagne di stampa si riaccesero con asprezza senza precedenti. Il processo Zola (7-23 febbraio 1898) occupò quindici udienze; ma il dibattimento, limitato al solo quesito se ì giudici del maggiore Esterhazy avessero commesso il delitto di deliberare per ordine ricevuto, si chiuse con la condanna di Emilio Zola e del Perreux rispettivamente a 1 anno e a 4 mesi di detenzione, nonché a 3000 franchi di multa. Poco dopo la Corte di cassazione annullava tale sentenza, ritenendo incompetente il Ministero della guerra a sporgere querela per un fatto interessante un Consiglio di guerra. Per incompetenza di sede cadeva pure, prima di cominciare, il successivo procedimento contro lo Zola alla Corte d'assise di Versailles.

Ma a spianare la via verso la revisione del processo sopraggiungevano, alla fine d'agosto di quell'anno, l'arresto e il suicidio del tenente colonnello Henry, confessó di avere falsificato uno dei principali documenti segreti a carico del D., come pure le dimissioni del capo di S. M. generale Boisdeffre e del ministro della Guerra G. Cavaignac. Il maggiore Esterhazy riparava in Inghilterra. Il 25 ottobre il ministero Brisson era esso pure dimissionario in seguito a un voto di sfiducia alla Camera sull'azione del governo nell'affare D. Nel giro di alcune settimane tre ministri militari si erano succeduti al portafoglio della Guerra.

Intanto la Corte di cassazione, accogliendo un ricorso di revisione avanzato dal Ministero della giustizia, ordinava l'esperimento di un'inchiesta supplementare, che, ultimata alla fine di maggio dell'anno successivo, portava all'annullamento della sentenza del 1894 e al conseguente deferimento del capitano D. al giudizio di un nuovo Consiglio di guerra. Questo si riunì a Rennes nell'estate 1899 e concluse con un'incoerente sentenza che condannava l'ufficiale a dieci anni di detenzione, computato il sofferto. Pochi giorni dopo, però, a placare momentaneamente gli spiriti esasperati, il presidente della repubblica, Émile Loubet, accoglieva il ricorso di grazia.

Occorsero però altri quattro anni e la vittoria dei radico-socialisti nelle elezioni del 1902 prima di addivenire all'apertura di un'inchiesta generale, che doveva avere per effetto, il 12 luglio 1906, la definitiva sentenza della Corte di cassazione a sezioni riunite con l'annullamento del giudizio di Rennes e con la condanna del maggiore Esterhazy quale autore del bordereau. Reintegrato nel grado e nell'impiego, il capitano D. ebbe la promozione a maggiore; il colonnello Picquart, riammesso in servizio col grado di generale, fece poi parte del gabinetto Clemenceau come ministro della Guerra.

A decisiva conferma dell'innocenza di Alfred D. sopraggiungeva, ventitré anni più tardi, la pubblicazione postuma delle Memorie del colonnello Schwartzkoppen, già addetto militare all'Ambasciata germanica a Parigi dal 1894 al 1897. In esse, questo ufficiale confessava che la spia francese autrice del bordereau era realmente il maggiore Esterhazy, al servizio della Germania dal luglio 1894 al maggio 1896. Bülow, allora ministro degli Esteri tedesco, ritenendo utile alla Germania la profonda scissione causata in Francia dall'"affare", aveva proibito allo Schwartzkoppen di rivelare il segreto cui era legata la sorte del D.

L'affare D. non rappresenta soltanto dodici anni di deviazioni, di acerbe lotte e di tenebrosi intrighi: esso ebbe il potere di dividere gli animi al punto che tutta la politica interna del paese e, in parte, anche quella estera ne furono profondamente influenzate. All'interno le correnti radico-socialiste ebbero buon giuoco contro le forze conservatrici e, in particolare, contro le alte sfere militari, avvantaggiando sensibilmente il processo di laicizzazione delle istituzioni e della vita pubblica (v. francia: Storia).

Bibl.: A. Dreyfus, Cinq années de ma vie (1894-1899), Parigi 1901; J. Reinach, Hist. de l'affaire D., Parigi 1901-1904; B. Lazare, Une erreur judiciaire: l'affaire D., Parigi 1897; id., La vérité sur l'affaire D., Parigi 1897; É. Zola, La vérité en marche, Parigi 1898; G. Weill, Hist. du mouvement social en France (1852-1902), Parigi 1904; P. Desachy, Bibliographie de l'affaire D., Parigi 1905; G. Charensol, L'affaire D., Parigi 1930; L. C. Schwartzkoppen, Carnets. La vérité sur D., trad. A. Koyré, Parigi 1930; B. Weil, L'affaire D., Parigi 1930; D. Le Blonde-Zola, É. Zola raconté par sa fille, Parigi 1930; A. Locatelli, L'"affare" D., Milano 1930; A. Zévaès, L'affaire D., Parigi 1931.

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