SCHUSTER, Alfredo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCHUSTER, Alfredo

Alfredo Canavero

(in religione Ildefonso). – Nacque a Roma il 18 gennaio 1880, primogenito di Giovanni, zuavo pontificio di origine bavarese, e della sua terza moglie, Maria Anna Tutzer di Bolzano, e fu battezzato coi nomi di Alfredo Ludovico.

Alla morte del padre, nel 1899, la famiglia ebbe difficoltà economiche, e solo grazie all’aiuto del colonnello delle guardie svizzere, Pfiffer d’Altishofen, Schuster poté frequentare le scuole elementari a Roma presso l’Istituto privato parificato Domenico Sacchi. Nel 1891 entrò nel collegio del monastero di S. Paolo fuori le mura, tenuto dai benedettini, dove compì gli studi ginnasiali e liceali.

In estate passava le vacanze al monastero di Farfa, dove entrò in contatto con il rettore, dom Placido Riccardi, e dove nacque e si sviluppò la sua vocazione monastica. Il 12 novembre 1898 iniziò il noviziato a S. Paolo, prendendo il nome di Ildefonso. L’anno successivo ricevette gli ordini minori e proseguì gli studi presso il Collegio benedettino di S. Anselmo sull’Aventino, dove si formavano monaci preparati specialmente per l’apostolato in Oriente. Nel 1903 si laureò in filosofia e l’anno successivo, il 19 marzo, fu ordinato sacerdote. Appassionato di studi archeologici e storici, pubblicò numerosi articoli sul Nuovo Bullettino di archeologia cristiana e sulla Rivista storica benedettina, segnalandosi tra i più promettenti giovani dell’Ordine benedettino. Il 15 maggio 1908 fu nominato maestro dei novizi nel monastero di S. Paolo, con l’incarico di insegnare filosofia, ebraico, sacra scrittura, patrologia, latino, greco e archeologia. Attratto dalla liturgia orientale e alla ricerca di elementi comuni tra la tradizione latina e quella orientale, acquisì una notevole competenza nel settore, tanto che Pio X lo volle tra i censori della rivista Roma e l’Oriente, fondata nel 1910 dall’abate Arsenio Pellegrini per favorire il ritorno all’unità delle Chiese separate, dove erano stati pubblicati alcuni articoli ritenuti non del tutto ortodossi.

Personalità dai molteplici interessi culturali, nel 1911 Schuster fu chiamato a insegnare storia delle melodie gregoriane nella Scuola superiore di musica sacra. Era convinto che la musica sacra, e in particolare il canto gregoriano, poteva essere occasione di una maggiore partecipazione dei fedeli alla liturgia.

Partecipò al movimento liturgico, collaborò con la Rivista liturgica e nel 1919 pubblicò il primo volume del Liber sacramentorum..., in cui ripercorse la storia delle preghiere liturgiche e tradusse in italiano le parti della messa, mettendo in luce la differenza tra la partecipazione al rito degli antichi cristiani e quella dei contemporanei.

«A differenza dei moderni, che in chiesa, senza intender nulla, si contentano d’unirsi in spirito al sacerdote che prega, gli antichi volevano che l’actio fosse veramente sociale, collettiva, eminentemente drammatica, così che non soltanto il vescovo, ma il presbiterio, i diaconi, il clero, i cantori, il popolo, ciascuno avesse la propria parte distinta da rappresentare» (Liber sacramentorum..., I, 1919, p. 7).

Schuster era a favore della cosiddetta messa dialogata e della distribuzione dell’eucarestia infra missam e non al termine della celebrazione e si trovò indirettamente coinvolto in una polemica tra benedettini e gesuiti, nata dalla pubblicazione del libro del francese dom Maurice Festugière, La liturgie catholique, in cui gli esercizi spirituali di s. Ignazio erano considerati la causa dell’allontanamento dei fedeli dalla pratica liturgica. Schuster si adoperò per smorzare la polemica, che avrebbe potuto danneggiare gravemente il movimento liturgico con un’accusa di modernismo. All’inizio del 1914 fu nominato consultore della S. congregazione dei Riti, sezione liturgia. La sua nomina ne accrebbe il prestigio presso i benedettini, che il 22 settembre 1915 lo elessero, a soli 35 anni, procuratore generale della Congregazione cassinese, una carica normalmente riservata a prelati più anziani ed esperti. Tre anni dopo, il 26 marzo 1918, a soli 38 anni, fu eletto abate di S. Paolo succedendo all’appena scomparso dom Giovanni Del Papa.

Nel corso della prima guerra mondiale Schuster, riformato alla visita di leva, si occupò della formazione dei chierici mechitaristi, che a causa degli eventi bellici avevano dovuto abbandonare l’isola di San Lazzaro nella laguna di Venezia e trasferirsi a Roma. Anche per questo motivo Benedetto XV, quando istituì il Pontificio istituto orientale (15 ottobre 1917) per permettere una maggiore conoscenza dell’Oriente cristiano, vi chiamò Schuster a insegnare liturgia orientale e, in seguito (3 ottobre 1919), a ricoprire la carica di preside. Benedetto XV gli affidò anche la stesura dell’enciclica Principi apostolorum Petro (5 ottobre 1920), con la quale si proclamava s. Efrem il siro, particolarmente venerato in Oriente, santo della Chiesa latina e si auspicava la fine della separazione dalla Chiesa ortodossa. Come abate di S. Paolo Schuster fu anche responsabile di una piccola diocesi, che comprendeva i comuni di Leprignano (dal 1933 Capena), Civitella San Paolo e Nazzano Romano. Fedele alle sue concezioni liturgiche, invitò gli arcipreti a tradurre il Vangelo in italiano e a spiegarlo durante la messa, precisando che tutto ciò non doveva eccedere i dieci minuti. Nei giorni festivi i parroci, aiutati da laici preparati, dovevano poi insegnare catechismo non solo ai giovani, ma anche agli adulti in modo semplice, chiaro e adeguato alla comprensione dei fedeli. Dette inoltre impulso all’Azione cattolica, per una migliore preparazione dei laici. Nelle sue lettere pastorali contestò l’ingerenza dello Stato nel campo dell’educazione e parlò contro il socialismo. Nel 1924, in vista delle elezioni politiche, ordinò al proprio clero di astenersi da ogni partecipazione a eventi di carattere politico, ma il 30 marzo benedisse il gagliardetto del fascio del quartiere ostiense, concedendo la benedizione «nella misura della vostra fede e dei vostri desideri» (Beltrame Quattrocchi, 1985, p. 66). Schuster riteneva doveroso l’ossequio all’autorità civile, e quindi anche al regime fascista, poiché il potere derivava da Dio. La violazione dei principi della Chiesa da parte del fascismo, in particolare sulla questione dell’educazione dei giovani, avrebbe però cambiato le cose. In tal caso, disse, non si sarebbe più trattato di «fascismo genuino, quale è inteso dal Governo, ma vero settarismo ricoperto d’una camicia nera» (p. 90). «Lasci [lo Stato] che la Chiesa educhi spiritualmente i suoi Balilla, le sue giovani Italiane, gli avanguardisti, i fascisti. Al contatto della santità della Madre Comune dei Fedeli, tutti codesti figlioli riusciranno più puri, più forti, e perciò stesso più fascisti nel senso più vero della parola» (Nobili, 2011, p. 183).

Nel 1926 Pio XI lo inviò come visitatore apostolico nelle diocesi di Milano, Bergamo, Brescia, Crema, Cremona, Mantova, Lodi e Pavia. A Milano contribuì a far edificare il nuovo seminario che, secondo i desideri del pontefice, sorse a Venegono (Varese). Alla morte dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Eugenio Tosi, Pio XI nominò Schuster. La nomina fu perfezionata il 26 giugno 1929. Il 15 luglio fu creato cardinale e fu consacrato vescovo dallo stesso pontefice il 21 luglio. L’11 febbraio erano stati firmati i Patti lateranensi e Schuster fu il primo vescovo a prestare giuramento di fedeltà allo Stato italiano, a San Rossore di fronte al re Vittorio Emanuele III (13 luglio). L’8 settembre fece il suo ingresso ufficiale a Milano, prendendo possesso di una diocesi che dai tempi del cardinale Ferrari non aveva avuto una guida sicura: troppo breve era stato l’episcopato di Achille Ratti e troppo debole quello del cardinale Tosi, anziano e malato. Si adoperò quindi innanzitutto per riprendere in mano con vigore la situazione. Nel suo ministero episcopale Schuster compì ben cinque visite pastorali alle più di novecento parrocchie della diocesi, non mancando di prendere provvedimenti disciplinari anche drastici, che dispiacquero a una parte del clero.

I suoi riferimenti pastorali furono Ambrogio e Carlo Borromeo, visti non come remoti predecessori da onorare, ma come personalità da cui ricavare suggerimenti per l’azione. La Rivista diocesana milanese divenne lo strumento privilegiato per trasmettere i suoi messaggi al clero, ma anche per pubblicare articoli sulla liturgia e sulla storia della diocesi. Un altro importante strumento di diffusione del suo pensiero fu il quotidiano L’Italia, con cui si poteva raggiungere un pubblico più vasto e differenziato. Schuster riteneva che dopo la Conciliazione fosse possibile cristianizzare la società italiana nel quadro dello Stato fascista e che quindi si dovesse collaborare con esso, ma solo se non fossero toccati gli spazi e le prerogative della Chiesa. All’atto della nomina il guardasigilli Alfredo Rocco lo aveva descritto come «persona degnissima sotto ogni riguardo e simpatizzante del regime» (Ferrari, 1982, p. 587). In effetti alcune espressioni di Schuster davano l’impressione di una profonda adesione al fascismo. Un suo biglietto inviato il 21 marzo 1930 al segretario federale di Milano per l’anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento in cui si parlava di «missione di salvezza» affidata al duce (Beltrame Quattrocchi, 1985, p. 129), provocò sconcerto tra alcuni fedeli e una lettera aperta del gruppo guelfo, che sottolineava l’essenza anticattolica del fascismo e la sua irriducibilità al cristianesimo. Anche la S. Sede ritenne eccessive le parole di Schuster e gli fece pervenire un garbato richiamo. La crisi del 1931 per l’Azione cattolica rappresentò un momento di tensione fra Schuster e il regime e indusse l’arcivescovo a non presenziare all’inaugurazione della stazione centrale di Milano, a cui di conseguenza non intervennero neppure il re e Benito Mussolini. Superata la crisi, Schuster ebbe ancora parole di elogio per il regime che secondo lui aveva avuto il merito di restaurare la nazione cattolica in quella che riteneva una missione del regime stesso. Celebrò quindi, con frasi giudicate eccessive dallo stesso Pio XI, l’impresa di Etiopia, che secondo Schuster avrebbe spezzato «le catene degli schiavi» e spianate «le strade ai missionari del Vangelo» (28 ottobre 1935). Le polemiche suscitate in quell’occasione indussero Schuster a dare il minimo risalto alla cerimonia della benedizione delle fedi donate alla patria, ma in seguito non mancarono altre sue manifestazioni di adesione alla missione sacra dell’impero di Roma.

Il suo atteggiamento cambiò con l’approvazione delle leggi razziali (1938-39). Il 13 novembre 1938 pronunziò in duomo un’omelia in cui condannò il mito della razza, definendola «un’eresia antiromana». Qualche mese dopo, nel corso del sinodo minore diocesano, affermò che lo «Stato egheliano [sic], totalitario, autoritario, sovrano» era in «irriducibile antinomia» col cristianesimo (Beltrame Quattrocchi, 1985, p. 263) in un discorso che tuttavia non fu reso pubblico. Di fronte all’entrata in guerra dell’Italia, nel 1940, Schuster mantenne una posizione defilata, senza ripetere i toni entusiastici del 1935. Dopo l’8 settembre 1943 diede direttive ai sacerdoti di mantenere la Chiesa al di fuori e al di sopra delle diverse parti politiche e di operare con carità verso tutti. Nel periodo della Resistenza non ostacolò la partecipazione dei sacerdoti e condannò invece don Tullio Calcagno e la sua pubblicazione fascista Crociata Italica. Si adoperò poi per la liberazione di detenuti e condannati per motivi politici. Già nei primi mesi del 1945 Schuster aveva cercato di trattare sia coi tedeschi, impegnandoli a non causare danni a persone o cose al momento della ritirata, sia coi partigiani perché non ne ostacolassero il rientro in Germania. L’azione di Schuster a difesa della città fu continua e portò, il 25 aprile 1945, al noto incontro in arcivescovado con Mussolini, che in un primo momento fu tentato di consegnarsi all’arcivescovo, ma poi cambiò idea e andò incontro al suo destino.

Nel dopoguerra Schuster si adoperò per la ricostruzione morale e materiale della diocesi. Istituì la Domus Ambrosiana per dare un alloggio alle famiglie povere e due istituzioni culturali: il Didascaleion per i sacerdoti e l’Ambrosianeum per i laici. Sostenne le ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) e favorì la nascita di centri sportivi per la gioventù. Analogo sostegno dette alla Charitas Ambrosiana, diretta da monsignore Giuseppe Bicchierai, e alla Pro Juventute, fondata da don Carlo Gnocchi. Tra il 1952 e il 1953 fu il primo presidente della Conferenza episcopale italiana. Tra il 1946 e il 1951 aveva portato a compimento la sua quarta visita pastorale e iniziato immediatamente la quinta, che restò incompiuta per la sua morte, avvenuta il 30 agosto 1954 a Venegono. Il 12 maggio 1996 è stato proclamato beato da Giovanni Paolo II.

Opere. Liber sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul messale romano, I-IX, Torino 1919-1929; Gli ultimi tempi di un regime, Milano 1946 (ed. Milano 1995 a cura di A. Majo - G. Rumi); Scritti del card. A. I. S., a cura di G. Oggioni, Venegono Inferiore 1959; Lettere dell’amicizia: d. I. S. rivelato nell’epistolario a d. Giuseppe Piccinino (1904-1918), a cura di U. Frasnelli, Milano 1965; Lettere di I. S. e altri saggi, a cura di I. Biffi, Milano 2011.

Fonti e Bibl.: Fonti per la prima parte della sua vita si trovano a Roma presso: Archivio del monastero di S. Paolo fuori le mura; Archivio segreto Vaticano; Archivio del Collegio di S. Anselmo; Archivio del pontificio Collegio greco; Archivio del Pontificio Istituto di musica sacra; Archivio della Congregazione per le Chiese orientali. La documentazione sul suo episcopato ambrosiano è nell’Archivio storico della diocesi di Milano; ricco di documenti per il periodo fino al 1945 è P. Beltrame Quattrocchi, Al di sopra dei gagliardetti: l’arcivescovo S.: un asceta benedettino nella Milano dell’«era fascista», Casale Monferrato 1985.

Le prime opere a lui dedicate sono di taglio agiografico: G. Judica Cordiglia, Il mio cardinale, Milano 1955; E. Terraneo, Il servo di Dio card. S. arcivescovo di Milano: brevi cenni biografici, Milano 1962; I. Belski Lagazzi, Il Card. S., Modena 1965; T. Leccisotti, Il cardinale S., I-II, Milano 1969; le opere seguenti superano l’impostazione puramente apologetica e danno un’immagine molto più articolata di Schuster, con luci e ombre: G. Rumi - A. Majo, Il cardinal S. e il suo tempo, Milano 1979; Il cardinal Alfredo Ildelfonso Schuster, avvio allo studio, Milano 1979; A. Ferrari, S., I., in Dizionario storico del movimento cattolico, II, Casale Monferrato 1982, pp. 586-591; L. Crivelli, S.: un monaco prestato a Milano, Milano 1996; la prima fase della sua vita è ricostruita da E. Nobili, Ildelfonso Schuster e il rinnovamento cattolico (1880-1929), con ampia bibliografia degli scritti di Schuster, Milano 2011. Dedicate ad argomenti particolari sono: A. Majo, Gli anni difficili dell’episcopato del card. Alfredo Ildelfonso Schuster, Milano 1978; E. Nobili, La parabola di un’illusione. Il cardinal S. dalla guerra d’Etiopia alle leggi razziali, Milano 2005; U. Dell’Orto, Pio XI e la visita apostolica dell’Abate S. al Seminario di Milano (1926-28), in La Scuola cattolica, CXXXIV (2006), pp. 527-540; L. Ceci, Il papa non deve parlare. Chiesa, fascismo e guerra d’Etiopia, Bari-Roma 2010, ad ind.; D. Premoli, Più efficace della parola è l’opera. Cattolicesimo a Saronno durante l’episcopato del card. S. (1929-1954), Tricase 2016.

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