Algebra

Enciclopedia della Matematica (2013)

algebra


algebra ramo della matematica che studia il calcolo numerico generalizzandone le operazioni mediante l’introduzione delle lettere dell’alfabeto a rappresentare i numeri. Un’altra caratteristica essenziale dell’algebra è l’introduzione dei numeri relativi, ossia dei numeri contrassegnati dai segni + (positivi) o − (negativi), a differenza dell’aritmetica che si occupa solo dei numeri assoluti. Il campo di studi dell’algebra si è profondamente modificato nel corso della storia della matematica, in parallelo con lo sviluppo della matematica stessa. La disciplina nacque originariamente con lo scopo di facilitare la soluzione di problemi aritmetici (che l’algebra traduce nelle corrispondenti equazioni astraendo dal significato specifico materiale dei dati del problema ed evitando le complicazioni che la soluzione diretta spesso comporta) e si sviluppò trasformandosi in una teoria sistematica delle equazioni. Pur non abbandonando tale originario campo di problemi relativo alla risoluzione delle equazioni, nel corso della sua storia l’algebra ha visto un progressivo ampliarsi di strumenti e concetti e, come del resto tutta la matematica, ha registrato una sempre più marcata tendenza alla generalizzazione e all’astrazione allargando il suo campo di indagine allo studio delle proprietà e delle caratteristiche delle strutture algebriche (insiemi, gruppi, anelli), vale a dire degli insiemi in cui sono definite una relazione oppure una o più operazioni. Il termine «algebra» proviene dal titolo dell’opera del grande matematico arabo del ix secolo al-Khuwārizmī, al-Kitāb al-mukhtasar fi hisab al-giabr wal-muqābala (Manuale di calcolo per completamento e riduzione). In tale opera il vocabolo arabo al-jabr, che significa «assestamento, reintegrazione, completamento», si riferisce alla possibilità di trasformare le equazioni al fine di trovarne le soluzioni. Per integrazione e completamento si intendono infatti quelle trasformazioni, talvolta dette principi di equivalenza, per le quali, data per esempio una equazione di primo grado ax + b = 0, con a ≠ 0, si riscrive l’equazione nelle forme equivalenti ax + b b = −b (cioè: ax = −b) e quindi ax/a = −b/a, che portano alla soluzione x = −b/a.

Dall’aritmetica all’algebra

Nella matematica elementare, l’algebra si distingue dall’aritmetica perché considera non soltanto numeri naturali, ma anche relativi e, studiando le proprietà generali delle operazioni con i numeri, introduce le lettere come simboli per rappresentare numeri generici: lo studio si concentra quindi sulle proprietà di monomi, polinomi, frazioni algebriche e radicali e sulle tecniche per risolvere le equazioni. In questo senso, l’algebra si identifica largamente con il calcolo letterale, che comporta anche il calcolo con quantità incognite o indeterminate e il calcolo con numeri negativi. Non è stato né breve né lineare il passaggio dalla formulazione di problemi matematici in forma verbale all’adozione di convenzioni sempre più codificate simbolicamente. Tale passaggio dall’«algebra retorica» (espressa solamente a parole) all’«algebra sincopata», che si avvale di abbreviazioni e convenzioni via via patrimonio comune dei matematici, fino a una più stabile «algebra simbolica», avvenne tra il xv e il xvi secolo ed ebbe tra i suoi protagonisti il francese F. Viète, che dette un fondamentale contributo all’adozione delle lettere per rappresentare numeri generici ( matematica), e alcuni matematici italiani, quali N. Tartaglia, L. Ferrari, S. Dal Ferro, G. Cardano, R. Bombelli, cui talvolta ci si riferisce collettivamente parlando di algebristi italiani del xvi secolo. Va sottolineato che, come spesso accade, tali novità simboliche, che sembrerebbero mere abbreviazioni stenografiche, si accompagnarono invece a importanti novità concettuali. In questo periodo, infatti, grazie anche all’utilizzo di tali più efficaci notazioni simboliche, Cardano nel suo trattato Ars magna (1545) pubblica le formule risolutive per le equazioni di terzo e quarto grado e Cartesio opera con sicurezza anche con i numeri negativi, formulando la regola dei segni, che permette di determinare il segno delle soluzioni di un’equazione polinomiale sulla base dei segni dei coefficienti. Nel trattato di Bombelli Algebra parte maggiore dell’aritmetica (1572) figurano inoltre per la prima volta i numeri immaginari, introdotti all’inizio come utili strumenti per determinare le soluzioni reali di determinate equazioni. Si può supporre, come afferma lo storico inglese David E. Smith in History of Mathematics (1958), che gli algebristi di questo periodo ammettessero «tacitamente che ogni equazione razionale intera abbia una radice», anche se esplicitamente non anticiparono ciò che poi sarebbe divenuto noto come il teorema fondamentale dell’algebra e che, dopo numerosi tentativi falliti, tra cui notevole fu quello di Eulero, fu dimostrato rigorosamente da Gauss nel 1799.

L’algebra si svincola dalla geometria

Lo sviluppo dell’apparato simbolico consentì inoltre che nella risoluzione di un problema, e quindi nella risoluzione di un’equazione, non ci si basasse più, come avveniva prima di Cartesio, su metodi geometrici: in tal modo l’algebra si svincolò dalla geometria. Con l’introduzione delle coordinate cartesiane si invertì infatti la relazione tra i due settori disciplinari; mentre in precedenza si ricorreva a modelli geometrici per risolvere problemi aritmetici o algebrici, con lo sviluppo della geometria analitica, nella quale oggetti e relazioni geometriche sono descritti da numeri, equazioni o comunque relazioni algebriche, sono i problemi geometrici a trovare soluzione per via algebrica.

Nel corso del xviii secolo non si registrarono novità di rilievo nel campo della risoluzione delle equazioni, anche perché gli interessi dei ricercatori si rivolsero ai problemi del nascente calcolo infinitesimale. Tuttavia, i contributi di Eulero (cui si devono molte innovazioni simboliche e concettuali relative ai numeri complessi e alla loro relazione con le funzioni goniometriche) e l’analisi di Lagrange sulle equazioni di quarto grado (che portò a fissare l’attenzione sulle permutazioni delle radici di un’equazione) gettarono le basi degli straordinari risultati della prima metà del secolo successivo.

La nascita dell’algebra moderna

Un primo risultato algebrico definitivo, che chiuse secoli di ricerche relative anche ai classici problemi di costruzioni geometriche con riga e compasso, si ebbe nel 1824 con la pubblicazione, da parte di N. Abel, della dimostrazione dell’impossibilità di risolvere per mezzo di radicali le equazioni algebriche di grado superiore al quarto (risultato noto come teorema di Abel-Ruffini, perché a esso pervenne indipendentemente anche l’italiano P. Ruffini). Nel xix secolo si realizzò anche un notevole ampliamento di prospettive dell’algebra con l’introduzione di nuovi insiemi numerici (come i quaternioni, introdotti da W.R. Hamilton nel 1843) e l’applicazione di metodi di calcolo algebrico alla logica (come in A. De Morgan e G. Boole) e ai vettori (come in H. Grassmann). Tuttavia, la nascita dell’algebra moderna, intesa come disciplina che per indagare il problema della risolubilità delle equazioni adotta strumenti più generali e astratti, può farsi risalire all’epoca della pubblicazione dei lavori di E. Galois, avvenuta nel 1846 a opera di J. Liouville. Nei lavori di Galois ( Galois, teoria di) un gruppo di permutazioni associato a un’equazione algebrica in un’incognita permette di stabilire se l’equazione è risolubile o meno. Il termine «gruppo» non fu tuttavia utilizzato né da Galois né da Liouville; esso fu introdotto per la prima volta da A. Cayley, nel 1854, che lo riferiva ai gruppi di sostituzioni ed elaborò esplicitamente la nozione di elemento neutro di un’operazione, astraendo quindi dalle proprietà dello zero e dell’uno degli insiemi numerici. Con Cayley si realizzò quindi quello slittamento così denso di implicazioni future per cui le operazioni non si riferiscono più soltanto a oggetti numerici o a loro rappresentanti, ma anche a oggetti di tutt’altra natura.

Gli insiemi e le strutture

Alla fine dell’Ottocento un altro strumento concettuale, gli insiemi, introdotti da Cantor, costituirono la premessa per un’ulteriore evoluzione dell’algebra verso una maggiore generalizzazione e astrazione. Anche se infatti la teoria degli insiemi non nacque in relazione al problema della risoluzione delle equazioni, ma rispondeva piuttosto alle esigenze di fornire una visione più unitaria della matematica e di precisare il concetto di infinito in relazione agli insiemi numerici, essa, dopo le prime iniziali diffidenze da parte di molti matematici, e soprattutto dopo il superamento delle antinomie che furono scoperte nella sua prima formulazione, si affermò via via come una teoria di base e, contemporaneamente, come un linguaggio comune: da allora è in un insieme, o in un prodotto di insiemi, che si definiscono operazioni, interne o esterne, e relazioni. Gli insiemi fanno perciò da sostegno a nuovi oggetti, le strutture algebriche, cioè insiemi in cui sono definite una o più leggi di composizione – nozione che generalizza quella di operazione – e che soddisfano determinati assiomi quali le proprietà di commutatività, di associatività o altre ancora. Sono esempi di strutture algebriche con un’operazione i monoidi, i semigruppi e i gruppi; strutture algebriche con due operazioni sono invece gli anelli, i corpi e i campi. Tale tendenza alla generalizzazione e allo studio delle strutture algebriche si diffuse rapidamente a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, soprattutto per l’influenza del gruppo di matematici francesi denominatosi Bourbaki, che operò una massiccia «rifondazione della matematica» basata sulle nozioni di insieme e di struttura. Questo nuovo punto di vista coinvolse anche l’insegnamento della matematica e anche nei corsi universitari, l’algebra, pur non abbandonando l’obiettivo ultimo dello studio della risolubilità delle equazioni, divenne sempre di più studio delle strutture algebriche, tra le quali, ovviamente, anche quelle, come i campi, all’interno dei quali si fanno variare i coefficienti di un’equazione o che costituiscono il sostegno di uno spazio vettoriale.

L’algebra astratta

Il modo in cui si sviluppò l’algebra nel corso del xx secolo ne accentuò talmente il carattere astratto che, negli anni Sessanta dello scorso secolo, i corsi universitari di algebra furono spesso denominati corsi di Algebra astratta proprio per marcare la differenza con il tradizionale studio delle equazioni polinomiali. In effetti, le strutture algebriche non sono più studiate prevalentemente nelle loro determinazioni particolari (un particolare gruppo di trasformazioni o un particolare campo numerico), ma in termini astratti, cioè a meno di isomorfismi; inoltre, l’algebra stessa precisa il meccanismo dell’astrazione attraverso la nozione di relazione di equivalenza, che permette di passare da singoli elementi a classi di elementi tra loro equivalenti (così, per esempio, dalla nozione di «retta» si passa alla nozione più astratta di «direzione» costruendo l’insieme quoziente definito a partire dalla relazione di equivalenza del parallelismo; analogamente, dalla nozione di «frazione» come operatore su quantità si passa alla nozione più astratta di «numero razionale» inteso come classe di frazioni equivalenti).

Lo sviluppo di tali strumenti algebrici ha influenzato notevolmente altri settori della matematica che attualmente non ne possono prescindere: in una nuova direzione si sono così sviluppate la topologia algebrica, l’ algebra combinatoria e l’ algebra lineare; anche la geometria algebrica ha visto rivoluzionati i suoi metodi di studio e in essa si è rivelata centrale la nozione di anello e, in particolare, quella di anello noetheriano, così denominato in onore della matematica Emmy Noether.

Il termine «algebra» designa anche una particolare struttura definita su un campo ( algebra (struttura)).

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