Altichiero (o Aldighieri o Aldigheri)

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

Altichiero (o Aldighieri o Aldigheri)

F. Flores d'Arcais

Pittore veronese. Documentato nel 1369 a Verona nel Capitolo di S. Anastasia, riceveva nel 1379 il saldo per i lavori eseguiti nella cappella di S. Giacomo (ora di S. Felice) al Santo di Padova; attestato ancora in questa città nel 1381, 1382 e 1384, in questo ultimo anno veniva pagato per i lavori nella cappella di S. Giorgio e inoltre per una anchona per una certa Margareta. Un documento del 1393 (Sforza Vattovani, 1980) lo dice bonae memoriae: dunque a quella data il pittore non era più in vita. Se scarsi sono i documenti attorno ad A., molte e talvolta contraddittorie sono le notizie riportate dalle fonti. Le più antiche sono di Savonarola (Libellus; 1447 ca.), che lo dice veronese e autore degli affreschi della cappella di S. Giorgio sul sagrato del Santo a Padova: inoltre gli attribuisce, assieme a Ottaviano da Brescia, la decorazione della sala degli Uomini illustri nella reggia dei da Carrara. Michiel invece (Notizia; 1540 ca.) gli assegna gli affreschi della cappella di S. Giacomo e quelli della cappella di S. Giorgio in collaborazione con Jacopo Avanzi, pittore bolognese o veronese o padovano. Cominciava, con queste notizie di Michiel, che a sua volta ripeteva quelle avute da Campagnola e da Rizzo in maniera un po' incerta, la confusione attributiva delle due cappelle del Santo e, inoltre, il problema dell'identificazione di Jacopo Avanzi. Vasari (Le vite) lo dice "famigliarissimo dei Signori da Carrara" e gli attribuisce nella sala grande del palazzo Scaligero di Verona le Storie della guerra giudaica e medaglioni con ritratti di uomini illustri; nella stessa sala sarebbe stato concorrente di A. ancora una volta Jacopo Avanzi, 'pittore bolognese'. Secondo Vasari A. avrebbe dipinto anche, con Avanzo e con un certo Sebeto, in casa dei conti Sarenghi a Verona e, infine, a Padova, in collaborazione con gli stessi pittori, nella cappella di S. Giorgio. A. aveva dunque una posizione di grande prestigio proprio negli ambienti più colti e raffinati delle due città di Padova e di Verona, ambienti che possono spiegare anche la particolare scelta di alcune tematiche, già preumanistiche, riflesso della cultura che caratterizzava le due corti venete nel secondo Trecento.

Fin dalle più antiche fonti, dunque, le notizie sulle opere di A. si presentano assai contraddittorie; è comunque un fatto che il suo nome appaia sempre unito a quello di Jacopo Avanzi. La critica dei secoli successivi, perdute nel frattempo le opere nei palazzi Scaligero e Carrarese, si soffermò a esaminare le sole due decorazioni padovane delle cappelle del Santo, cercando di identificare le due personalità dei pittori, con proposte che non sempre si basavano su attendibili analisi stilistiche. Il pittore Förster, che nel 1838 restaurò gli affreschi della cappella di S. Giorgio, credette di riconoscere, sotto il riquadro con i Funerali di s. Lucia, la firma Avancius, lettura che venne successivamente corretta da Selvatico, il quale volle addirittura vedervi "Jacobus ...ve" (Förster, 1841; trad. it. 1846). Si credeva così di avere un fondamento sicuro per poter riconoscere e attribuire a uno dei due artisti un ciclo pittorico. Questa lettura di nomi, in realtà inesistenti, confuse gran parte della critica posteriore.

Un punto fermo venne dalla pubblicazione, da parte di Gualandi (1845), del documento del 1379 relativo al pagamento ad A. della decorazione della cappella di S. Giacomo al Santo. Si tendeva allora ad attribuire ad A. la decorazione della cappella di S. Giacomo e ad Avanzo, di ancora incerta cittadinanza, quella della cappella di S. Giorgio. Nel frattempo Bernasconi (1864) ampliava il catalogo di A., attribuendogli l'affresco votivo della cappella Cavalli in S. Anastasia a Verona, con la Madonna in trono tra gli angeli e i membri della famiglia Cavalli presentati dai loro santi protettori.

Il problema della personalità di A. veniva più tardi ripreso con altra ottica da Schlosser (1895), che ne faceva uno dei protagonisti della cultura di corte gravitante soprattutto attorno agli Scaligeri, e, in seguito, nella monografia di Schubring (1898), che ne ricostruiva la personalità, restituendogli il ruolo di grande protagonista del Trecento padano e attribuendogli la decorazione di tutte e due le cappelle del Santo, eccetto le sei lunette con le Storie di s. Giacomo nella omonima cappella, dove evidentissima è la presenza di un altro distinto maestro, che Schubring chiama Maestro di S. Giacomo. Un relativo passo indietro nella vicenda critica si ebbe all'inizio di questo secolo con Venturi (1907), che propendeva a riconoscere due mani sia nella cappella di S. Giacomo, sia in quella di S. Giorgio, con divisioni non sufficientemente confermabili dall'esame stilistico delle pitture. Per Crowe e Cavalcaselle (1908), principale artefice di tutte e due le cappelle, in cui comparirebbe la stessa mano, è A., mentre Jacopo Avanzi sarebbe solo un aiuto. Tale proposta venne sostanzialmente accettata da Van Marle (1924) e da Sandberg Vavalà (1926), ma Coletti (1931) rimescolò la questione, tornando ad attribuire ad Avanzo parte della decorazione della cappella di S. Giorgio e facendo del pittore della stessa uno dei massimi protagonisti della pittura padana, con caratteri borghesi e popolareschi, contrapposti alla posizione più 'cortese' dell'arte di A., cioè del pittore di quasi tutta la cappella di S. Giacomo, a esclusione delle sei lunette con le Storie del santo, che in un primo tempo attribuì a Cennino Cennini.

Questa posizione venne sostanzialmente ripresa anche da Bettini (1944). Van Marle e lo stesso Coletti attribuivano ad A. anche la decorazione, distrutta, della tomba Dotti nella chiesa degli Eremitani a Padova, databile intorno al 1371, con l'Incoronazione della Vergine, offerenti e santi, arricchendo ancora il breve catalogo delle sue opere. Finalmente Toesca (1951) riprese da capo il problema, riconoscendo la stessa mano nelle due cappelle, salvo le sei lunette, che attribuì a Jacopo Avanzi pittore bolognese, autore della Crocifissione della Gall. Colonna a Roma e della Strage degli Ebrei, già nella chiesa di Mezzaratta, ora a Bologna (Pinacoteca Naz.).

Lo studioso riconobbe in A. uno dei maggiori artisti del Trecento e vide nella Crocifissione della cappella di S. Giacomo un "capolavoro senza pari di tutta la pittura della seconda metà del Trecento" (Toesca, 1951, p. 784).

Nel 1959 Mellini rintracciò, nei sottarchi della loggia dell'ex-palazzo Scaligero (attuale sede della Provincia di Verona), una decorazione a monocromo costituita da teste di imperatori e imperatrici romane entro cornici goticheggianti e riconobbe in questi frammenti (oggi a Verona, Mus. di Castelvecchio, Civ. Mus.) i resti della decorazione della sala grande ricordata da Vasari. Tale importante ritrovamento, oltre a rendere ragione a Vasari, aggiunse un ulteriore tassello alla non cospicua serie delle opere del pittore veronese, mettendone in luce la modernità degli interessi archeologici e umanistici.

Nel 1963 Sartori pubblicò ulteriori documenti relativi a pagamenti per le cappelle del Santo, dai quali risultava che il solo A. era pagato anche per la decorazione della cappella di S. Giorgio. Il pittore dunque appariva dai documenti, in maniera ormai incontrovertibile, l'unico protagonista delle due decorazioni padovane.

La monografia di Mellini (1965), infine, ricostruiva la personalità di A. in modo definitivo - accettato dalla più recente critica (Volpe, 1983; Flores d'Arcais, 1984) - mettendone in rilievo il percorso stilistico e la posizione predominante nell'ambito della pittura padana del secondo Trecento, oltre a definire il problema del rapporto con Jacopo Avanzi.

Se sconosciuta è la data di nascita di A., altrettanto poco chiara è la sua formazione, che si suppone avvenuta in Verona: tuttavia i pittori veronesi e anche lo stesso Turone, che intorno al 1350-1360 probabilmente era nella città l'artista emergente, non sono sufficienti a spiegare la complessa personalità di A., che appare via via come pittore di gotiche raffinatezze, di forte drammaticità, di cultura archeologica moderna. Si sono cercati altri elementi per spiegare la sua formazione, vedendoli in Tommaso da Modena (ma si confronti la recente proposta di un rapporto inverso di A. su Tommaso: Sforza Vattovani, 1980), nell'ambiente padovano e in Guariento, e infine in ambito lombardo. Quanto a quest'ultima proposta (Arslan, 1958; Volpe, 1983; Flores d'Arcais, 1984), va detto che, anche senza dovere necessariamente pensare a un soggiorno lombardo di A., la città di Verona, soprattutto sotto la signoria di Cansignorio (1340-1375), era particolarmente legata, anche nel campo delle arti figurative, alla corte milanese dei Visconti. Se l'affresco votivo della cappella Cavalli nella chiesa di S. Anastasia a Verona è databile al 1369, esso mostra una forte componente lombarda, anzi specificamente milanese, nella tipologia della composizione, ove la scena sacra è il pretesto per una sorta di raffigurazione di omaggio dei cavalieri alla regina. Nello sfondo architettonico l'ampiezza della navata della chiesa ricorda gli studi di architetture e di spazio, caratteristici dell'ambiente padovano attorno a Guariento. I personaggi, costruiti con un'accentuata componente gotica nell'eleganza delle pose e delle vesti, sembrano riflettere il mondo di Guariento, ma con un colore caldo e intenso che è elemento linguistico nuovo e peculiare di Altichiero. Precedente è, secondo Mellini (1959), la decorazione della sala grande del palazzo Scaligero, che lo studioso data intorno al 1364, anno in cui Cansignorio fece costruire il palazzo. La proposta è molto interessante, anche se è difficile poter stabilire dei confronti con questi lacerti, così diversi per stile e per soggetto da tutta la precedente produzione veronese; sono invece possibili riscontri con gli inserti di teste romane che si trovano nelle due cappelle del Santo a Padova: si può dunque ipotizzare una cronologia più prossima ai lavori padovani per questi affreschi veronesi, nei quali la componente archeologica e classicistica sembra più comprensibile dopo un contatto con il mondo fortemente impregnato di spirito preumanistico della città di Padova.

Se si deve tener fede alla data intorno al 1371 per la decorazione della tomba Dotti agli Eremitani a Padova, appare probabile che il pittore intorno agli anni settanta dovesse essersi già stabilito nella città, forse chiamatovi da Francesco il Vecchio da Carrara per la decorazione del nuovo palazzo. Nella reggia infatti A. aveva dipinto una sala degli Uomini illustri o degli Imperatori romani, secondo quanto riportano le fonti (Savonarola) assieme ad Avanzo e a Ottaviano da Brescia, presumibilmente ispirata al De viris illustribus di Petrarca. La perduta decorazione della reggia Carrarese mostra un ulteriore approfondimento di quella tematica classica che caratterizzava la cultura della corte padovana e anche quella veronese; quanto al punto di stile di queste pitture esso può forse essere echeggiato dall'Incoronazione a fresco, anch'essa andata distrutta, della tomba Dotti, che mostra un avvicinamento ulteriore al mondo del Guariento nella complessità del trono architettonico e anche un accentuarsi delle eleganze gotiche nelle cadenze dei personaggi, con preludi già cortesi.

La prima opera di A. rimasta in Padova è la decorazione della cappella di S. Giacomo, o di S. Felice, al Santo: la costruzione, iniziata nel 1372 dallo scultore e architetto veneziano Andriolo de Santis, fu terminata nel 1376. La parte superiore della decorazione era compiuta nel 1377 e tutto il complesso nel 1379, quando A. ricevette il pagamento "per ogni razon ch'avea da fare" (Gualandi, 1845).

Committente della cappella fu il marchese Bonifacio Lupi di Soragna, membro di una potente famiglia legata strettamente ai Carraresi. La decorazione pittorica comprende, nella volta, figure al centro delle vele e nei due costoloni, otto lunette con Storie di s. Giacomo nella parte superiore e, nella parte inferiore, sulla parete di fondo, una Crocifissione concepita come un grandioso trittico. Sopra le tombe pensili sono raffigurate una Pietà e una Resurrezione; sulla parete sinistra si svolgono le Storie di re Ramiro e la Battaglia di Clavigo; su quella di destra è una Madonna votiva con gli offerenti; completano la decorazione un'Annunciazione, figure di santi entro tondi nei peducci degli archi e, negli archetti degli stalli, ancora mezze figure di santi. L'esame dell'opera mostra chiaramente che le prime quattro lunette delle Storie di s. Giacomo e la sesta sono di mano assai diversa da quella che dipinse tutto il resto della decorazione. Alla stessa mano si devono anche assegnare le figure di uno dei due sottarchi delle volte e quelle dei Padri della Chiesa nella volta di sinistra: questa personalità è da identificarsi con il pittore bolognese Jacopo Avanzi, autore della Crocifissione della Gall. Colonna di Roma. Tutta la restante decorazione spetta a una sola mano, anche se occorre riconoscervi forti differenze e mutazioni di registro, tali da giustificare le perplessità di parte della critica. Nella grandiosa Crocifissione, impaginata nello spazio di tre arcate, A. mostra il momento di massimo avvicinamento al linguaggio giottesco, riproponendone la tragica drammaticità e addirittura le ferme e chiuse tipologie dei volti, probabilmente riprendendo dalla Crocifissione giottesca del vicino Capitolo la complessa composizione; ma la scena si svolge contro uno sfondo ampio e dilatato, serrato da immagini di articolate città turrite. Nella parete di sinistra invece, il registro muta completamente, proponendo l'eleganza di scene mondane, rese con la precisione di una cronaca nella analisi delle vesti e dei costumi, arrivando fino alla immediatezza del ritratto; tutta la decorazione è caratterizzata da un delicatissimo e caldo colore armonizzato in una serie di accostamenti e sfumature preziose.

La cappella di S. Giorgio, commissionata da un altro membro della potente famiglia dei Lupi di Soragna, Raimondino, fu decorata tra il 1379 e il 1384. Anche questa cappella, che presenta un'architettura assai semplice - un unico vano coperto di volta a botte - doveva servire da mausoleo per il nobile signore; infatti al centro sorgeva una tomba, purtroppo semidistrutta, che sembra essere stata assai simile al sepolcro veronese di Cansignorio.

La decorazione copre completamente le pareti e la volta: alla parete d'ingresso sei episodi dell'Infanzia di Cristo, alla parete di fondo la Crocifissione sormontata da un'Incoronazione della Vergine: alla parete sinistra Storie di s. Giorgio e, in alto, un riquadro votivo con i membri della famiglia Lupi presentati alla Madonna dai loro santi protettori, alla parete destra Storie di s. Caterina e di s. Lucia. Rispetto alla precedente cappella, questa, pagata ad A., è da assegnare tutta al maestro (fra i critici moderni solo Kruft, 1964, vede in taluni riquadri la presenza di Avanzo), anche se naturalmente con stretti collaboratori, fra i quali forse Jacopo da Verona, e mostra alcune interessanti novità. Le composizioni si articolano contro sfondi di complesse architetture gotiche, di ampi palazzi a logge e porticati che sembrano presupporre nel pittore uno studio diretto delle architetture contemporanee di Padova e di Verona, ma anche di Venezia, specie per la presenza di merlature e di specchiature in marmo chiaro, tipiche dell'architettura lagunare del secondo Trecento. Sembra inoltre di cogliere un'accentuazione anche del 'giottismo', nel senso di una più compatta volumetria e spazialità, assieme all'accentuarsi dei toni drammatici, in episodi quali la Crocifissione e il Martirio di s. Giorgio. La narratività perde il suo accento raffinatamente aristocratico, accentuando un clima borghese nella riproposizione di scene di vita quotidiana, ove il ritratto si impone con maggiore importanza. Anche la cromia è più viva e calda e si avvale di tinte molto rare, come il nero, con un maggiore approfondimento dell'uso dei colori complementari. Dopo questa grandiosa decorazione, A. si ritirò probabilmente nella sua città natale, dove gli viene attribuita da Mellini (1965) la bella e drammatica Crocifissione nel transetto sinistro della chiesa di S. Zeno. A. dovette lavorare anche per l'ambiente dei Gonzaga: un documento recentemente pubblicato (Sforza Vattovani, 1980), infatti, cita un disegno per una croce, da eseguirsi in argento dorato, conservato presso un dignitario della corte mantovana: di questa particolare attività, e del resto di ogni altro eventuale lavoro per la corte gonzaghesca, non è rimasta traccia.

Ad A. è stato attribuito anche un piccolo trittico (Briganti, 1958) con la Crocifissione: si tratta dell'unica opera su tavola, tra quelle assegnate al maestro, che possa essere sua. L'artista parrebbe anche essere stato autore di disegni e di miniature, ma tra le opere assegnategli le sole attribuibili con certezza alla sua mano sono le due illustrazioni a monocromo delle due redazioni del De viris illustribus di Petrarca (Parigi, BN, lat. 6009 F e lat. 6909 H) con un Trionfo della Gloria, probabilmente eseguite a Padova, che mostrano la stessa raffinata fattura e finezza di disegno delle decorazioni padovane - in particolare dei piccoli monocromi nella balaustra dell'episodio del Consiglio della Corona nella cappella di s. Giacomo - e una straordinaria libertà inventiva nell'iconografia.

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