Amalfi

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

Amalfi

L. Di Mauro

(Amalphia, Amalpha, Amalfia nei documenti medievali)

Città della Campania (prov. Salerno), lungo la costa meridionale della penisola sorrentina. È situata nel mezzo del tratto di costa delimitato a O da Positano e a E da Cetara, allo sbocco sul mare della valle dei Mulini percorsa dal torrente Chiarito, uno dei corsi d'acqua che dagli incombenti monti Lattari scendono verso il Tirreno.

La situazione geomorfologica ha determinato il particolare isolamento dal resto della regione di A. e dei centri limitrofi, un territorio non a caso coincidente con quello dell'antico ducato.La città, raggiungibile più facilmente via mare, era il fulcro di una struttura urbana policentrica (Atrani, Minori, Maiori, Scala e Ravello, per ricordare i centri maggiori) le cui estreme strutture difensive erano poste più lontano, a N, nei Castella Stabiensia di Pino, Lettere e Gragnano. Malgrado i numerosi insediamenti, questo territorio venne definito come "civitas Amalfiae et castella eius"; inoltre bisogna ricordare che, come ha notato Bergman (1986), "quando si pensa al porto di Amalfi si dovrebbe avere in mente l'intera costa". La struttura urbana di tutti questi centri presenta le medesime caratteristiche; inoltre nessuno di essi è d'origine antica, malgrado siano presenti lungo la costa monumentali resti di ville romane; da queste, tra l'altro, oltre che dal commercio d'età medievale di marmi antichi, provengono i materiali reimpiegati in molti edifici della costiera.

La documentazione iconografica sulla città medievale è pressoché inesistente se si prescinde da acquerelli e stampe ottocentesche e dall'affresco seicentesco di Vincenzo de Pino, nella cripta della cattedrale, che mostra l'interno della chiesa prima della trasformazione settecentesca.

Nel Chronicon Salernitanum sono narrate le origini mitiche di A.: la si vuole fondata da romani che, naufragati durante un viaggio verso Costantinopoli, dopo varie vicissitudini si insediarono in quel tratto di costa, liberi da ogni oppressione; nella leggenda si individuano elementi ben caratterizzanti gli Amalfitani dell'età ducale: la loro 'romanità', gli interessi marittimi, i rapporti con Costantinopoli, la struttura della società.La prima menzione di A. si ha in una lettera di Gregorio Magno del 596 (MGH. Epist., I, 1887, p. 401), con cui si chiede che il vescovo Pimenius ottemperi all'obbligo della residenza nel castrum; un'altra, anche se discussa, menzione come Κάστϱον 'ΑμάλϕηϚ si trova nella Descriptio orbis romani di Giorgio Ciprio, scritta tra il 591 e il 603 (a cura di H. Gelzer, Leipzig 1890, p. 28). Ancora due epistole papali, tra i secc. 8° e 9°, la ricordano: nel 785 Adriano I (MGH. Epist., III, 1892, p. 609) narrava che Arechi II di Benevento aveva incendiato gli habitacula foris posita; nell'821 Leone III (MGH. Epist., V, 3, 1899, p. 96) scriveva riguardo alle navi inviate da A. in aiuto ai Bizantini contro le incursioni musulmane. In quegli anni A. era sottoposta al Ducato di Napoli, tra i cui castelli è ricordata nel Pactum Sicardi dell'836 (Codice diplomatico amalfitano, II, p. 293). Malgrado quest'accordo, tra l'836 e l'839, essa fu conquistata e saccheggiata dai Longobardi e le mura vennero demolite. A questo periodo risalgono le prime notizie sull'organizzazione politica: dal Chronicon Salernitanum risulta che nell'839, con la riacquistata indipendenza, venne eletto a capo, con il titolo di comes, un certo Petrus. Ad A. le cariche civili e religiose non risultano mai unite nella stessa persona come avveniva a Napoli e a Capua; solo per un anno il Chronicon Amalphitanum ricorda il potere congiunto del vescovo e del praefectus, titolo che andava sostituendo quello di comes.

I legami con Bisanzio divennero sempre più stretti: dopo il 915 A. fu l'unica città-stato nell'Italia meridionale il cui capo portasse un titolo greco; al 944 risale la prima testimonianza della presenza degli Amalfitani a Costantinopoli, allorché essi sostennero, secondo Liutprando da Cremona (Relatio de Legatione Constantinopolitana; MGH. SS, III, 1839, p. 359), i diritti di Costantino VII Porfirogenito. Nel 987 A. venne elevata a sede arcivescovile; contemporaneamente nel suo territorio furono create tre nuove piccole diocesi suffraganee: a Minori, che custodiva le reliquie della patrona s. Trofimena restituite dai Longobardi nell'840, a Capri e nei Castella Stabiensia.

L'attività commerciale degli Amalfitani si diffuse in tutto il Mediterraneo (monaci amalfitani erano presenti perfino sul Monte Athos) e floride colonie sono documentate a Durazzo, Antiochia, Gerusalemme, Il Cairo, Alessandria, Mahdiyya oltre che a Bisanzio, con cui si intensificarono i rapporti dopo il 1052, con il ritorno dall'esilio a Costantinopoli del duca Giovanni II; a questo momento risale il dono della porta bronzea della cattedrale.

Nel 1076 Roberto il Guiscardo si impadronì della città e ordinò, come ricorda Goffredo Malaterra (RIS2, V, 1, 1927), la costruzione di quattro castelli; lo stesso Roberto nel 1082 donò la chiesa di S. Biagio alla colonia cassinese di Amalfi. Alla caduta della città-stato seguì la disgregazione del centralismo territoriale, riscontrabile anche nella creazione delle diocesi di Ravello (1087) e di Scala (documentata nel 1192).

La città subì frattanto le incursioni pisane, tra cui particolarmente distruttiva quella del 1135. Malgrado la traslazione, nel 1208, delle reliquie di s. Andrea, nuovo patrono della città, e un certo fervore edilizio, cominciò per A. la decadenza o almeno si arrestò il suo sviluppo: il centro ricco e popoloso descritto da Amato di Montecassino (Storia de' Normanni), Guglielmo di Puglia (La geste de Robert Guiscard, vv. 477-480), Ibn Ḥawqal (Amari, 1880, p. 25), Beniamino da Tudela (Camera, 1876-1881, I, p. 347), appare irriconoscibile nelle descrizioni che alla metà del sec. 15° ne lasciarono Masuccio Salernitano (Il Novellino, I, 5) e Flavio Biondo (Historiarum ab inclinatione Romanorum imperii decades, I, 15).

Sulla conoscenza della struttura urbana di A. ha pesato per anni l'idea che parte della città fosse stata distrutta da un maremoto nel 1343, ma Bergman (1986) ha dimostrato che la 'Amalfi sommersa' è un mito legato ai gravi danni derivati dal disastroso nubifragio ricordato anche da Petrarca, enfatizzato in ambiente amalfitano e infine da Camera (1876-1881).

La struttura della città, il cui primo nucleo può essere individuato nel settore orientale, è stata finora poco studiata malgrado il gran numero di informazioni fornite dai documenti e la sopravvivenza di molti aspetti della città medievale; la toponomastica, la rete viaria, l'edilizia non solo monumentale, gli spazi verdi trovano spesso riscontro nelle fonti scritte. Se si prescinde dalle grandi trasformazioni dovute alla costruzione della strada costiera nel sec. 18° e della piazza F. Gioia e alla copertura dell'alveo del torrente Chiarito, la struttura urbana è rimasta quella che si era andata delineando tra 10° e 13° secolo.

Il corso del torrente separava la città in due parti distinte, collegate tra loro attraverso numerosi ponti (uno di questi è documentato già nel 1187), tutti però scomparsi. Almeno fin dal sec. 10°, A. disponeva di un doppio sistema di fortificazioni, costituito da una serie di castelli isolati a guardia delle valli di Agerola e di Chiunzi, dei quali si conserva quello di Lettere, più volte ricostruito, e dalla cinta muraria, ripetutamente ricordata nei documenti, della quale si conservano vari resti. I più importanti sono quelli che separano A. da Atrani e che costituiscono il c.d. Murolungo, documentato fin dal 1057, che scende al mare partendo dalla torre dello Ziro, corrispondente all'antica torre di S. Felice testimoniata nel 1157. La torre fu rifatta in età angioina e più volte restaurata come attestano le numerose epigrafi. Le mura nel settore occidentale sono documentate nel 1177; sul lato prospiciente il mare esisteva probabilmente un muro attestato nel 1101 e di cui è ricordato un rafforzamento nel 1269. Nella cinta si aprivano una porta a O, la c.d. porta a Ballenula, documentata nel 1272; una a N, tuttora esistente, chiamata dell'Ospedale, dopo la costruzione (1208-1213) di un ospedale ad subsidium pauperum, immediatamente fuori le mura, sui resti di un bagno pubblico; una a E, lungo la strada per Atrani nella contrada Capo di Croce, attestata nel 1307.

Di fronte al mare, verso S, oltre all'ancora esistente porta Marina, probabilmente coincidente con l'antica 'porta de la Sandala', risultano documentate la porta Flaianella, la porta della Torre e quella della Cancella (nel 1287). La rete viaria ripete in massima parte quella medievale, coincidente anche nei toponimi ricordati dai documenti: il vico S. Simone (1161), il vico S. Maria Maggiore (1125), la via pubblica da A. ad Atrani (1155). L'asse principale è costituito dalla Ruga Nova Mercatorum, la strada coperta documentata nel 1359, ma preesistente a quella data, e parte di un percorso che dalla porta a N conduce attraverso il vico S. Maria Maggiore e il supportico S. Matteo (documentato nel 1256) al centro civico-religioso e alla zona delle plateae destinate al commercio, un complesso di slarghi tuttora esistenti intorno al palazzo Comunale che probabilmente ingloba i resti dell'antico palazzo Ducale.

Molte delle chiese ricordate nei documenti esistono tuttora, anche se in gran parte adattate ad abitazioni o a negozi: S. Biagio, S. Bartolomeo di Ballenula, S. Antonio, Ss. Quaranta Martiri, Ss. Filippo e Giacomo ora S. Maria del Carmine, S. Barbara, S. Simone ora S. Lucia, S. Maria Maggiore, S. Pietro a Sopramuro, S. Maria Annunziata inglobata nel 1618 nel monastero dei Ss. Nicola ed Elena; di alcune come S. Sebastiano rimangono solo ruderi.

Il palazzo Ducale, il Palatium Amalphitanum, sorgeva dove oggi è il monastero della SS. Trinità, sede attuale del municipio e dei principali uffici pubblici, nei pressi della cattedrale. La tradizione vuole che il monastero sia stato costruito nel 1579, inglobando i resti del palazzo, tra cui una torre sotto la quale è oggi la chiesa di S. Benedetto.

Il palazzo dei feudatari di A. (prima i Colonna, poi gli Orsini e dal sec. 14° i Piccolomini d'Aragona) sorge nella piazza dei Ferrari.

L'arsenale è una delle opere pubbliche superstiti (ne restano due grandi navate ad arco acuto separate da dieci pilastri) che dà il nome all'intero quartiere sudoccidentale, chiamato nei documenti Arsina e, nel tratto più prossimo all'arsenale, Arsina Fabrorum (l'attuale piazza dei Ferrari) per la presenza dei fabbri: un quartiere separato da quello orientale quasi da una porta interna.

I principali monasteri di età medievale sono stati soppressi e trasformati: il monastero di S. Pietro della Canonica (oggi adibito ad albergo) venne fondato nel 1212 utilizzando le strutture della chiesa di S. Pietro de Toczolo documentata dal 985. Sorge fuori le mura all'estremo limite occidentale, a mezza costa; distrutte in gran parte dalle frane le strutture più antiche, ne rimane solo parte del chiostro.

Il monastero di S. Nicola de Campo, al centro della contrada Campo nel settore nordoccidentale della città, documentato nel 1180, soppresso nel Seicento e quindi adattato ad abitazione, conserva invece gran parte delle strutture. Il monastero benedettino di S. Lorenzo al Piano, documentato nel 983, eretto nella parte più alta della contrada Sopramuro, fu soppresso alla fine del sec. 16° e le sue strutture sono ora parzialmente adattate nel cimitero ottocentesco. Il monastero di S. Francesco (oggi anch'esso trasformato in albergo) di origine duecentesca, posto al margine orientale della città in contrada Capo di Croce, conserva la chiesa e il chiostro.

Notevoli sono anche i resti dell'edilizia privata, pur se tutta da studiare: è convinzione di Bergman (1986) infatti che "in vari casi le linee architettoniche di interi fabbricati si siano conservate relativamente intatte anche se ci sono stati molti rinnovamenti all'interno", come per es. in "un fabbricato a quattro piani con corte centrale alla base del quartiere di Vallenula", che sembra riflettere "perfettamente la descrizione di una casa amalfitana così come si trova nei documenti medievali" e che conserva colonne con capitelli databili all'11° secolo.

In prossimità del mare, nei pressi del palazzo Ducale e del centro commerciale, sorge la cattedrale, cui si accede attraverso un atrio porticato preceduto da una monumentale scalinata. L'atrio collega il duomo attuale - che, rimaneggiato a più riprese (nel 1526, nel 1566 e nel 1691), fu ricostruito tra il 1701 ed il 1731 - alla cappella del Crocifisso e all'antico cimitero, il chiostro del Paradiso. La facciata e l'atrio sono stati completamente ricostruiti tra il 1889 e il 1891 dopo il crollo, nel 1871, delle antiche strutture il cui aspetto è testimoniato da dipinti, incisioni e da una fotografia. Durante i lavori di restauro iniziati nel 1931 - che hanno portato alla luce parte delle strutture medievali - si sono potute individuare le linee essenziali della pianta dell'edificio.

L'atrio, che era a due navate trasverse con crociere su colonne di spoglio, collegava due basiliche a tre navate: la prima, la c.d. cappella del Crocifisso, corrisponde al duomo vecchio eretto dal duca Mansone III (959-1004); la seconda, più ampia e con transetto, risale all'attività dell'arcivescovo Matteo Capuano (1202-1215) e del fratello, il cardinale Pietro, in coincidenza con la deposizione nella cripta delle reliquie di s. Andrea (1208). Il campanile fu costruito in due fasi: al 1180 si datano il quadrato di base e il primo ordine; al 1276 risale il completamento dell'opera, con il coronamento a base circolare e i torricini tangenti gli angoli, commissionato, come ricorda il Chronicon Amalphitanum, dall'arcivescovo Filippo Augustariccio (1258-1291). A quest'ultimo si deve anche la costruzione del chiostro del Paradiso (1266-1269) - che comportò la demolizione della navata sinistra del duomo vecchio - e probabilmente la decorazione a traforo delle antiche arcate laterali del portico. Il chiostro è caratterizzato da un motivo ad archi intrecciati più complesso nell'elemento decorativo rispetto a quello dell'abbazia della Trinità di Cava dei Tirreni, simile al chiostro amalfitano ma stilisticamente anteriore; mentre la decorazione "dell'intradosso degli archi a piani degradanti che sporge dall'abaco dei capitelli" lo mette in rapporto con il chiostro di Monreale (Cadei, 1978, p. 770).

All'interno della cattedrale frammenti dell'ambone, considerato più tardo di quello della cattedrale di Salerno e messo genericamente in rapporto con opere siciliane, sono stati in parte ricomposti nei pulpiti barocchi, in parte sono conservati nel chiostro del Paradiso.

Il tesoro della stessa cattedrale - che comprendeva anche pergamene e codici, come testimoniano due inventari del 1363 e del 1499 - conserva oggi un cofanetto eburneo da attribuire alla bottega di Baldassarre degli Embriachi (fine sec. 14°-inizi 15°), realizzato con la tecnica a lamelle e cornici, una preziosa mitra del sec. 14° e le porte bronzee donate nel settimo decennio del sec. 11° da Pantaleone dei Mauroni.

Le porte amalfitane (Matthiae, 1971, p. 29; Cadei, 1988, pp. 17-18) fanno parte di un gruppo di quattro esemplari - che comprende anche le porte di Montecassino, di Monte Sant'Angelo e di S. Paolo f.l.m. a Roma - importati da Costantinopoli tra il 1066 e il 1076 per volontà dei membri della famiglia dei Mauroni. Tutte queste porte sono accomunate dalla tecnica dell'agemina in argento e dello smalto, dal dato stilistico - i principi figurativi, che esprimono figure allungate, gesti bloccati, accentuata stilizzazione, sono propri della prima età comnena -, dalla composizione, dal disegno di cornici, borchie e maniglie. Per ciò che concerne i contenuti iconografici le porte di A. - così come quelle più tarde di Atrani e di Salerno che a esse evidentemente sono ispirate - presentano come elemento preponderante la croce fogliata, "simbolo trasparente della vita eterna riconquistata per l'uomo dal sacrificio di Cristo" (Cadei, 1988, p. 17) e molto diffusa soprattutto in ambito bizantino, che decora venti delle ventiquattro formelle riquadrate dall'intelaiatura. La croce è fusa a parte e applicata con borchie. La parte figurata - che invece prevale nella porta donata da Pantaleone dei Mauroni alla basilica romana di S. Paolo f.l.m. nel 1170 - si riduce ai due pannelli centrali del terzo e del quarto registro con le immagini di Cristo, Maria, s. Andrea e s. Pietro.

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