QUISTELLI, Ambrogio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

QUISTELLI, Ambrogio

Vincenzo Lavenia

QUISTELLI (Quistellio), Ambrogio. – Non si hanno notizie sulla nascita, ma è probabile che essa si collochi prima del 1490, nella signoria di Mirandola, dove è attestata la presenza della nobile famiglia Quistelli sin dal XV secolo e dove Ambrogio possedeva beni immobili.

Prese l’abito dei frati eremitani di S. Agostino, forse a Padova (fu denominato sempre Patavinus), e nel 1509 fu cursore dello Studio di Perugia. Dopo il baccalaureato (1° febbraio 1514), divenne maestro in teologia durante il sinodo generale degli agostiniani a Bologna (27 maggio 1515) e in quella veste fu promotore di dottorati a Pisa, aggregato dal 31 dicembre 1515 al collegio dei teologi dello Studio. Nel 1516 si trasferì a Padova, dove fu reggente dello Studio e causò spiacevoli dissidi tra i frati giovani e quelli più anziani del convento. Forte però dell’appoggio di Gabriele della Volta, generale dell’Ordine, nel giugno del 1519 disputò di teologia durante il capitolo generale di Venezia con il frate maestro Cipriano, e in quegli anni, forse, iniziò a lavorare a un vasto commento alle Sententiae di Pietro Lombardo rimasto manoscritto. Nel 1520 predicò a Roma per la Quaresima e curò l’edizione veneziana di alcune opere di Mengo Bianchelli (Expositiones ac questiones super summulas magistri Pauli Veneti […] vna cum annotationibus Iacobi Ritij Aretini et Manfredi de Medicis seriatim insertis. Itidemque eiusdem Menghi quamplures tractatus & opuscula). Nel 1521 fu la volta dell’edizione emendata del commento Super libros Ethicorum di Walter Burley (apparsa sempre a Venezia).

Vicario del convento romano, di cui era priore il futuro esule Agostino Mainardi, nel 1524 si trasferì a Genova per incarico del generale allo scopo di sedare gli scandali scoppiati nel locale chiostro agostiniano. Dopo un soggiorno a Roma nel 1525 passò a Padova come provinciale della Marca trevigiana, suscitando di nuovo l’ostilità di alcuni frati guidati da Pellegrino Nasello, che fece uccidere il suo cavallo provocando l’ira del generale. Nel sinodo trevigiano del maggio 1526 fu incaricato ancora una volta di predicare e nel 1527 divenne priore del convento di Padova, per poi assumervi la carica di reggente dal 1530 al 1537, forse con degli intervalli. Negli stessi anni è documentata l’attività di vicedecano e promotore dello Studio di Padova (1529), presso il quale continuò a conferire titoli almeno fino al 1532, ed è attestato il successo delle prediche in cattedrale prima sulle epistole paoline e poi sul Vangelo di Giovanni.

Fu in quell’arco di tempo che si scontrò con il confratello Ambrogio Flandino, vescovo suffraganeo di Mantova, che aveva pubblicato una raccolta di prediche quaresimali (il Gentilis, Venetiis, O. Scotus, 1523) la cui struttura rifletteva l’intento di porre in dialogo la cultura classica con la teologia cristiana. Il sermone 48 De violento amore, inoltre, affrontava una questione delicata, ossia quella della santità della Maddalena, di cui l’umanista francese Jacques Lefèvre d’Étaples (De Maria Magdalena et triduo Christi disceptatio, Parisiis, H. Stephanus, 1517) aveva posto in dubbio la tradizione, sostenendo che il culto era derivato dalla confusione fra tre figure di donne presenti nei Vangeli: Maria di Magdala, Maria sorella di Lazzaro e di Marta, e la prostituta redenta e salvata dalla lapidazione. Josse Clichtove, come Flandino, si schierò in favore di questa tesi, mentre John Fisher sostenne l’interpretazione tradizionale, che Quistelli a sua volta avrebbe difeso in un’aspra predica che pronunciò nel 1528 (o 1529) nella Verona del vescovo riformatore Gian Matteo Giberti. Avvertito dell’attacco, Flandino si lamentò con il generale e reagì facendo circolare un testo apologetico (forse perduto) che si apriva con un’epistola piena di malevole accuse ai danni del detrattore (bollato come lussurioso, avido e vanitoso). Quistelli, informato del manoscritto (dall’allievo Andrea da Volterra?), stilò a quel punto un Apologeticum de unitate Mariae Magdalenae (rimasto inedito) che nel 1530 indirizzò a Giberti.

Fu solo l’inizio: nel 1532, infatti, predicando a Verona, prese di mira il nocciolo della questione, attaccando la tendenza di alcuni teologi (e Flandino, ai suoi occhi, era tra questi) a confondere l’autentico messaggio di Cristo con l’eredità del mondo pagano, si trattasse di citare Aristotele, Platone, Cicerone o Ermete Trismegisto, mescolando la Croce con le favole del mondo antico, le sue divinità e i suoi idoli e disputando di astrattezze scolastiche. Il frate aderiva così al programma di Erasmo, alla philosophia Christi che l’umanista aveva esposta nella Paraclesis, nella lettera a Paul Volz che apriva l’edizione frobeniana dell’Enchiridion (1518) e nella Ratio verae theologiae. Flandino reagì dal canto suo vergando un’Apologia ubi statur pro Ecclesiae doctoribus et patribus ac philosophis che confluì nella raccolta inedita di sermoni dal titolo Sophista (Mantova, Biblioteca comunale, F.IV.19, cc. 6r-13v) e che faceva ricorso all’Erasmo dell’Antibarbarorum liber e della polemica antiluterana De libero arbitrio contro l’Erasmo impugnato implicitamente dall’avversario. Chi, come Quistelli, biasimava la citazione dei filosofi pagani, interpretati dai Padri e dai teologi della Chiesa, negava la tradizione apostolica in nome di un malinteso letteralismo scritturale che rendeva sospetti di eresia alla stregua di Lutero.

La reazione di Quistelli arrivò qualche anno dopo, nel 1536-37, quando era al culmine la sua fama di predicatore tra Padova, Verona e la Vicenza dove parve aprirsi il tanto atteso concilio, con il contorno di interventi sempre più frequenti e conflittuali da parte di membri dell’Ordine eremitano. Così il frate mandò alle stampe, dedicandolo al cardinale Francesco Pisani (vescovo di Padova e amministratore apostolico della diocesi di Treviso), un libello Adversus fallaces huius mundi philosophos, De verbo Dei, non in sublimitate sermonis, nec inani scientia praedicando, cum omnibus Christi fidelibus, tum praecipue Diuini verbi praedicatoribus apprime vtilis, ac necessarius (Venetiis, S. Sabisensis, 1537), poi ripubblicato nel 1544 (prima dell’apertura dell’assise tridentina) con il titolo Modus praedicandi euangelium & Christi crucifixum senza il carme iniziale di Giovan Battista Bratteolo al lettore e l’epigramma di apertura di Lucilio Beraldi.

Il testo, in 22 capitoli (Quistelli vi cita esplicitamente la parafrasi erasmiana al Nuovo Testamento, c. 99v), ebbe forse una prima edizione veneziana nel 1536, per i tipi di Bernardino Stagnino (editore di testi agostiniani e savonaroliani), con il titolo Opus aduersus philosophos, eos scilicet, qui asserunt diuinam Scripturam nequaquam posse percipi, nisi ab his, qui bonam vitae partem in Aristotelis et aliorum philosophorum lectione contriuerint, ma si tratta di un’edizione perduta.

In ogni modo, sostenuto dal teologo domenicano Bartolomeo della Spina e dal benedettino don Marco da Cremona (sospetto maestro di eterodossi), Quistelli dovette difendere la propria attività di predicatore dai sospetti di eresia (forse insinuati da Nasello) che giunsero alle orecchie di Girolamo Aleandro. Pertanto il frate, il 13 maggio 1538, indirizzò al severo cardinale un esemplare del De verbo Dei (con l’aggiunta di postille manoscritte in cui dichiarò di intendere, con la parola Vangelo, anche la tradizione apostolica e i canoni) e una lettera in cui protestò che l’accusa formulata contro di lui per avere detto dal pulpito di essere diventato predicatore cristiano solo negli ultimi sette anni non implicava affatto una recente adesione alla dottrina riformata (l’epistola, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 3913, c. 97, è trascritta in Seidel Menchi, 1981, pp. 364 s. n. 156). A ciò si accompagnò la silloge di 42 proposizioni tratte da s. Agostino e da altre fonti: Quistelli vi difese il modo con cui aveva inteso parlare della grazia divina nei sermoni denunciati dai detrattori (Vat. lat. 3913, cc. 231-236). I sospetti comunque non erano del tutto infondati, tanto che agli anni delle predicazioni a Vicenza (la città dei Trissino, dei Thiene, dei Pellizzari) avrebbe riportato la testimonianza del calvinista Oddo Quarto da Monopoli che, già famiglio del governatore militare di Vicenza Camillo Orsini, nel corso del processo inquisitoriale intentato contro di lui e conclusosi davanti al S. Uffizio di Venezia (1562-67), avrebbe ricordato che i sermoni antipelagiani e paolini dell’agostiniano avevano contribuito a ispirare la sua netta adesione alla Riforma.

Le accuse di eresia impedirono per un anno a Quistelli di assumere la carica di procuratore dell’Ordine, non ratificata da Paolo III; ma nel 1539, forse perdonato da Aleandro, egli compare in quella veste durante il sinodo generale di Napoli, dove predicò per l’elezione di Girolamo Seripando, a cui lo avrebbe legato un vincolo saldo. Del resto, come procuratore toccò proprio ad Ambrogio sostituire il generale quale vicario per le province italiane durante l’assenza di Seripando, in un momento tra i più significativi per la storia religiosa della penisola e per quella degli stessi eremitani: gli anni della condanna per eresia e dell’espulsione di frate Giulio Della Rovere, e soprattutto della fuga Oltralpe di Mainardi (1540-42). Ambrogio (che ebbe licenza di ritenere e di leggere i libri proibiti: Hieronymi Seripando, 1982-1996, I, p. 170, 16 novembre 1539) ne fu di certo investito e forse per questo nel 1543 preferì lasciare ogni carica all’interno dell’Ordine (compresa quella di reggente del chiostro patavino) e mettersi al servizio del cardinale protettore Nicolò Ridolfi, vescovo di Vicenza, vicino alle posizioni del defunto Gaspare Contarini, continuando a predicare sul Vangelo nel convento agostiniano romano e forse a insegnare alla Sapienza (Renazzi, 1804). Gli storici del Cinquecento concordano poi nel dire che Paolo III voleva inviarlo in Germania come legato; ma la podagra, di cui soffriva, gli impedì di accettare l’incarico.

Come è registrato negli atti del generale dell’Ordine, morì a Roma l’8 luglio 1549 lasciando erede dei propri beni il convento di Padova.

Le storie e i repertori più antichi gli attribuiscono un trattato De veritate Alchimiae, un De controversia inter doctores et ecclesiasticos, alcuni commenti alle epistole paoline, vari sermoni manoscritti e un commento pubblicato al De generatione et corruptione di Aristotele (si tratta di un errore o forse della cura di un’edizione del commento di Egidio da Viterbo).

Fonti e Bibl.: Biblioteca apostolica Vaticana, Chigi B.VI.99-102: A. Quistelli, Expositio in Magistri Sententiarum libros (prima metà sec. XVI), I-IV; Chigi B.VII.116: Id., Apologeticum de unitate Mariae Magdalenae (1530); Archivio di Stato di Padova, Corporazioni soppresse, Eremitani di Padova, bb. 56, 128, 129, 185, 208 (vari atti in cui compare Quistelli, cc. n.n.); Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, b. 21, processo di Oddo Quarto (1562-1567); B. Scardeone, Historiae de urbis Patavii, Ludguni 1559, col. 176; G. Panfilo, Chronica Ordinis fratrum eremitarum Sancti Augustini, Romae 1581, cc. 117v-118r; T. Graziani, Astasis Augustiniana, Antverpiae 1613, pp. 26 s.; T. de Herrera, Alphabetum Augustinianum, Matriti 1643, p. 61; D.A. Gandolfo, Dissertatio historica de ducentis celeberrimis augustinianis scriptoribus, Romae 1704, pp. 59 s.; J.F. Ossinger, Bibliotheca Augustiniana, Ingolstadii-Augustae Vindelicorum 1768, pp. 726 s.; Hieronymi Seripando o.s.a. Registra generalatus, I-VII, Romae 1982-1996, ad ind.; Aegidii Viterbiensis o.s.a. Registrum generalatus, I-II, Romae 1984-1988, ad ind.; Gabrielis Veneti o.s.a. Registra generalatus, I-II, Romae 2010, ad indicem.

F.M. Renazzi, Storia dell’Università degli Studi di Roma, II, Roma 1804, pp. 99 s.; D.A. Perini, Bibliografia Augustiniana, II, Firenze 1931, pp. 72 s.; H. Jedin, Girolamo Seripando: sein Leben und Denken im Geisteskampf des 16. Jahrhunderts, I-II, Würzburg 1937, I, pp. 136, 147-149, 171, 185, 191, 238, II, pp. 73, 258, 365; A. Prosperi, Tra Evangelismo e Controriforma: G. M. Giberti, 1495-1543, Roma 1969, pp. 239 s. n. 151; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini, III, 2, Ab anno 1526 ad annum 1537, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1970, pp. 117, 260; A. Verde, Dottorati a Firenze e a Pisa. 1505-1528, in Xenia Medii Aevi Historiam illustrantia oblata Thomae Kaeppeli O.P., a cura di R. Creytens - P. Kuenzle, II, Romae 1978, pp. 607-785 (in partic. p. 735); S. Seidel Menchi, La discussione su Erasmo in Italia nel Rinascimento: Ambrogio Flandino vescovo a Mantova, A. Q. teologo padovano e Alberto Pio principe di Carpi, in Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III Pio, I, Padova 1981, pp. 291-382; C. Vasoli, Il processo per eresia di Oddo Quarto da Monopoli (1988), ora in Id., ‘Civitas mundi’. Studi sulla cultura del Cinquecento, Roma 1996, pp. 139-188; S. Pillinini, Bernardino Stagnino. Un editore a Venezia tra Quattro e Cinquecento, Roma 1989, pp. 61 s.; A. Oliveri, L’agostiniano A. Q. e il dibattito sulla grazia (1537-1544), in Atti e Memorie dell’Accademia patavina di scienze lettere ed arti, CIV (1991-1992), pp. 73-91.

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