AMBROGIO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

AMBROGIO

Margherita Giuliana Bertolini

Successo sulla cattedra di Bergamo ad Alcherio, la cui ultima testimonianza è del 22 giugno 1022, è documentato come vescovo di questa città, secondo di tal nome, sin dal settembre 1023. Figlio d'un Lanfranco de loco Martinengo, è generalmente considerato appartenente alla famiglia dei gisalbertini conti di Bergamo, ramo di Martinengo, nonostante la mancanza di dati precisi al riguardo e le difficoltà di tale ipotesi messe in luce da recenti studi.

L'identificazione di Lanfranco padre di A. con il conte de comitatu Bergomensi e Sacri Palacii, Lanfranco II, ha per sua base unicamente l'uguaglianza del nome ed il fatto che effettivamente un ramo dei conti di Bergamo pose la sua sede in Martinengo. È però da rilevare che il padre del vescovo A., nei documenti in cui è ricordato (2 luglio 1040, 30 luglio 1053), non ha mai il titolo di "comes'' attribuito sempre a Lanfranco II; che Lanfranco II conte di Bergamo non ha mai la qualifica de loco Martinengo. Inoltre è tuttora discusso il rapporto genealogico tra il ramo principale della famiglia gisalbertina, rappresentata appunto dai discendenti di Lanfranco II, e quello di Martinengo, cosicché non tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere il Lanfranco che per primo portò la qualifica de Martinengo, eventuale fratello di A., come figlio di Lanfranco II.

A. prima di essere eletto vescovo di Bergamo fu forse cappellano e messo di Enrico II: è certo che per la durata del suo episcopato si dimostrò sempre fedele agli imperatori tedeschi come prova la lunga serie di privilegi emessi a favore della Chiesa di Bergamo da Enrico II stesso, da Corrado II e da Enrico III. Operò con spirito veramente religioso a capo della sua diocesi, preoccupandosi da un lato della tutela, della restaurazione e dell'espansione del patrimonio della Chiesa bergamasca (numerose sono le permute e gli acquisti fatti da A. nel contado intorno alla città), dall'altra di potenziare il culto e la vita religiosa cittadina: ad A. infatti sembra doversi attribuire la consacrazione della chiesa e dell'altar maggior di S. Vincenzo, la cattedrale di Bergamo interna alla città, la decorazione del sarcofago di s. Alessandro, e la traslazione della salma di s. Grata dall'antica chiesa di Borgo Canale, appena fuori della città, al monastero fatto costruire dalla santa nell'interno di Bergamo. L'anno di tale avvenimento non è precisabile: tuttavia in relazione ad esso è probabilmente da porsi la concessione che A. sembra aver fatto al monastero di S. Grata, di una chiesa dedicata a S. Michele con tutte le pertinenze. Falsa è invece la bolla con cui Leone IX l'8 giugno 1051 avrebbe confermato beni e privilegi a questo monastero su preghiera dei vescovi A. di Bergamo ed Olderico di Brescia.

A. ebbe particolare cura dei canonici della sua Chiesa, per i quali spesso chiese ed ottenne privilegi a difesa del loro patrimonio e ai quali autorizzò le numerose permute testimoniateci. Cercò così forse di restaurare la vita di questi religiosi che, come si deduce da una donazione loro fatta da un presbitero Grimaldo il 7 febbr. 1035, non osservavano quella che era la loro principale regola, la preghiera cioè e la vita in comune.

Si può pensare che la grande attività svolta da A. nel campo economico, abbia contribuito all'allontanamento dal contado bergamasco dei suoi conti, già estromessi dalla città fin dal lontano 904.

Il primo dei numerosi privilegi concessi ad A. ed alla Chiesa bergamasca, che costituisce anche la prima testimonianza del nostro vescovo, venne emesso ai primi di settembre del 1023 da Enrico II probabilmente a Brumath: qui evidentemente il vescovo s'era recato subito dopo la sua nomina, forse in relazione anche ad un concilio ivi tenuto dall'imperatore. È da supporre che dopo la morte di Enrico II (13 luglio 1024), A. abbia seguito, come tutto l'episcopato lombardo, l'azione e l'atteggiamento politico del suo metropolita Ariberto, dichiarandosi per Corrado II: ne è chiaro indizio la presenza a Bergamo di Corrado stesso intorno al marzo 1026, in un periodo in cui esistevano ancora a Pavia focolai di resistenza antitedesca. Frutto certo di questo atteggiamento furono due privilegi concessi dall'imperatore alla Chiesa di Bergamo, a noi giunti privi dell'indicazione del giorno e del mese; l'uno, probabilmente del marzo, su istanza della consorte Gisla e degli arcivescovi Aribone di Magonza e Pilgrim di Colonia, confermava al vescovato la corte di Almenno con le pertinenze (i castelli di Brivio e Lavello), l'altro era a favore dei canonici bergamaschi i cui beni, in particolare quelli posti in Calcinate, vennero confermati esenti da ogni pubblica giurisdizione e posti sotto la protezione regia. Il primo di questi privilegi fu emesso a Peschiera ove Corrado probabilmente si recò prima di passare per Bergamo; il secondo invece sollecitato dal vescovo A. durante la permanenza dell'imperatore a Bergamo (marzo 1026), fu emesso alquanto più tardi, a Vescovera, ove Corrado aveva posto i suoi accampamenti, o durante l'assedio di Pavia (aprile-maggio 1026), o subito dopo (maggio-primi di giugno).

A. recatosi con ogni probabilità a Roma, al seguito forse del suo metropolita Ariberto, per l'incoronazione imperiale del re tedesco avvenuta il 26 marzo 1027, partecipò alla prima vera e propria assemblea di laici ed ecclesiastici che attorniò Corrado il 26 apr. 1027 nella stessa città: in questa sede venne discussa la precedenza dell'arcivescovo milanese rispetto al patriarca d'Aquileia. Seguì quindi l'imperatore nel suo viaggio di ritorno verso il nord fino a Ravenna, ove il primo maggio si fece concedere un privilegio generale di conferma di tutti i beni, diritti, privilegi ed esenzioni della Chiesa di Bergamo, riproduzione alla lettera del diploma che già ad A. era stato concesso da Enrico II nel settembre 1023.

Delle numerose permute che A. fece in questi anni, molto spesso con membri del clero, è particolarmente interessante per l'entità dei beni scambiati e per la chiara intenzione che la determinò, quella stipulata con Rainardo preposito della canonica di S. Martino di Tours, il 30 luglio 1026 a Bergamo. Con questo atto Ambrogio infatti riuscì ad acquisire alla sua Chiesa terreni di grande estensione in val di Scalve ed in Vai Seriana, appartenenti alla "iudiciaria Bergomensis'', cedendo beni posti nei territori di Torino, Milano e Pavia. Questa permuta venne regolarmente confermata dal conte di Bergamo Arduino il giorno stesso della sua stipulazione. È questo uno dei pochi placiti del conte bergamasco di cui si abbia notizia sotto il vescovato di Ambrogio.

Nulla si sa della partecipazione e dell'atteggiamento del vescovo A. di fronte agli avvenimenti che turbarono gli ultimi anni del regno di Corrado: la campagna per la Borgogna prima, cui partecipò con contingenti lombardi l'arcivescovo milanese Ariberto (giugno 1034), la rivolta dei valvassori milanesi poi (1035), avvenimento che pure portò alla seconda discesa di Corrado in Italia ed alla deposizione del metropolita di A., Ariberto. È tuttavia da presumersi che il vescovo bergamasco non abbia assunto alcun atteggiamento ostile all'imperatore, pur non essendo nominato tra i fedelissimi, come i vescovi di Pavia, Novara, Como e Parma.

Anche sotto il regno del successore di Corrado II, Enrico III, sono numerose le testimonianze dell'azione di A. sia nel campo economico, ove si possono ricordare alcune compere di beni fatte in Levate (luglio 1040, luglio 1042) confermate il 28 genn. 1049 dai messi imperiali Teutmario vescovo, Gunzone e Adalberto conti, sia nel campo più vasto della vita politica e religiosa contemporanea. Partecipò infatti insieme con altri vescovi ed al nuovo arcivescovo di Milano Guido da Velate, al sinodo che, presieduto da Enrico III si tenne a Pavia dal 25 al 28 ott. 1046. È probabile che si sia recato poi a Roma per l'intronizzazione del nuovo papa Clemente II e l'incoronazione di Enrico III (dicembre 1047) presenziando al primo sinodo romano di questo papa.

Non ci è giunto alcun privilegio generale di conferma per la Chiesa di Bergamo da parte di Enrico III come era già avvenuto da parte degli altri imperatori Enrico II e Corrado II agli inizi del loro regno: infatti il privilegio del 5 apr. 1041 che Enrico III avrebbe emesso da Magonza, concedente al vescovo il comitato di Bergamo, è un falso compilato subito dopo la morte del nostro vescovo; ottimi tuttavia dovettero essere i rapporti tra A. ed Enrico III: il i maggio 1047 infatti Enrico III confermò alla Chiesa di Bergamo i suoi diritti sulla corte di Almanno "pro fidelitate Ambrosii venerabiis episcopi nostrique di-ledi fidelis''.

Negli anni dal 1050 in poi il vescovo A. fu spesso a fianco del suo metropolita Guido, che, come ènoto, riacquistò in questo periodo una sua particolare importanza nell'ambito della politica italiana di Enrico III. Presente infatti forse al concilio che a Roma, il 29 apr. 1050, scagionò Guido da Velate dall'accusa di simonia, e forse al sinodo di Vercelli (settembre 1050) in cui fu condannato Berengario di Tours, A. fu certamente a Zurigo insieme col suo arcivescovo nel febbraio del 1054 in occasione d'una assemblea di signori laici ed ecclesiastici italiani che discusse probabilmente la situazione della penisola: troviamo infatti A. nel collegio, presieduto da Enrico III, giudicante una controversia tra il vescovo di Cremona Ubaldo ed il monastero femminile di S. Maria Teodata di Pavia, appunto nel febbraio 1054 a Zurigo. Fu presente ancora alla dieta che Enrico III tenne nei prati di Roncaglia in occasione della sua seconda discesa in Italia il 5 e 6 maggio 1055; in questa occasione A. partecipò a due placiti l'uno per una controversia tra il vescovo Guido di Luni e Gandolfo di Lucca (5maggio), l'altro, presieduto dal messo imperiale Gunterio, a favore dei canonici di Verona (6 maggio). È probabile quindi che abbia assistito al successivo concilio riformatore di Firenze tenutosi il 4 giugno sotto la presidenza di Enrico III e papa Vittorio II.

È questa l'ultima presenza del nostro vescovo a grandi fatti storici: gli ultimi atti a noi pervenuti sono infatti un contratto d'enfiteusi, l'unico del suo vescovato, del 27 gennaio 1056 ed una compera di beni del giugno 1057.

Sembra che A. sia stato anche notevole uomo di cultura specialmente versato nelle Sacre Scritture: di lui infatti gli antichi scrittori bergamaschi ricordano un commento ai Salmi che tuttavia a noi non è pervenuto.

È da escludere che Gisalberto, diacono, poi presbitero, infine primicerio della Chiesa di Bergamo, spessissimo "missus" di A., sia stato in stretti legami di parentela col nostro vescovo, come da alcuni studiosi supposto, poiché nei documenti è detto "filius quondam Vitaliani de loco Curnasco".

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