AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA (II, p. 993; App. I, p. 112)

Onorato Sepe

L'a. p., secondo l'opinione ora prevalente in dottrina, non è un concetto universale, ma storico, in quanto essa nasce dalla realtà di far fronte a bisogni e istanze di singoli e di gruppi. L'accrescersi dei compiti dello stato contemporaneo, che è responsabile dello sviluppo della società nazionale, rende l'a. p. sempre più complessa e più caratterizzante lo stato stesso, inteso a considerare come propri (e quindi pubblici) fini che in passato erano esclusivamente o prevalentemente privati.

D'altro canto la concezione tradizionale della coesistenza di tre poteri separati, che nel diritto positivo viene contraddetta dalla realtà, ha portato alla scissione fra il concetto di potere in senso soggettivo e quello di potere in senso oggettivo (funzione). Ogni potere esercita una funzione fondamentale (che gli è propria), ma svolge anche altre funzioni che formalmente appartengono agli altri poteri. Il potere esecutivo emette atti amministrativi veri e propri esercitando una funzione sostanzialmente e formalmente amministrativa; ma accanto ad essi emana atti che di amministrativo hanno solo la forma, mentre hanno la sostanza di leggi (decreti legge, decreti legislativi) ovvero di pronunce giurisdizionali (decisioni). Tali precisazioni, dovute soprattutto alla pandettistica, si sono scontrate con l'aumento delle attività dello stato e col dato di fatto che oggi quasi ogni attività dell'uomo trova una corrispondenza in una pubblica amministrazione. Il pensiero giuridico ha scoperto nuove formule, quali il gradualismo e il pluralismo. La prima, dovuta a Kelsen e alla scuola di Vienna, parte dal principio della superiorità della funzione legislativa rispetto a quella amministrativa e giurisdizionale (che sono entrambe di esecuzione della legge e costituiscono attività mediate nelle quali gli organi di giurisdizione godono di un'indipendenza non concessa agli organi di amministrazione). La seconda teoria, sviluppata da Santi Romano, si fonda sul pluralismo degli ordinamenti giuridici e sulla coesistenza di essi. L'a. p. è regolata dal diritto positivo: questo può prevedere la sua soggezione al diritto comune, ovvero a una speciale normazione amministrativa.

In base alla nostra Costituzione l'a. p. odierna rimane caratterizzata da alcuni principi fondamentali e cioè quello di legalità, che attiene all'attività amministrativa esplicata attraverso atti autoritativi (provvedimenti); quello del principio della tutela dei diritti e degl'interessi dei cittadini dinanzi a un giudice (art. 113 Cost.); quello del buon andamento e dell'imparzialità dell'a. p. (art. 97 Cost.). A ciò vanno aggiunte altre regole che si desumono anch'esse dalla Costituzione: a) la garanzia d'indipendenza di alcuni organi di rilevanza costituzionale quali il Consiglio di stato e la Corte dei conti; b) la riserva di legge nell'organizzazione dell'a. p. (art. 97 Cost.); c) la garanzia dei funzionari pubblici, che sono al servizio esclusivo della nazione (art. 98); d) la garanzia degli ordinamenti autonomi.

Di particolare interesse è l'ultimo aspetto, e cioè la garanzia dei soggetti autonomi. È infatti pacifico che l'a. p. nel suo aspetto soggettivo è organizzazione, nel suo aspetto oggettivo è attività.

Sotto il primo profilo l'a. p., nel nostro ordinamento, è composta di una pluralità di soggetti pubblici, ciascuno dei quali ha una sua collocazione, una specifica organizzazione e proprie funzioni (organizzazione dei soggetti comunitari). In tale contesto l'organizzazione costituisce una disciplina dei soggetti e degli organi dell'a. pubblica.

L'organizzazione può essere attuata a diversi livelli e in tempi diversi. Se il soggetto è libero di organizzarsi è autonomo. L'aspetto organizzativo è importante soprattutto per il rilievo che hanno gli ordinamenti minori nei confronti dello stato. Naturalmente la posizione dei vari soggetti può essere molto differente: le regioni (e le provincie autonome di Trento e Bolzano) hanno poteri legislativi, oltre che amministrativi. Gli altri soggetti autonomi hanno potere di emanare norme regolamentari che variano a seconda della sfera di autonomia dei soggetti stessi. Di regola, anche per le province e i comuni la cui autonomia è garantita dalla Costituzione, l'organizzazione solo nelle sue grandi linee è contenuta nella legge dello stato (o, per gli enti regionali, nelle leggi regionali).

Comunque l'autonomia dei soggetti pubblici consiste proprio nella capacità di autorganizzarsi attraverso un potere di regolamentazione organica ovvero un potere statutario.

Nello studiare l'organizzazione dei soggetti che formano l'a. p. occorre aver presente non soltanto i rapporti fra i vari soggetti (per es., fra stato e comune), ma anche fra ogni soggetto e i suoi organi in quanto nell'a. p. noi troviamo due tipi di rapporti, quelli che sono propri dell'organizzazione a carattere gerarchico e quelli dell'organizzazione per organi autonomi (autonomica): nella prima gli organi sono fra loro collegati e le competenze non sono mai esclusive e, comunque, l'esercizio dell'attività può essere sempre diretto e regolato. Nell'organizzazione autonomica ogni organo ha una sua propria competenza che non coincide con quella di altri organi, è indipendente e non ammette la possibilità dell'intervento di un altro organo.

Lo sviluppo dell'a.p. italiana negli ultimi decenni si è avuto soprattutto con la creazione di enti funzionali (soggetti di diritto pubblico nei quali l'elemento costitutivo di base è l'attività specifica alla quale sono destinati). Come conseguenza si è verificato che numerosi compiti dell'a. p. (vecchi e nuovi) anziché essere svolti attraverso i ministeri o le aziende pubbliche, sono stati affidati a enti creati appositamente (si pensi ai numerosi enti del settore previdenziale). Ciò ha condotto anche a fenomeni di sovrapposizione e di parassitismo, con situazioni di compromesso nella distribuzione dei compiti, di duplicazione e di dispersione. La riorganizzazione degli enti pubblici, che si sta portando innanzi con la cosiddetta legge sul parastato (20 marzo 1975, n. 70), incontra ostacoli e resistenze proprio per il fatto che è prevista, nel corso di un triennio, la soppressione di tutti gli enti che non vengano espressamente riconosciuti necessari ai fini dello sviluppo economico, civile, culturale e democratico del paese. In realtà il problema affrontato è uno di quelli di fondo nella nostra a.p. perché la proliferazione degli enti pubblici (che in un'indagine condotta dal CIRIEC e dall'università di Roma per conto del Consiglio nazionale delle ricerche, risultavano essere, alla fine del 1970, più di 58.000, di cui ben 31.699 nel campo dell'assistenza sociale) ha portato a duplicazione di attività fra enti e ministeri nonché a dispersione di mezzi economici. L'accrescimento dell'apparato amministrativo, connesso ai necessari mutamenti di struttura e ad opportune differenziazioni, è un fattore di progresso solo se le funzioni amministrative vengono affidate a organi specializzati, cioè tecnicamente preparati, senza confusioni e duplicazioni, evitando un fenomeno degenerativo quale quello delle cosiddette "amministrazioni parallele", fenomeno che, tuttavia, risale a tempi lontani e precisamente al periodo giolittiano, allorché vennero creati i primi enti previdenziali, e che, successivamente, ha dato luogo a un pluralismo amministrativo disordinato.

Occorre avvertire che il fenomeno, ancorché abnorme, è connesso allo sviluppo dell'assunzione diretta di pubblici servizi che ha origine all'inizio del secolo, con la statizzazione delle ferrovie (1905). L'a. p. assume l'iniziativa e i rischi di un imprenditore ma sono rischi le cui conseguenze, se negative, sono accollate alla collettività. Il sistema delle partecipazioni statali ha poi creato un complicato intreccio di rapporti fra operatori pubblici e privati nell'ambito delle società a partecipazione mista. I modelli organizzativi sono divenuti necessariamente anomali e lo strumento giuridico pubblicistico si è accoppiato sempre più a quello di diritto comune, sia nei rapporti con i terzi sia nei rapporti di lavoro con i propri dipendenti. È un fenomeno che diviene ancor più complesso allorché l'a. p. viene chiamata dalla stessa Costituzione a intervenire globalmente per modificare la situazione economico-sociale, cioè per rimuovere quegli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese. Da siffatta impostazione consegue il sempre maggior rilievo in cui devono essere tenuti, nello svolgimento dell'azione amministrativa, tutti quegl'interessi diffusi che non sono direttamente tutelati o tutelabili in relazione a singoli provvedimenti amministrativi (nei quali è identificabile il diretto interessato) e che vanno presi in considerazione dall'ordinamento soprattutto in via preventiva, attraverso la partecipazione di rappresentanti di categorie o gruppi nella formazione di collegi consultivi, ovvero a mezzo di una necessaria audizione (ancorché informale) da parte dei pubblici poteri.

Un altro fenomeno da segnalare è la tendenza degli enti territoriali (almeno di quelli che possono vantare amministratori dinamici) a crescere nell'ambito degli spazi lasciati liberi dall'azione amministrativa statale cioè a inserirsi e ad agire là dove lo stato è lento o inerte, svolgendo funzioni supplettive e di riequilibrio. Ciò vale soprattutto per i servizi sociali e si riflette sovente nella costituzione di consorzi tra i vari enti per il perseguimento di funzioni specifiche. Là dove i poteri locali sono dinamici si nota anche che col crescere della popolazione e delle dimensioni dell'ente cambia la percentuale di reddito da destinare ai vari servizi (le spese per i servizi sociali sono percentualmente molto maggiori nei grandi comuni). Là dove le amministrazioni sono meno attive e meno abbienti vi è una tendenza inversa, cioè quella della sottrazione di compiti agli enti locali per affidarli ad altri soggetti specializzati.

Siffatta situazione, che nel sud ha visto la costruzione di opere e la gestione di servizi affidati alla Cassa del mezzogiorno, dimostra che là dove l'azione amministrativa degli enti è carente l'ordinamento tende all'erosione, cerca cioè di trasferire i compiti a soggetti meno incapaci.

Si tratta solo di tendenze; certo l'antagonismo antico fra stato ed enti locali ha le sue conseguenze anche sulle possibilità di sviluppo dei nuovi modelli di amministrazione. I rapporti fra stato ed enti minori sembrano svilupparsi secondo nuovi e differenziati indirizzi, il che non può non riflettersi proprio sull'organizzazione. D'altronde il maggior tecnicismo dell'azione amministrativa lascia sempre minore spazio all'attività non rigidamente regolamentata (si pensi alla materia sanitaria, o a quella dell'inquinamento atmosferico e delle acque dove, a chi amministra, rimane soltanto della discrezionalità tecnica nell'ambito della normativa).

In sostanza si ravvisano delle esigenze di fondo dell'organizzazione amministrativa, nell'ambito di un approfondimento dei precetti costituzionali, e cioè: a) il decentramento va attuato non attraverso uffici, ma soprattutto a mezzo di nuove figure soggettive, dotate di sufficiente autonomia e di un'amministrazione che, specie quando debba erogare servizi, sia espressione della democratica volontà degli amministrati; b) la partecipazione va vista non soltanto come partecipazione alla formazione degli organi attraverso un sistema di elezione, ma come gestione e controllo continuo dell'opera degli amministratori e degl'impiegati; c) l'efficienza è, e dev'essere, contemporaneamente, il presupposto e la risultante delle altre due tendenze ma con caratteristiche sue in quanto è connessa sia all'adeguatezza delle strutture, sia alle formule dell'azione (cioè all'idoneità delle prime a far fronte rapidamente ed economicamente alle esigenze degl'interessati e alla capacità delle seconde d'imporre procedimenti snelli e poco formalizzati, cioè preoccupati del fine sostanziale e non del garantismo astratto).

L'aspetto oggettivo dell'a. p., s'è detto, è dato dall'attività amministrativa.

Una delle affermazioni correnti è che per ottenere un'azione amministrativa efficiente occorra un apparato amministrativo coordinato e razionale nella sua impostazione. A tal proposito è da osservare che la stessa Costituzione ha posto le basi per una trasformazione di fondo della nostra amministrazione. I postulati costituzionali comportano infatti un'azione che sia svolta negl'interessi degli amministrati, il che presuppone il rovesciamento delle concezioni centralizzate, delle strutture rigide e gerarchiche e del rispetto astratto di norme superate e di formalismi inutili. Non vi è dubbio che la persistenza di strutture e di metodi antiquati rende difficile la realizzazione dei postulati costituzionali ed è perciò identificabile come un impedimento per cui ciò che si realizza appare sempre come un aggiustamento piuttosto che come frutto di razionale trasformazione.

Finora i tentativi di riformare l'apparato amministrativo (attraverso le numerose deleghe date dal parlamento al governo) sono falliti perché si riteneva che la modificazione di alcune strutture potesse portare all'efficienza dell'apparato e all'efficacia dell'azione (per conservare la ripartizione tradizionale fra efficacia ed efficienza). Si è invece constatato che le nuove strutture, quando si sono create, inserite nella realtà, non hanno risposto alle previsioni e non hanno dato i risultati che da esse si speravano e ciò soprattutto nell'organismo più antico e legato a mentalità e sistemi obsoleti, lo stato. Ciò è avvenuto perché le modifiche organizzative (sempre timorose e avare di novità) sono state innestate in un ambiente ostile e sono state legate alla metodologia tradizionale o garantista dei procedimenti esistenti. Anche le nuove tecniche, dalla meccanizzazione alla programmazione di bilancio, s'innestano con difficoltà. Le riforme proposte, da quella sanitaria a quella dell'università, dalla riforma urbanistica a quella delle aziende statali, rimangono inattuate e non operanti.

Qualcosa tuttavia si è mosso in questi ultimi anni. Infatti, la problematica dell'organizzazione amministrativa è stata presa in esame nelle proposte formulate dagli uffici del ministero del Bilancio e precisamente nel cosiddetto "progetto 80". Ivi si riconosce (par. 185 e 186) che l'attività e l'organizzazione amministrativa sono ancora oggi regolate da norme uniformi che hanno subíto una serie numerosa di deroghe e di eccezioni, e che l'azione dello stato si è progressivamente frammentata in una serie di centri e di organizzazioni atipiche, operanti entro un'area sempre più vasta e sempre meno organica e che è quindi viva l'esigenza di una riorganizzazione intesa a dare un assetto logico e coerente ai pubblici poteri.

Anche la commissione parlamentare per le questioni regionali, nello svolgere nel 1974 un'indagine conoscitiva sui modelli organizzativi, ha rilevato la necessità di collegare le riforme a delle innovazioni strutturali e, fra l'altro, di accentuare il momento funzionale dell'organizzazione, servendosi soprattutto di strutture decentrate idonee a far sì che l'azione sia vicina agli amministrati, in grado di apprezzare le loro aspirazioni e i loro interessi e di poter far fronte ad essi con tempestività, attraverso scelte razionali che rispettino le priorità determinate in sede politica.

La dottrina ha posto ampiamente in evidenza che uno dei problemi di fondo della complessa a. p. contemporanea è quello di non perseguire i propri fini (i vecchi e i nuovi) disordinatamente, ma di considerarli tutti globalmente, ponendo l'accento sullo sforzo che occorre fare per armonizzarli. Occorre quindi una predisposizione precisa di programmi di azione in rapporto a tempi e mezzi e un apparato adeguato, che non sia dispersivo nel curare l'attuazione dei programmi predisposti entro i limiti finanziari e temporali prefissati. Da questa constatazione scaturisce la logica della necessità di rivedere (adeguare o rifomare) l'apparato e di far posto a nuovi sistemi e a nuove tecniche di amministrazione, nonché a procedimenti più snelli di quelli tradizionali. Ciò comporta la smitizzazione di una legislazione quale quella del 1865, che ha fondato - è vero - l'a. p. dell'Italia unita, ma che poi è stata considerata una specie di componente sacrale, laddove, com'è stato posto in luce (da Benvenuti, ma prima ancora da Silvio Spaventa alla fine del secolo scorso, che aveva avvertito come il partito moderato avesse fallito nel "compito di dare all'Italia un'amministrazione che rispondesse perfettamente a tutti i bisogni ed interessi suoi"), si è trattato di una legislazione affrettata, mutuata da esperienze aliene, estranea alla consapevolezza dei singoli e alla coscienza nazionale, nata sotto l'impulso della necessità. Essendo accreditata come un mito essa ha avuto uno svolgimento che ha portato l'a. p. fuori della storia contemporanea.

Oggi l'a. p. - e con essa la legislazione - sono in evoluzione, anche se disordinatamente. Ne sono prova le tendenze verso nuovi sistemi e nuovi metodi e la creazione di qualche organismo del tutto nuovo come il Consiglio superiore della pubblica amministrazione e la Scuola superiore della pubblica amministrazione (v. burocrazia; impiego pubblico).

Fra i nuovi metodi e le nuove tendenze (quali il planning e il PPBS) occorre far cenno, perché costituisce uno degli aspetti più caratteristici dell'a. p. odierna, allo sviluppo della cosiddetta informatica e cioè all'inserimento nel sistema amministrativo dei principi di gestione automatizzata e del trattamento elettronico dell'informazione. Nell'a. p. si fa strada una nuova concezione, e cioè quella di adattare i principi normativi che presiedono allo svolgimento delle procedure amministrative alle nuove tecniche operative. Anche ciò conduce a una sorta di rivoluzione nel campo dell'attività dell'a. p., qualificata dall'esistenza di numerose variabili in continua evoluzione. L'acquisizione di tutte le possibili conoscenze sui vari problemi da risolvere costituisce il presupposto di fondo per poter adottare una decisione che sia adeguata al fine da raggiungere e confome all'interesse pubblico. A ciò può aggiungersi che attraverso l'elaborazione elettronica si può ottenere la soluzione logico-matematica di numerosi problemi e anche la produzione di alcuni atti attraverso un ragionamento deduttivo partendo dai dati noti all'elaboratore.

Quanto al Consiglio superiore della pubblica amministrazione, trattasi di un organo nuovo, creato con il T.U. 10 genn. 1957, n. 3, ma entrato in funzione solo nel 1973, e riordinato con d.P.R. 4 marzo 1976, n. 328, la cui azione potrà avere benefici effetti. È composto da alti funzionari e magistrati amministrativi, nonché da rappresentanti dei pubblici dipendenti e ha funzioni di consulenza generale nelle questioni comuni a tutti i settori dell'a. dello stato e degli enti pubblici, sull'ordinamento del personale civile, sullo spostamento di impiegati tra amministrazioni dello stato e sull'organizzazione e perfezionamento tecnico dei servizi. Fra le pronunce di maggiore rilievo finora emesse sono da ricordare i pareri resi sull'informatica nell'a. p. e quello sull'introduzione della qualifica funzionale. Il Consiglio sta cercando di snellire e razionalizzare i procedimenti di ammissione al pubblico impiego.

Bibl.: G. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova 1968; M. S. Giannini, Diritto amministrativo, I, Milano 1970; G. Treves, L'organizzazione amministrativa, Torino 1971; P. Calandra, Il riordinamento dell'amministrazione statale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, p. 744; S. Cassese, Tendenze dei poteri locali in Italia, ibid., 1973, p. 283; F. Roversi Monaco, Brevi note sui nuovi livelli e strumenti di amministrazione locale, ibid., 1973, p. 1397; G. Marongiu, Il riordinamento dell'amministrazione pubblica, Milano 1974; F. Benvenuti, L'ordinamento repubblicano, Venezia 1975; O. Sepe, L'efficienza nell'organizzazione amministrativa, Milano 1975; A. Porro, Le riforme dell'amministrazione nelle ipotesi della scienza politica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1975, p. 2011; P. Calandra, Il dibattito sull'amministrazione pubblica nel secondo dopoguerra, ibid., 1975, p. 1728.

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