Analytica Priora

Enciclopedia Dantesca (1970)

Analytica Priora

Enrico Berti

. Opera di Aristotele, in due libri, inclusa dagli editori nella raccolta di scritti logici denominata Organon, tra il De Interpretatione e gli Analytica Posteriora.

Tradotta da Boezio, rimase tuttavia ignorata nel Medioevo sino all'inizio del sec. XII, allorché venne riscoperta insieme con gli altri scritti logici di Aristotele non compresi nella Logica vetus e detti perciò Logica nova. Della versione boeziana vennero alla luce in quel periodo due redazioni diverse, la ‛ carnutense ' e la ‛ fiorentina ', di cui la seconda non è che una rielaborazione della prima. Dalla contaminazione tra le due è derivata l'edizione vulgata, diffusissima in tutto l'Occidente. Sempre all'inizio del sec. XII fu fatta in Francia anche una nuova versione latina dell'opera, rimasta anonima, la quale però ebbe scarsa diffusione. Nel Medioevo gli A.P. furono commentati da maestri quali Roberto Grossatesta, Roberto Kilwardby, Guglielmo di Sant'Amore, Alberto Magno, Egidio Romano e Boezio di Dacia. Guglielmo di Luna tradusse il Commento medio di Averroè agli A. Priora.

D. cita gli A.P. due volte, in Quaestio 50, con l'esplicita menzione del titolo, ut sentiat discens, ut ille dicit in primo Priorum, e in Mn III VII 3, con l'espressione ex hiis quae de sillogismo simpliciter, la quale è giustificata, oltre che dall'argomento dell'opera, anche dal modo in cui talvolta la citava lo stesso Aristotele (cfr. An. Post. I 3 73 a 15, trad. di Guglielmo di Moerbeke, in Aristoteles Latinus, IV, Bruges-Parigi 1968, 289 " in hiis quae de sillogismo ", e 11 77 a 35, ibid. 297 " in his quae de sillogismo "). Nel primo caso D. non fa che riprendere alla lettera la versione boeziana, nel testo della redazione fiorentina (cfr. An. Pr. I 41 50 a 2, ed. L. Minio-Paluello, 82 " velut qui dicunt ut sentiat discens "); nel secondo, arguitur in quatuor terminis, in quibus forma sillogistica non salvatur, invece, si richiama alla dottrina esposta da Aristotele in An. Pr. I 25 41 b 36-42 a 32 (ed. L. Minio-Paluello, 54-56), divenuta ormai luogo comune. Gli A.P. tuttavia sembrano essere stati presenti a D. anche altrove, per es. a proposito del dimostrare ‛ ostensive ' (Mn III XV 2), che Aristotele distingue dal dimostrare per impossibile in An. Pr. I 23 40 b 25-41 a 21; 29 54 a 23 - b 11; II 14 62 b 29-63 b 21 (ed. L. Minio-Paluello, 50-52, 66-68, 119-121); ovvero a proposito del problema se da premesse vere si possa dedurre il falso (Mn III II 3) e se da premesse false si possa dedurre il vero (Cv IV IX 6), che Aristotele tratta in An. Pr. II 2, 53 b 7-10 e 25-30, ediz. cit., 94-95; o infine circa il problema se da una premessa necessaria unita a una contingente consegua una conclusione necessaria (Pd XIII 98-99), che Aristotele tratta in An. Pr. I 16-22. Troppo comune è invece l'esempio citato in Mn I XII 2 (la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due retti), perché si possa parlare di dipendenza dai numerosi passi degli A.P. in cui esso ricorre.

Bibl. - E. Franceschini, Il contributo dell'Italia alla trasmissione del pensiero greco, in " Atti della Soc. Ital. per il Progresso delle Scienze " 1937 (Roma 1938) 287-310; G. Lacombe, Aristoteles Latinus, Codices, I, Roma 1939, 47; II, Cambridge 1955, 787; L. Miniopaluello, Jacobus Veneticus Grecus, in " Traditio " VIII (1952) 262-304; Id., Note sull'Aristotele latino medievale, VIII, XI, XII, XIII, in " Rivista di filosofia neoscolastica " XLVI (1954) 211-233; L (1958) 212-222; LII (1960) 29-45; Id., Aristoteles Latinus, III, 1-4, Analytica Priora, Bruges-Parigi 1962; Id., Il testo dei Primi Analitici di Aristotele: le traduzioni antiche siriaca e latina, in " Rivista degli Studi Orientali " XXXII (1957) 567-584; B. Nardi, Dal " Convivio " alla " Commedia ", Roma 1960, 219, 282.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata