Anastrofe

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

anastrofe

Dario Corno

Nella retorica classica si intende per anastrofe il sovvertimento del percorso lineare di due o tre parole – o dei costituenti e dei gruppi di parole – di una frase: la seconda diventa prima e la prima seconda. Il termine dunque indica lo spostamento dell’elemento da seguente a precedente secondo la formula [… XY … → … YX …] (Lausberg 1960: §§ 713-715; Lausberg 1969: 180, 250; Mortara Garavelli 1997: 227).

Così intesa, l’anastrofe è una figura retorica per permutazione dell’ordine. Essa è un caso specifico della famiglia degli iperbati, assieme alla parentesi (permutazione che inserisce una clausola all’interno di un’altra interrompendo il fluire del discorso), alla epifrasi (che sposta un elemento di una frase alla fine della stessa alla quale è congiunta per lo più con la congiunzione e), alla sinchisi (mescolamento delle parole in ordine libero), alla tmesi (che riguarda una sola espressione composta all’interno della quale si inserisce un’altra espressione).

Dal punto di vista della linguistica d’oggi, la permutazione delle parole in una frase dipende dalle caratteristiche tipologiche delle varie lingue. Per questa ragione, l’anastrofe va intesa come eredità linguistica del greco e del latino, dove appunto la grande mobilità sintattica degli elementi (con alto carico di informazione morfosintattica ‘dentro’ la singola parola) e l’importanza della modulazione della voce (sillabe brevi, sillabe lunghe) consentono e spesso richiedono la pre-posizione o la post-posizione di elementi in misura superiore rispetto a lingue analitiche come l’inglese.

Nella tradizione antica, l’anastrofe dipende dunque dalla percezione della consuetudo (della regolarità convenzionale) con cui l’orecchio avverte la linearità del discorso. Così, nella Retorica a Gaio Erennio (opera del I sec. a.C. per tradizione attribuita a Cicerone ma in realtà di autore ignoto, il cosiddetto Pseudo-Cicerone) viene definita (IV, 44) l’anastrofe come transgressio («trasgressione», traduzione latina del termine iperbato) per inversione dell’ordine (perversione), mentre nella sua Institutio oratoria (VIII, 6, 65) Quintiliano precisa che, se l’iperbato (il sovvertimento dell’ordine) è relativo a due sole parole, allora si ha anastrofe o, nella sua traduzione, reversio (reversione o inversione). Gli esempi che usa riguardano le espressioni mecum «con me», secum «con sé» e quella, ricorrente negli storici, quibus de rebus «riguardo alle quali cose». Il tardo medioevo contempla l’anastrofe nella riflessione linguistica dei maestri di poetica come Goffredo di Vinosalvo, che la inserisce in una originale teoria dell’iperbato (la conversio).

Dante fa proprio il meccanismo dell’iperbato e in particolare utilizza l’anastrofe portandola a perfetto equilibrio formale:

(1) Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia quand’ella altrui saluta,

ch’ogne lingua deven tremando muta,

e li occhi non l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,

benignamente d’umiltà vestuta;

e par che sia una cosa venuta

da cielo in terra a miracol mostrare

(Vita nuova XXVI, 2-8)

equilibrio che spesso consegue con moduli sintattici specifici; con i pronomi relativi, accogliendo la tradizione antica:

(2) O anima cortese mantoana,

di cui la fama ancor nel mondo dura

(Inf. II, 58-59)

anteponendo il participio all’ausiliare:

(3) Fu il sangue mio d’invidia sì riarso,

che se veduto avesse uom farsi lieto,

visto m’avresti di livore sparso

(Purg. XIV, 82-84)

o posponendo il predicato:

(4) «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,

(Inf. I, 66-67)

(5) Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate

(Inf. III, 7-9)

Lo stesso vale per ➔ Francesco Petrarca che modula l’artificio dell’anastrofe in più direzioni, ad es. quella della tmesi variata in chiasmo:

(6) Et io nel cor via più freddo che ghiaccio

ò di gravi pensier’ tal una nebbia,

qual si leva talor di queste valli

(Canz. LXVI, 7-9)

Ma è soprattutto la lingua poetica dell’Ottocento a fare dell’anastrofe una componente specifica, come in ➔ Giacomo Leopardi che la fa variare in tutte le sue potenzialità:

(7) canti, e così trapassi

dell’anno e di tua vita il più bel fiore

(“Il passero solitario”, vv. 15-16)

(8) Tutto è pace e silenzio, e tutto posa

il mondo, e più di lor non si ragiona

(“La sera del dì di festa”, vv. 38-39)

(9) allor che all’opre femminili intenta

sedevi, assai contenta

di quel vago avvenir che in mente avevi

(“A Silvia”, vv. 10-12)

In italiano, dunque, l’anastrofe si è trasformata da figura del discorso a figura grammaticale e, in questo senso, si mostra come uno dei moduli caratteristici del parlato, dove è prodotta con la ripresa di elementi sintattici direttamente marcati sul verbo da pronomi ➔ clitici. Questo avviene soprattutto nell’anteposizione del complemento oggetto o del complemento di specificazione e di argomento o di altra natura (come quando si dice il discorso lo faccio o di cui ci ha parlato). Si aggiunga che forme di anastrofe vengono conservate, a testimonianza dell’origine antica latina, in espressioni nominali come terrapieno o vita natural durante. Tuttavia, l’anastrofe si presenta sempre meno come artificio poetico, assecondando in questo caso una maggiore analiticità complessiva a cui tenderebbe l’italiano attuale.

Fonti

Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, a cura di F. Cancelli, Milano, Arnoldo Mondadori.

Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.

Rhetores latini minores, ex codicibus maximam partem primum adhibiti, Lipsiae 1863.

Studi

Lausberg, Heinrich (1960), Handbuch der literarischen Rhetorik. Eine Grundlegung der Literaturwissenschaft, München, Max Hueber Verlag.

Lausberg, Heinrich (1969), Elementi di retorica, Bologna, il Mulino (ed. orig. Elemente der literarischen Rhetorik, München, Hueber, 1949; 19632).

Mortara Garavelli, Bice (1997), Manuale di retorica, Milano, Bompiani.

Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.

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