ANCORA

Enciclopedia Italiana (1929)

ANCORA (dal gr. ἄγκυρα; lat. ancora, più correttamente che anchora; fr. ancre; sp. ancla; ted. Anker; ingl. anchor)

Antonio SOGLIANO
Stefano Ludovico STRANEO
Filiberto DONDONA

L'ancora, qualunque sia la sua forma, ha per iscopo di far presa sul fondo del mare e fornire un sicuro attacco agli ormeggi della nave. Per entrare in funzione ha bisogno di essere trascinata, così che, essendo le braccia mantenute dal fuso nella posizione adatta, le marre si affondano nel terreno fino ad opporre la resistenza necessaria a impedire il movimento della nave.

L'ancora nell'antichità. - Nei tempi più antichi l'ancora non era che una massa, la cui pesantezza bastava a impedire il movimento della nave. Nei poemi omerici servivano da ancore grosse pietre attaccate con corde alle navi, sì da costituire quasi un letto (εὐναί: Il., I, 436; Od., IX, 137, XV, 498). Un mezzo simile adoperavano i Romani, ma nella costruzione dei ponti di barche, come attesta Arriano (Anab., V, 7, 3); si servivano, però, invece che di pietre pesanti, di graticci di vimini a forma di piramide, ripieni di sassi adatti allo scopo. La sostituzione dell'ἄγκυρα, nel senso nostro, all'omerica εὐνη deve essere avvenuta assai prima del sec. V a. C. giacché in Eschilo (Suppl., v. 765), Danao, parlando al coro, dice che i comandanti delle navi non hanno fiducia nello star sull'ancora (ἐν ἀγκυρουχίαις). Essa da principio, poiché s'ignorava ancora la tecnica di battere una grossa massa di ferro, era di legno, in parte vuoto, riempito di piombo, e consisteva in un robusto fusto, alla cui estremità inferiore fu dapprima applicato un sol braccio di ferro (ἑτερόστομος, Poll., I, 9; μονόβολος), in seguito ne vennero applicati due (δίστομος, ἀμϕίβολος) terminanti in palette triangolari, a mo' di ferro di freccia, mentre all'estremità superiore del fusto si trovava un anello per la fune, che teneva attaccata l'ancora: un altro anello, posto inferiormente, nel punto di congiunzione dei due bracci, non ha trovato sinora una plausibile spiegazione.

Gli antichi autori non sono d'accordo circa l'inventore dell'ancora di ferro. Fra le due testimonianze di Plinio (Nat. hist., VII, 56) e di Pausania (I, 4, 5), delle quali la prima ne attribuisce l'invenzione al greco Eupalamo, mentre la seconda l'ascrive a Mida, re di Frigia, sembra più attendibile quella di Plinio, essendo noto che la fonte dell'erudizione del periegeta erano i ciceroni che lo guidavano nelle sue peregrinazioni. Senonché qualche dotto, fraintendendo il citato luogo di Plinio, attribuisce ad Eupalamo l'etnico Tyrrhenus, che nel testo pliniano deve invece riferirsi al nome precedente, cioè a Piseo, l'inventore dei rostra (cfr. Pauly-Wissowa, s. v. Anker). L'aggiunta del secondo braccio sarebbe stato un perfezionamento arrecato all'ancora dal filosofo scita Anacarsi, secondo la concorde testimonianza di Strabone (VII, 303) e di Plinio (loc. cit.: eandem [ancoram] bidentem [addidit] Anacharsis). Perché l'ancora potesse toccar fondo, doveva esser munita di una barra o bastone orizzontale nell'estremità del fusto opposta ai bracci. Come oggi, le navi avevano un numero di ancore più o meno grande, secondo la loro importanza. La Alexandreia di Gerone aveva, secondo Ateneo (V, 208) quattro ancore di legno e otto di ferro, mentre le triremi attiche ordinariamente ne avevan due, nel tempo più antico anche quattro; e di quattro ancore disponeva altresì la nave che trasportava S. Paolo nei mari d'occidente (Acta Apost., 27, 29). L'ancora aveva un peso di poco più di venti chilogrammi: la più pesante e solida di tutte, quella sulla quale si fondava l'ultima speranza dei naviganti, si chiamava ancora sacra (ἱερὰ ἄγκυρα). Di regola l'ancora si gettava (βάλλειν, ἑίπτειν) dalla parte della prora (πρῴρα), dove essa era appesa ad una delle due travi sporgenti come orecchie (ἐπωτίδες) dai due lati della parte anteriore della nave. Ma talora si gettava anche dalla parte della poppa (ἐκ πρύμνης), come appunto fecero i marinari della nave di S. Paolo sorpresa dalla tempesta (Acta Apost., loc. cit.).

Bibl.: Assmann, in Baumeister, Denkm., III, 1614 segg.; Luebeck, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v. Anker.

Le ancore moderne. - L'ancora moderna può essere con ceppo e senza ceppo: essa si compone essenzialmente di un fuso, che è un'asta di ferro con un'estremità squadrata (collo) imperniata ad un anello (cicala) e l'altra rastremata a tronco di piramide (diamante) e divaricata in rebbî (braccia), le quali terminano con unghioni di varia foggia (marre). Le braccia sono in numero di una a quattro se fisse e in numero di due al massimo se snodate. Le ancore ad un sol braccio si dicono ancoresse e servono per ormeggiare boe e gavitelli negli specchi d'acqua di poco fondale o di molto traffico. In certi tipi braccia e marre fanno gomito. La punta di mezzo delle marre è chiamata unghia e le laterali orecchie.

Il ceppo non è parte essenziale dell'ancora: è una traversa metallica o di legno presso il collo dell'ancora. Esso è normale al piano delle braccia quando queste sono fisse, e si trova invece nel piano delle braccia quando queste sono snodate.

Nel punto dove le braccia si uniscono al fuso vi è un ingrossamento, detto maglio, sia per rendere più robusto quell'attacco, dove si trova il perno di rotazione per le ancore a braccia snodate, sia per farlo battere per primo sul fondo. L'incastro per la connessione delle braccia col fuso nelle ancore a braccia snodate si dice ganascia.

Per determinare il primo movimento di rotazione dell'ancora, nelle ancore senza ceppo si hanno delle sporgenze sul maglio o sulle braccia, dette contromarre, in un piano perpendicolare a quello dell'ancora: così le contromarre fanno fulcro sul fondo e le marre sono portate ad adagiarsi su di esso e ad aggranciarlo con lo strascinamento dell'ancora.

Esistono due tipi principali di ancore con ceppo: il primo, disegnato dall'ammiragliato francese, è distinto dal ceppo di legno, fisso, da un diamante a cuspide, da braccia aperte di sezione rettangolare con marre molto sviluppate; il secondo disegnato dall'ammiragliato britannico, comunemente detto "tipo ammiragliato", ha il ceppo metallico, curvo ad una estremita e scorrevole dentro un foro del fuso in modo da potersi ripiegare lungo di esso, le braccia meno aperte e le marre meno sviluppate, le sezioni ovali. Il tipo francese si presta bene per fondi molli, è più leggiero, più ingombrante e meno robusto del tipo britannico, che è adatto per fondi duri, e ora è maggiormente diffuso (p. es. è regolamentate nella nostra marina da guerra).

Le ancore con il ceppo sono ottime come tenuta sul fondo, ma richiedono complicate sistemazioni a bordo per manovrarle, soprattutto per la rigidezza delle braccia e per la presenza del ceppo. Da oltre un secolo (uno dei primi brevetti al riguardo porta il nome di Hawkins e data dal 1821) si sono introdotti e sperimentati numerosissimi tipi di ancore a marre snodate, con e senza ceppo (stockless), che attraverso il vaglio della pratica si sono ridotti ormai a pochi fondamentali, i quali rispondono bene allo scopo di avere minimo ingombro e massima semplicità di manovra insieme con sicurezza di funzionamento e capacità di tenuta. Le illustrazioni a pag. 262 riproducono alcuni di essi. In origine le ancore senza ceppo ispiravano meno fiducia che quelle con il ceppo, ma ormai il loro sviluppo dà pieno affidamento, specie se di peso alquanto maggiore di quelle con il ceppo e se le manovre sono ad esse convenientemente adattate.

Le ancore tipo ammiragliato sono generalmente costruite di acciaio fucinato (le braccia sono saldate in corrispondenza del diamante); ma se ne hanno pure in acciaio fuso, la cui fabbricazione deve essere accurata per dare completo affidamento. Sono invece quasi sempre di acciaio fuso quelle senza ceppo a braccia snodate. A cagione dell'importanza fondamentale che le ancore hanno per la sicurezza della nave, sono state in Inghilterra fissate per legge le loro condizioni di resistenza (Chain, Cables, and Anchor Acts del 1810 e seguenti), che debbono risultare da apposite prove, le quali consistono essenzialmente nel sottoporre mediante un torchio idraulico l'ancora fissata a una morsa ad un conveniente sforzo di trazione esercitato alla cicala: lo sforzo è stabilito in ragione del peso dell'ancora e ha relazione con le dimensioni della relativa catena, in quanto si deve prevedere che si spezzi la catena e non il braccio dell'ancora. In Italia il controllo delle ancore e relative catene è devoluto al Registro italiano, il quale stabilisce prove sul materiale e sull'ancora finita (di trazione, se fucinate; di trazione, di caduta e di martellamento, se fuse). Per esempio: ancore di acciaio fucinato o di acciaio fuso del peso rispettivamente di una, due, quattro, otto tonn. devono essere provate a uno sforzo di trazione di kg. 20.820, 36.000, 58.950, 87.500. Questi sforzi sono solo di poco superiori a quelli richiesti dalla R. Marina per le ancore di ugual peso delle navi da guerra.

Il peso delle ancore da adottare per un dato bastimento si stabilisce in relazione al suo volume totale per le navi mercantili (modulo delle ancore) o al suo dislocamento per le navi militari: così navi da guerra del dislocamento di 2000, 10.000, 20.000, 30.000 tonn. avranno due ancore, ciascuna del peso di kg. 2200, 5400, 7800, 9100 circa. Le navi mercantili usano ancore più leggiere di quelle delle navi da guerra a parità di dislocamento, perché sono molto sovente ormeggiate alle banchine e perché trovano facili e sicuri ripari nei porti: la differenza è quasi del doppio per grosse e medie navi e diminuisce gradatamente per i minori dislocamenti.

Il numero delle ancore dipende anche dalle dimensioni e dall'impiego della nave. Tutte le navi devono avere almeno due ancore di posta, ossia sempre pronte a funzionare, e quelle destinate a viaggi transoceanici o che siano superiori a certe dimensioni debbono averne una terza, detta ancora di speranza (cfr. la ricordata ἱερὰ ἄγκυρα degli antichi), da impiegare quando le altre siano perdute. Inoltre si hanno ancore più leggere per manovre speciali. Il Registro italiano prescrive un'ancora di tonneggio che serve come punto fisso per manovrare la nave in specchi d'acqua ristretti, e un ancorotto, piccola ancora per manovrare con le imbarcazioni.

Le catene. - Il mezzo di unione fra l'ancora e il bastimento da circa un secolo è costituito normalmente da catene, le quali, in generale, si costruiscono oggi con gli stessi criterî di cento anni fa, ossia si fanno saldando ogni tondino corrispondente ad una maglia uno alla volta: quindi la robustezza della maglia dipende essenzialmente da questa saldatura, e si comprende perciò l'importanza che ha sia il materiale (acciaio dolce "best best Navy" con carico di rottura di 35 a 36 kg./mmq. e allungamento superiore al 20% su 200 mm.) di cui la catena è costruita, perché rende più facile e sicura la bollitura, sia il modo in cui questa è eseguita, ossia la mano e l'occhio dell'operaio che l'esegue.

Per eliminare la saldatura sono stati studiati diversi procedimenti, fondati principalmente sui due principi seguenti:

a) Costruzione di catene di pezzo, partendo da una barra metallica di sezione a croce, scaldata ad alta temperatura, e fatta passare tra due coppie successive di ruote ad impronte, che vi foggiano rispettivamente le maglie fra loro normali senza discontinuità l'una dentro l'altra nei due piani della croce (sistema Klatte).

b) Costruzione di maglie a nastro, ossia composte di un nastro passato più volte dentro le due maglie vicine e avvolto a matassa, che viene poi compressa e saldata nell'insieme (sistema Borsig).

c) Fusione delle catene con i sistemi ordinari naturalmente impiegando materiale scelto e facendo subire alla catena fusa adatti trattamenti termici per migliorarne la microstruttura. Le catene costruite con i primi due sistemi sono più sicure delle altre, ma il sistema Klatte si presta meno per i grossi calibri e il Borsig per piccoli calibri, mentre quelle fuse non dànno ancora sempre completo affidamento, soprattutto quando son sottoposte a violente azioni dinamiche, ragione per cui debbono sottostare a prove più severe che le catene fucinate.

Le catene si distinguono a seconda che sono munite o no di traversino, elemento trasversale generalmente di ghisa o di acciaio fucinato che irrigidisce la maglia circa a metà della sua lunghezza, aumentandone notevolmente la resistenza. Esistono molte forme di maglie con e senza traversino: la tavola a pagina seguente dà quelle per àncore adottate più largamente e regolamentari nella R. Marina. Le varie dimensioni delle maglie sono in funzione del diametro del tondino, ossia del calibro della catena. Le catene si costruiscono a tratti, i quali prendono nome di lunghezze (m. 25 in Italia, m. 27,43 in Inghilterra): le diverse lunghezze terminano ad ogni estremo con una maglia rinforzata e una maglia senza traversino capotesta che permettono di collegare le successive lunghezze mediante una maniglia di unione, la quale deve essere di dimensioni convenienti per passare comodamente sulla ruota a impronte, destinata ad avvolgere e ricuperare la catena. Inoltre la lunghezza più vicina all'ancora deve avere un penzolo, semplice o a mulinello, per l'unione alla cicala dell'ancora stessa. Sulle navi moderne è poi richiesto uno speciale apparecchio in catena, mulinello d'afforco che consente l'ormeggio a ruota con due ancore.

Il calibro e la lunghezza delle catene delle ancore per i bastimenti mercantili sono stabiliti dal Registro italiano in relazione al volume totale della nave (modulo delle ancore), e per le navi da guerra sono stabiliti in relazione al dislocamento: così navi del dislocamento di 2000, 10.000, 20.000, 30.000 tonn. avranno catene del calibro rispettivamente di 38, 58, 70, 79 mm., con circa da 6 a 9 lunghezze di catena per ancora.

Come per le ancore, sono prescritte severe prove di collaudo anche per le catene: prove di rottura su tre maglie (a questo scopo ogni lunghezza è costruita con tre maglie in più) e prove di trazione sull'intiera lunghezza. Così catene saldate con traversino da 50 e 70 mm. di calibro debbono rispettivamente sottostare a prove di rottura di kg. 99.100 e 184.400, e a una prova di trazione di kg. 70.800 e 131.750; per catene di acciaio fuso queste cifre sarebbero aumentate del 40%.

In pratica le catene vanno soggette a sforzi maggiori delle ancore a cagione del proprio peso e di quello delle ancore che determinano un aumento di trazione: così nella marina da guerra il calibro della catena è tale da corrispondere ad uno sforzo di prova alla trazione superiore di circa 30 ÷ 50% a quello delle corrispondenti ancore. Per la marina mercantile questa differenza è ancora più accentuata e si arriva al doppio nel caso di catene dei calibri minori, e a più del doppio per quelle dei calibri maggiori.

Sistemazione e manovra a bordo. - Tanto l'una che l'altra differiscono essenzialmente secondo che si tratti di ancore a braccia fisse o ancore a braccia snodate.

L'ancora a braccia fisse viene disposta col fuso orizzontale parallelo all'orlo della nave, per modo che il ceppo rimane in posizione subverticale inclinato dell'angolo di svasatura della murata, e scontra per la metà inferiore contro la murata, mentre rimane libero in alto per la metà superiore; nelle ancore tipo ammiragliato il ceppo può essere fatto scorrere in riposo appoggiandolo lungo il fuso. Questo non tocca la nave ma è sorretto da due appoggi nella sua lunghezza e legato con due catenelle che terminano con gancio a scocco: su questi due ganci fanno presa due nottolini solidali ad un'asta parallela al fuso dell'ancora e libera di girare a comando di 90° sul suo asse. Questa apparecchiatura, che prende il nome di affondatoio, serve a dar fondo all'ancora liberandola simultaneamente dalle due ritenute a catenelle per mezzo di un quarto di giro dell'asta suddetta, la quale in navigazione è trattenuta in modo che non possa girare su sé stessa. Scattati i ganci a scocco, l'ancora per il proprio peso si libera dalle catenelle e cade in mare trascinando la catena. Per facilitare questa caduta l'ancora non poggia sul ponte, ma su un piano inclinato, detto scarpa. Per mettere l'ancora nella posizione di sgombro ora descritta serve un'apposita gru, detta capone, la quale di tegola è posta in modo da servire l'ancora di sinistra e di dritta, e quella di speranza quando c'è; quando l'ancora, ricuperata con l'argano a salpare, è uscita dall'acqua e pende verticale sotto la prua, viene inganciata in apposito anello applicato di costruzione presso il suo baricentro e per mezzo della gru di capone issata in coperta, traversata e messa a posto.

Molto più semplici sono la manovra e la sistemazione delle ancore a braccia snodate senza ceppo, le quali vengono succhiate dall'argano insieme con le catene entro il tubo di cubia e rimangono in posizione più o meno inclinata col fuso entro la cubia, la cicala affiorante in coperta e le braccia ruotate di un certo angolo, in modo che le marre vengano a fare scontro contro la murata. A volte il tubo di cubia, specie per le navi da guerra, si riduce a un grosso occhio raccordato con l'orlo del trincarino e l'ancora assume una posizione quasi orizzontale con il fuso appoggiato su un conveniente ringrosso ricavato di fusione con l'occhio di cubia. Queste sistemazioni eliminano l'affondatoio e le gru di capone nonché la scarpa.

In navigazione con l'ancora tirata a bordo le catene sono raccolte in appositi pozzi e con l'estremità libera vengono unite solidamente allo scafo per impedire che, dando eventualmente fondo in fondali troppo alti, possano venire tutte trascinate via dal peso dell'ancora che affonda con velocità a volte impressionante. Nei pozzi le catene con traversino si ammucchiano occupando un volume pari a mc. 0,43 a 0,45 per ogni tonn. metrica del loro peso. Alla bocca del pozzo viene applicato uno strozzatoio, specie di tagliola orizzontale che strozza l'apertura della bocca per assicurare che la catena non scorra, scontrando di piatto una maglia contro l'orlo e impedendo il passaggio della maglia successiva che si presenta di taglio. Nel dar fondo all'ancora, dopo aver aperto lo strozzatoio, si frena l'eccessiva velocità dovuta al peso dell'ancora e della catena facendo svolgere questa in modo da trascinare in movimento l'argano a salpare, che può essere mantenuto frenato con appositi freni, oppure dando volta alla catena per un giro attorno ad apposita bitta, cioè prendendo un giro di bitta, in modo da costituire una resistenza e ridurre la campata libera della catena fra la bocca del pozzo e la cubia onde evitare gli sbattimenti sul ponte che possono riuscire pericolosi.

Perché la catena resti ben tesa, quando l'ancora è in cubia, e per impedire che per i movimenti di beccheggio della nave o per effetto di colpi di mare questa si muova ed urti lo scafo danneggiandolo, si usano delle bozze in catena o in cavo di acciaio fissate al ponte che afferrano una maglia delle catene facendo compiere ad esse un ultimo leggiero spostamento atto ad assicurare il collegamento rigido dell'ancora con lo scafo.

Bibl.: V. Malfatti, Ancore e catene, Roma 1899.

Ancora dei movimenti di orologeria. - È un arco metallico a punte ricurve che regola il movimento dello scappamento dell'orologio, lasciando passare un dente ad ogni oscillazione del pendolo o del bilanciere (a seconda del tipo di orologio).

Ancora dei magneti. - Dovendosi usare la forza portante di calamite o di elettromagneti, è utile dare ad essi la forma a ferro di cavallo, perché le due facce polari riescono vicine e contro ad esse si può applicare un pezzo di ferro dolce (generalmente fornito di un gancio) detto àncora, il quale, magnetizzandosi per influenza, rimane meglio aderente alle facce polari stesse e aumenta quindi la portata del magnete.

TAG

Ammiragliato britannico

Elettromagneti

Ammiragliato

Dislocamento

Inghilterra